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la teoria

Scroogenomics

Luciano Capone

Perché il solito noioso regalo trovato sotto l’albero (“cappello più guanti”) non dà ragione agli economisti che vedono nel Natale un’inutile distruzione di ricchezza. Per Waldfogel, dell’Università del Minnesota, i doni che ci scambiamo sotto l’albero sono economicamente inefficienti

Dopo aver ricevuto da amici o parenti anche per questo Natale la solita sciarpa o l’ennesima accoppiata “cappello più guanti di lana”, viene da dire che ha ragione Joel Waldfogel: i regali di Natale sono un disastro economico. Waldfogel è un’economista dell’Università del Minnesota che ha fatto molto discutere per la sua teoria sull’inefficienza economica dei regali di Natale. L’idea è abbastanza semplice: quando si fa un regalo esiste una divergenza tra chi lo acquista e chi lo riceve. Chi sceglie il dono spesso lo fa con la massima cura, cercando di indovinare i gusti e le preferenze della persona che dovrà scartarlo, ma non avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie spesso anche le migliori intenzioni si trasformano in maglioni a rombi. Nessuno conosce meglio di noi stessi i nostri gusti e desideri e anche quando riceviamo un regalo gradito è probabile che se avessimo avuto la disponibilità dei soldi spesi per acquistarlo avremmo scelto qualcosa di più utile.

 

A livello microeconomico il meglio che una persona può fare quando acquista un regalo è trasferire un beneficio pari al valore speso, cioè indovinare esattamente ciò che il destinatario avrebbe scelto se avesse speso per sé quei soldi; ogni scostamento da questo ottimo si trasforma in una perdita secca di valore tra quanto il regalo è stato pagato e quanto viene valutato da chi lo riceve.

 

Waldfogel, quando era ancora un giovane ricercatore all’Università di Yale, ha misurato questa inefficienza economica in un articolo intitolato “La perdita secca del Natale”, poi diventato diversi anni dopo un libro divulgativo, “Scroogenomics”, titolo che evoca Ebenezer Scrooge, il personaggio del dickensiano Canto di Natale che non aveva una spiccata propensione a fare regali ma che quantomeno, nell’ottica dell’economista americano, non si lasciava trascinare in quell’“orgia di distruzione della ricchezza” che è il Natale. Nel suo studio Waldfogel ha cercato di dare un valore a questa distruzione di ricchezza confrontando l’effettivo costo di un regalo con il prezzo attribuito da chi l’ha ricevuto se avesse dovuto acquistarlo per conto proprio. I risultati di questo lavoro sono impressionanti: la perdita secca è del 10 per cento quando riguarda regali ricevuti da amici e parenti prossimi e supera il 30 per cento quando a fare regali sono conoscenti, amici alla larga e parenti che non vediamo spesso. In soldoni vuol dire una distruzione di ricchezza di qualche miliardo in Italia, 13 miliardi di dollari negli Stati Uniti, 25 miliardi di dollari nel mondo. Ogni anno. Ogni Santo Natale si scatena il “tornado rosso di Babbo Natale” che “nonostante i buoni sentimenti che evoca nei bambini, fa un pessimo lavoro nell’abbinare regali e persone, distruggendo miliardi di dollari”.

 

Waldfogel non è il tipo che ce l’ha con il consumismo, semplicemente sostiene che fare i regali non è una maniera efficiente per consumare: “La peculiarità di tutta questa spesa – scrive l’economista nel suo libro – è che le scelte non vengono fatte dai consumatori finali. Per il resto dell’anno, le persone normalmente acquistano cose che si aspettano di usare con piacere. Ma non a Natale. Per tutto l’anno facciamo meticolosamente shopping per noi stessi, guardando decine di articoli prima di scegliere quelli che valgono i nostri soldi. Il processo a Natale, al contrario, vede donatori che sparano nel buio sperando di beccare qualcosa che piaccia”. Fermare questa pratica barbara secondo Waldfogel non avrà neppure effetti negativi sui consumi, perché “non è il Natale che causa la spesa, il Natale causa solo che quella spesa avvenga attraverso un meccanismo che ti fa avere la maglia della taglia sbagliata”. Il problema non è il consumismo, è proprio il Natale con i suoi regali, Santa Claus e i pacchi sotto l’albero, che portano con sé l’ennesimo inutile aggeggio per la cucina per la mamma, le cornici d’argento della zia, oggetti misteriosi, maglioni a pallini, pigiami di pile, cappelli, sciarpe e intimo, il quinto paio di pantofole per papà, la terza vestaglia per il nonno. Tutti hanno qualcosa, ma pochi quello che volevano. Ogni anno Natale si trasforma in un cimitero di maglie mai indossate, libri mai letti, oggetti mai usati.

