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Così il riflusso regolatorio può minare la rinascita dell'Auto

Alberto Brambilla
Il gioco dell’Epa. Il ruolo del regolatore americano e i rischi di una stretta normativa. Al Foglio parlano gli analisti. Volkswagen non è la prima vittima del “Dieselgate”. Nel 1998 un caso simile riguardò la filiera dei veicoli pesanti a diesel con citazioni in giudizio e multe per diverse altre case.

Roma. Volkswagen non è la prima vittima del “Dieselgate” della Environmental protection agency (Epa). La prima Casa d’auto tedesca è accusata di avere venduto negli Stati Uniti migliaia di auto a trazione diesel eludendo per anni i controlli dell’agenzia americana per la protezione dell’ambiente grazie a un software progettato apposta per abbassare le emissioni inquinanti durante i test. Nel 1998 un caso simile riguardò la filiera dei veicoli pesanti a diesel con citazioni in giudizio e multe per Caterpillar, Cummins Engine Company, Detroit Diesel, Mack Trucks, Navistar, Renault Vehicules Industriels, Volvo Truck. In quei casi i motori venivano costruiti per passare il test dell’Epa (simulazione di guida per un tempo limitato in un ambiente urbano), poi l’Epa sanzionò i costruttori per non avere superato un test che nemmeno lei stessa prevedeva (guida prolungata su un tragitto extraurbano, come l’autostrada). Il caso ricorda Volkswagen, che però pare avere creato a bella posta un meccanismo fraudolento.

 

Tuttavia, nonostante i casi ripetuti negli anni, l’Epa non sembra intenzionata a scoprire più frodi possibili. Due mesi fa, riporta Wired, s’era opposta alla proposta di concedere ai proprietari di veicoli di esaminare i codici del software, come quelli presumibilmente manipolati da Volkswagen. Epa s’oppose perché, ironia della sorte, ciò avrebbe potenzialmente consentito alle persone di modificare il programma in modo da produrre più emissioni e quindi violare il Clean Air Act, legge che Epa difende. Alcuni osservatori hanno invece notato che un approccio più liberale, anche con un sistema autonomo di controllo da parte del consumatore, avrebbe fornito un aiuto ulteriore nel controllo sull’applicazione della legge e un relativo sprone per i costruttori a seguire buone pratiche. Tant’è che l’Epa avrebbe scoperto da una ricerca indipendente della West Virginia University la prolungata condotta fraudolenta di Volkswagen. “Qualsiasi regolamentazione cela la possibilità di truffa. C’è la tendenza ad aggirare le regole in una lotta tra regolatori e ‘peccatori’: si sa benissimo come si aggirano e perché ma è difficile saperlo. Un po’ come il doping nel ciclismo, anche nell’auto esiste e lo fanno tutti. Dipende da quanto è alta l’asticella del limite e se è scomoda per l’interessato che quindi preferisce saltarla”, dice Riccardo Ruggeri, ex ceo di New Holland, divisione dei veicoli agricoli Fiat.

 

I produttori che si riuniscono al Salone dell’Auto di Francoforte sentono crescere, anno dopo anno, la pressione dei regolatori pronti a introdurre standard più stringenti per le emissioni inquinanti. Nell’Unione europea entro il 2021 dovranno avere un parco auto che genera in media 95 microgrammi di diossido di carbonio (CO2) per chilometro, ovvero il 70 per cento in meno rispetto al 2007 e quasi il 25 per cento in meno rispetto a un anno fa. Applicare la regola della media delle emissioni, spalmate su tutta la flotta, è frutto di un compromesso voluto proprio dai costruttori tedeschi a metà degli anni Duemila per evitare di stravolgere le linee produttive. Per il diossido di azoto (NOx), particolato generato da combustione diesel, l’Europa prevede un massimo di 80 microgrammi a chilometro per veicolo. Gli standard americani sono più rigidi, per il Nox e arrivano a 31 microgrammi per chilometro, ovvero quasi due terzi in meno dell’Europa. Gli Stati Uniti sono tradizionalmente “benzinisti”; le auto diesel nel 2014 erano il 3 per cento del totale in circolazione. Gli standard americani, già più rigidi al mondo, verranno anch’essi ristretti. I costruttori dovranno produrre automobili capaci di fare 54 miglia con un gallone di benzina (86 km con 3,7 litri) entro il 2025. In Cina i limiti sono ampiamente fuori scala rispetto agli standard occidentali.

 

[**Video_box_2**]“Il caso Volkswagen fa clamore sui giornali ma è molto probabile che non terminerà in Germania, mentre altri costruttori si stanno guardando in casa. A essere realistici il contraccolpo si farà sentire nel breve termine ed è probabile che porti a regolamentazioni ancora più strette e quindi sarà più difficile per l’intera industria riuscire ad affrontarne i maggiori costi”, dice al Foglio Dominic O’Brien, analista settore Auto di Exane Bnp Paribas. Se Volkswagen, Toyota, General Motors o Fiat-Chrysler non protestano per evitare di essere additati come “nemici dell’ambiente”, tutti dovranno adattare i modelli alle leggi. E chi si avvantaggia sono i costruttori della componentistica che pregustano la possibilità di consistenti profitti. La Tenneco di Lake Forest (Illinois), fatturato da 8,4 miliardi di dollari, rifornisce le principali case auto mondiali di dispositivi per il controllo delle emissioni. La sua crescita negli ultimi dieci anni, e per i prossimi quindici, può essere tranquillamente attribuita a regolamentazioni più rigide. “Una stretta sugli standard rappresenta una grande opportunità per noi”, aveva detto Tim Jackson, chief technology officer di Tenneco. I meccanismi di controllo delle emissioni di Tenneco sono presenti sulla versione a benzina dei modelli Volkswagen Jetta, Maggiolino e Golf venduti in nord America, oltre a marmitte e tubi di scappamento sui veicoli diesel. Il guadagno dalle commesse Volkswagen è di 7 milioni di dollari nel 2014, ha ricordato ieri la società quotata a Wall Street. Ringrazi anche l’Epa.

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.