Le tre vie del caffè italiano, aspettando un campione nazionale

Ugo Bertone
Ma quante sono le strade della “tazzurella ’e cafè” sotto i cieli della finanza globale. Illy, al solito la miscela più sofisticata e trendy, ha annunciato ieri il collocamento privato di un prestito obbligazionario non convertibile sul mercato americano. Le mosse di Segrafredo e Lavazza e i rapporti di forza con i colossi americani.

Milano. Ma quante sono le strade della “tazzurella ’e cafè” sotto i cieli della finanza globale. Illy, al solito la miscela più sofisticata e trendy, ha annunciato ieri il collocamento privato di un prestito obbligazionario non convertibile sul mercato americano, interamente sottoscritto da investitori istituzionali per 70 milioni di euro.

 

La mossa, ha spiegato lo stesso Andrea Illy, sta a confermare la decisione , su consiglio dell’advisor Roland Berger, di scartare l’opzione della quotazione in Borsa. “Abbiamo due valori da difendere – ha detto – La fama di produttore del miglior caffè del mondo e la reputazione del nome della famiglia. Sono obiettivi che contrastano con l’obbligo di produrre risultati in crescita ogni tre mesi”. Opposta la decisione di Segafredo, sbarcato in Piazza Affari a inizio di giugno con una raccolta di 128 milioni, con l’obiettivo di finanziare la crescita oltre confine, a partire dal finanziamento dell’acquisizione della catena Boncafé di Singapore, attiva nel sudest asiatico e nel Golfo.

 

Il colpo grosso, il 21 luglio scorso, l’ha messo a segno Lavazza con l’acquisto di Carte Noire, un affare “cash” da 800 milioni di euro che fa salire la Francia, per consumi il quarto mercato al mondo, al secondo posto nelle vendite del marchio torinese. Tre strade diverse per affrontare quello che, a detta degli analisti, potrebbe essere il nuovo campo di battaglia dei colossi del food, dopo la sfida miliardaria dei giganti della birra.

 

In campo ci sono la corazzata americana Keurig Green Mountain e la portaerei elvetica Nestlè, che domina il mercato con le sue capsule sponsorizzate George Clooney. E lo sfidante americano Mondelez International, convolato a nozze con l’olandese D.E Master Blenders 1753, ha poi un ambizioso programma di shopping in giro per le varie piazze con un occhio di riguardo per i gruppi di casa nostra perché la tazzina di caffè all’italiana è una delle leve competitive più efficaci per crescere su un mercato che già oggi vale 80 miliardi di dollari, ma promette di crescere a tassi a doppia cifra.

 

[**Video_box_2**]E’ in questa cornice che si spiegano le mosse dei gruppi italiani più proiettati sulla scena internazionale: Lavazza, con un salto rilevante di dimensioni, punta a sottrarsi al ruolo di preda. Non a caso, per conquistare la leadership in Francia, il gruppo ha sacrificato una quota rilevante in Keurig. Illy, rinunciando alla quotazione, si mette per ora al riparo dalle mire dei giganti: l’obiettivo è raddoppiare da qui al 2025 il fatturato (oggi 400 milioni) attraverso una rete globale di 600 punti di vendita. Per tutti si profila una strategia di nicchia, basata sull’eccellenza del prodotto, buona per sopravvivere (anzi prosperare) all’ombra del conflitto tra i big. Una strategia abbastanza diffusa tra le medie imprese del made in Italy, nell’alimentare come nel pharma, nel design come nella meccanica o in altre eccellenze in cui l’industria tricolore non riesce, pur avendone le potenzialità, a esprimere una leadership aziendale adeguata. Non è difficile prevedere che, come è già successo in altri settori, le aziende tricolori del caffè faranno fatica, senza un salto dimensionale, a tenere il passo dei competitor che possono vantare una taglia assai più rilevante, oltre alla possibilità di staccare assegni cui non si può dire di no.

 

E’ tra aziende di questo genere, insomma, che si possono individuare le Italcementi del futuro, possibili prede ad alto prezzo da inglobare in gruppi globali. Per carità, non è un destino immediato né tragico. Ma c’è da domandarsi perché il capitalismo italiano non sia in grado di creare campioni in grado di competere a certi livelli. A suo tempo, ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il Fondo strategico italiano (Fsi) venne promosso con l’obiettivo esplicito di fare crescere in dimensioni e qualità alcuni campioni del made in Italy (si studiò pure una combinazione tra Zegna, leader dell’abbigliamento maschile, e Versace). Ma il progetto ha perso slancio per strada. Chissà, un caffè può risvegliare l’attenzione.   

 

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