 

E’ possibile che il risentimento di Waldfogel derivi da un trauma per aver ricevuto un regalo sbagliato da bambino, ma tutti i torti non ce li ha. Anche perché il meccanismo dei regali di Natale ha un problema con i feedback, che dovrebbero correggere scelte sbagliate. A ogni regalo scartato tutti diciamo che è stupendo, che quella cravatta arancione è proprio quello che cercavamo e non eravamo mai riusciti a trovare, tentando in ogni modo di mascherare le reali sensazioni con sorrisi forzati. Il problema è che a causa della nostra performance teatrale l’anno dopo, molto probabilmente, arriverà un regalo da abbinare a quella orrenda cravatta. Paradossalmente le persone a cui possiamo dire che il regalo non era il massimo sono quelle a noi più vicine e cioè quelle che conoscono meglio di altri i nostri gusti e che sbagliano meno, mentre sono le persone che ci conoscono poco che avrebbero bisogno di maggiori indicazioni sulle nostre preferenze per non sbagliare regalo in futuro. Ma non è buona creanza dire a un conoscente o a un parente che vediamo poche volte in un anno che il suo era un brutto regalo. Per i più piccoli questo problema di asimmetria informativa viene risolto con la letterina a Babbo Natale, in cui viene indicato espressamente l’oggetto del desiderio con anche una serie di alternative qualora non fosse possibile ricevere la prima scelta, ma per i più grandi non c’è l’usanza di inviare lettere con la lista di regali ad amici e parenti. Quindi tocca prendere quello che la sorte porta in dono, tenerlo da parte e al massimo riciclarlo, scaricando la perdita secca appioppataci dallo zio a qualcun altro.

 

Tutte queste piccole tragedie individuali e questa impossibilità di comunicarsi cosa realmente si desidera hanno un impatto notevole a livello aggregato. Waldfogel arriva addirittura a sostenere che, stando alle sue ricerche, la perdita secca dei regali di Natale è superiore a quella di molti servizi pubblici. Pensare che la tradizione dei regali di Natale possa essere economicamente peggiore dell’esistenza dell’Atac a Roma o dei servizi di nettezza urbana di molte città italiane è davvero scioccante, anche se l’economista si riferisce ai programmi governativi statunitensi che probabilmente sono più efficienti di quelli italiani (ma non è detto). La teoria di Waldfogel sul Natale arriva anche a smentire l’affermazione di Milton Friedman secondo cui, tra i vari modi possibili di spendere i soldi, il peggiore e più inefficiente è quello dello Stato che spende soldi degli altri a favore di altre persone, non preoccupandosi né della quantità né della qualità della spesa. E invece no. A Natale, spendendo i nostri soldi per gli altri, facciamo più danni del governo.

 

Se davvero Babbo Natale è peggio dell’Iri o della Cassa del Mezzogiorno, la conclusione a cui giunge Waldfogel è che bisogna smetterla con i regali e passare ai soldi cash o al limite alle gift card (seppure anch’esse hanno un certo grado di inefficienza perché spesso scadono o non vengono spese integralmente). Visto che facciamo danni, se proprio siamo obbligati a fare un dono, l’ideale è trasferire una somma in denaro così ognuno compra ciò che preferisce.

 

[**Video_box_2**]La Scroogenomics di Waldfogel è un po’ arida e brutale, ma non fa una grinza. Eppure, forse perché da piccoli sono stati trattati meglio da Babbo Natale, non sono molti gli economisti che la pensano come lui. Ad esempio Angus Deaton, che ha appena vinto il premio Nobel anche per i suoi importanti studi sul consumo, taglia corto dicendo che “questa è il tipo di visione ristretta che dà giustamente all’economia una brutta reputazione”. Altri studiosi della “scienza triste” scendono nel dettaglio e contestano alcuni punti deboli della teoria. Ad esempio Alberto Alesina di Harvard sostiene che il contante non è di per sé più efficiente, perché “la scelta di un regalo particolare è un segnale dell’intensità dello sforzo di ricerca”, mentre David Autor del Mit ricorda che “i regali hanno multipli scopi interpersonali e le preferenze rivelate indicano che il trasferimento di reddito non è quello primario”.

