
Gli italiani non masticano economia&finanza. Un mini-test lo dimostra
Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda Oikonomia, la mia rubrica su Radio Radicale. Qui trovate l'audio, di seguito invece il test con i link.
Il caso di Banca dell’Etruria, BancaMarche, CariChieti e CariFerrara, cioè delle quattro banche salvate con l’intervento del governo e grazie alle risorse prestate dagli altri istituti di credito italiani, solleva tanti quesiti di ordine economico e finanziario, oltre che di natura politica. Oggi vorrei concentrarmi su un aspetto che, in qualche modo, è una delle ragion d’essere di questa rubrica: le competenze economico-finanziarie degli italiani. Lasciando da parte gli episodi truffaldini pur presenti nel crac delle quattro banche, è indubbio il ruolo – in questa come in altre vicende – di una scarsa preparazione finanziaria del risparmiatore medio nel nostro paese.
Nel gergo scientifico internazionale si parla di “financial literacy”, che in italiano si può tradurre appunto con l’espressione "alfabetizzazione finanziaria" o “competenze economico-finanziarie”: si intende con queste parole non soltanto la conoscenza di termini che designano gli strumenti e le istituzioni dell’attività finanziaria, ma anche una padronanza delle funzioni di questi strumenti e di queste istituzioni, nonché una capacità di valutare i termini delle scelte che nella vita compiamo a questo proposito. In Italia queste “competenze finanziarie” sono, mediamente, a un livello basso. D’altronde da noi lo stesso concetto di finanza, che alla radice è ciò che trasla nel tempo il potere d’acquisto, viene più spesso demonizzato che compreso.
Così non c’è da stupirsi che l’Italia occupi gli ultimi posti nel recente Global Financial Literacy Survey stilato da Standard & Poor’s insieme a Gallup e Banca mondiale. Agli intervistati in tutto il mondo sono sottoposte cinque domande per misurare quattro concetti fondamentali: diversificazione del rischio, inflazione, dimestichezza di base con i numeri, interesse composto. Sintetizzo le cinque domande, così potrete mettervi voi stessi alla prova. Prima domanda: se hai un po’ di soldi da parte, è più sicuro investirli in un solo strumento finanziario o in tanti diversi? Seconda: supponi che nei prossimi 10 anni il prezzo delle cose che compri raddoppierà; se anche il tuo stipendio raddoppierà, potrai acquistare meno di quello che compri oggi, oppure esattamente quello che compri oggi o più di quello che compri oggi? Terza domanda: ipotizza di avere bisogno di un prestito di 100 euro. Per ripagarlo hai due possibilità: pagare 105 euro oppure 100 euro più il 3%. Qual è la più conveniente? Quarta domanda: supponi di depositare i soldi in una banca che per due anni ti darà un interesse annuo dell’1%. La banca in questione nel secondo anno aggiungerà al tuo conto più soldi di quanti ne aggiungerà il primo anno, oppure aggiungerà al conto la stessa somma ogni anno? Quinta e ultima domanda del questionario: supponi di avere 100 euro in un conto bancario e che la banca aggiunga un 10% di interessi annui. Quanti soldi avrai dopo 5 anni? Più di 150 euro, esattamente 150 euro o di meno? Secondo questo rapporto, una persona ha una competenza finanziaria “sufficiente” se dimostra di capire almeno 3 dei quattro concetti di cui sopra, quindi se risponde a 3 o 4 delle domande che ho letto. In Italia soltanto il 37% dei cittadini supera questa soglia di “sufficienza”. Un livello tra i più bassi in Europa, peggio di Grecia e Spagna.
Uno studio delle stesse banche italiane, svolto però da ricercatori indipendenti, ha tentato di misurare le stesse competenze finanziarie attraverso sei diversi indici. L’Indice di conoscenza finanziaria, compreso tra 0 e 6, presenta per l’Italia un valore medio pari a 3,13 e una mediana pari a 3. Il 61% degli intervistati non è riuscito a fornire risposte corrette a più di 3 domande (su un totale di 6). Le risposte fornite dagli intervistati hanno evidenziato, da un lato, una scarsa familiarità con il calcolo numerico e una limitata conoscenza del sistema di capitalizzazione, dall’altro, una discreta padronanza dei concetti elementari della finanza. Solo il 22% del campione, però, è riuscito ad applicare le conoscenze matematico-finanziarie ai concetti di finanza, scegliendo correttamente tra due opportunità di investimento sulla base dei profili di rischio e rendimento atteso. Il dato è in linea con quanto rilevato in Francia, ma risulta notevolmente inferiore rispetto a Germania, Regno Unito e Stati Uniti d’America (circa 40%). Un altro indice, cioè l’Indice Globale di Competenza Finanziaria, compreso tra un minimo di 3 e un massimo di 20, presenta per l’Italia il valore medio di 11,2, che equivale in termini scolastici al voto di 5. I due gruppi demografici estremi, con punteggi più alto e più basso sono rappresentati rispettivamente da: a)uomini con istruzione almeno pari alla scuola superiore e reddito superiore a 1.900 euro mensili; b) donne e uomini con scolarità inferiore o uguale alla scuola media inferiore che risiedono al Sud e nelle Isole.
Difficile essere ottimisti sulle future generazioni, considerato che dall’ultimo programma Pisa di valutazione degli studenti di alcuni paese Ocse, è emerso che gli studenti in Italia ottengono un punteggio inferiore alla media dei 13 paesi OCSE che hanno partecipato alla valutazione delle competenze finanziarie. Con un punteggio medio di 466 punti, l’Italia si colloca tra la 16a e la 17a posizione rispetto all’insieme dei 18 paesi partecipanti. Nel complesso gli studenti italiani ottengono risultati in materia di alfabetizzazione finanziaria inferiori a quanto ci si potrebbe aspettare in base al loro livello di competenze in lettura e matematica, e questo risultato suggerisce che le principali competenze acquisite dagli studenti a scuola non includono quelle economico finanziarie.
Il nostro paese è indietro, insomma, e pare destinato a rimanerci. Già nel 2013 il rapporto per l’Avanzamento delle strategie nazionali per l’Educazione finanziaria, curato dall’Ocse e dalla presidenza russa del G20, si osservava che in 55 paesi presi in considerazione, 20 tra questi avevano adottato una strategia nazionale per l’educazione finanziaria, 25 si trovavano ad uno stadio avanzato nel disegnarla, mentre l’Italia figura tra i 5 Paesi di coda che stanno solo considerando di disegnarla. Per fare un paragone, dal settembre 2014 in tutte le scuole del Regno Unito l’educazione finanziaria è addirittura materia obbligatoria. Mentre l’agenzia Consumer financial protection bureau, creata negli Stati Uniti all’indomani dell’ultima crisi, ha anche l’obiettivo istituzionale di promuovere l’educazione finanziaria tra i cittadini. Il netto “conoscere per deliberare”, come noto, dovrebbe essere nelle corde degli italiani. In banca, non lo è ancora.