 

Anche Fausto Panunzi, economista della Bocconi, non è convinto dalla teoria di Waldfogel perché “non vengono considerati i “search costs”, i costi ricerca, lo sforzo e il tempo impiegato per cercare un regalo. Anche la zia porta in dono il solito pigiama che non piace tantissimo, per chi lo riceve potrebbe essere molto più costoso girare per i negozi per trovare il pigiama ideale. In questo caso per esempio è meglio un pigiama bruttino che perdere tempo per cercarne uno bello. In molti altri casi è proprio il costo di ricerca che fa il dono, spesso ci fa piacere sapere che una persona abbia impegnato il suo tempo e le sue energie mentali per cercare un regalo che potesse piacerci e questo può valere per noi più dei soldi spesi per acquistarlo”. Forse è esagerato dire, come si fa in questi casi, che “basta il pensiero”, ma di certo non è vero che il pensiero non conta nulla. Un altro aspetto che non viene considerato, dice Panunzi al Foglio, è che “neppure noi conosciamo alla perfezione i nostri gusti e spesso è proprio attraverso le esperienze e i regali delle altre persone che arriviamo a conoscere i libri di uno scrittore che mai avremmo letto o la musica di un cantante che non avremmo pensato potesse piacerci, così come per tante altre cose di cui non conosciamo ancora l’esistenza”.

 

La Scroogenomics però pone un altro dilemma. Perché da un lato, sostenendo che le persone per Natale distruggono inutilmente ricchezza, smentisce la teoria classica secondo cui gli individui sono degli agenti economici razionali. Dall’altro però mina alla base anche la teoria keynesiana contrapposta secondo cui un agente pubblico sarebbe in grado di controllare l’irrazionalità degli agenti di mercato, perché se perfino noi sbagliamo i regali per i nostri parenti figuriamoci quali disastri potrebbe provocare un ministero per i Regali di Natale. “In realtà – dice Panunzi – spesso è perfettamente razionale bruciare soldi, in questo caso per creare relazioni interpersonali e stringere legami sentimentali: potrebbe essere economicamente razionale fare un regalo alla propria fidanzata con qualche giorno di ritardo per aspettare i saldi, ma la rinuncia a quello sconto serve proprio a indicare che quella relazione è più importante del risparmio monetario”. Ricevere in regalo due biglietti per il concerto del cantante preferito della propria amata può comportare una perdita secca del 100 per cento, se oltre al mancato regalo si considera il tempo perso ad ascoltarlo, ma ha in realtà un valore molto più elevato se riesce a segnalare quali sacrifici una persona è disposta a sopportare per amore.

 

I contanti sono uno strumento efficiente per trasferire ricchezza ma non altre cose come sentimenti e ricordi, e lo scopo del Natale dovrebbe essere il secondo visto che non è esattamente un programma di redistribuzione della ricchezza. Una volta ricevuti, i soldi si mischiano a tutti gli altri e non conservano molto delle persone che li hanno donati e delle circostanze in cui è avvenuto il regalo. Non sappiamo molto della vita privata di Waldfogel, ma di certo non si sarà sposato se si è presentato per la proposta di matrimonio con una mazzetta di dollari anziché con un anello. Allo stesso modo è difficile che sia stato invitato di nuovo a cena se si è presentato con 50 dollari in mano invece che con un mazzo di fiori o una buona bottiglia di vino. Non si tratta di essere sentimentalisti, il fatto è che il valore di un regalo non è solo una funzione del suo prezzo, ma anche del piacere che ha chi sceglie quel particolare dono (cosa che l’economista americano non considera affatto). “Usare i contanti ha più senso quando l'utilità marginale del denaro è diversa, ad esempio tra nonni e nipoti – dice al Foglio Panunzi – ma negli altri casi c’è da considerare che anche se nell’immediato il valore di un particolare regalo può subire una perdita secca nella valutazione di chi lo riceve, nel lungo termine può acquistare un valore molto più alto se riuscirà a conservare il ricordo di quella persona e di particolare evento. Un regalo azzeccato può rivelarsi nel tempo davvero prezioso”.

 

I regali di Natale hanno un valore che la “perdita secca” non conosce e non misura. La teoria dell’economista americano è incompleta, figlia di una visione riduttiva dell’azione (economica) umana e tralascia molte cose che per le persone sono più importanti della perdita secca, quindi difficilmente raggiungerà l’obbiettivo di sostituire il tradizionale scambio dei doni con lo scambio di contanti. Waldfogel non ci fermerà dal fare i regali, ma le sue osservazioni in realtà possono insegnarci a farli meglio: visto che questo meccanismo è inefficiente a trasferire ricchezza e che la perdita secca di un regalo può essere compensata solo dal valore affettivo che quel dono può rappresentare, la scelta più efficiente e razionale è quella di scegliere doni dall’alto valore sentimentale. E’ vero che, come dice l’economista, quando facciamo un regalo “spariamo nel buio”, ma se nella nostra mente l’obiettivo è quello di colpire al cuore anziché alla tasca allora il risultato sarà più soddisfacente per tutti, sia per chi acquista che per chi riceve. Tra i contanti della Scroogenomics e il cappellino di lana della zia c’è un’altra strada, che è economicamente più efficiente e in perfetta sintonia con lo Spirito del Natale.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali