Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Meno tasse è meglio se con meno spesa. Ecco le ragioni logiche

Natale D'Amico
Se bisogna fare una manovra di finanza pubblica in deficit, meglio che la si faccia con una riduzione delle tasse piuttosto che con un aumento delle spese. Almeno i cittadini avrebbero indietro un po’ dei loro soldi sui quali esercitare la propria libertà di scelta.

Sgombriamo il campo da ogni equivoco: se proprio bisogna fare una manovra di finanza pubblica in deficit, meglio che la si faccia con una riduzione delle tasse piuttosto che con un aumento delle spese. Almeno i cittadini avrebbero indietro un po’ dei loro soldi sui quali esercitare la propria libertà di scelta. Se poi l’obiettivo è tornare a crescere, è vero: non è detto che i cittadini coi loro quattrini facciano sempre le scelte “giuste”, cioè quelle che a loro volta generano più scambi e libertà economica. E’ tuttavia meno improbabile che facciano alcune scelte “giuste” loro, e non qualche pianificatore centrale, democraticissimo e ben intenzionato per carità, che di volta in volta decide che lo “sviluppo” passa per questo o quel settore.

 

A ben vedere, però, la questione è di ordine più generale: è questo il momento giusto per fare una manovra in deficit? In realtà, è difficile dire che lo sia. Che qualcosa non torni in quelle che sembrano le intenzioni del governo traspare nelle stesse parole dei protagonisti. Da una parte si immagina di coprire parte della annunciata riduzione delle tasse con le maggiori entrate che giungeranno da una dinamica dell’economia migliore di quella fin qui ipotizzata; dall’altra si ipotizza di ricorrere nuovamente a una deroga dalle regole europee e costituzionali sul pareggio di bilancio in nome del cattivo andamento dell’economia. Tenere insieme le due ipotesi vìola il principio di non contraddizione.

 

[**Video_box_2**]E’ certo che le condizioni di contesto sono favorevoli: l’espansione del commercio mondiale  offre spazio di crescita per le nostre esportazioni. Il tendenziale rafforzamento del cambio del dollaro  e un prezzo del petrolio molto basso aiutano. I tassi d'interesse sono ai minimi. Ed ecco ripetersi la solita storia, che vediamo almeno dal 1992: non appena le condizioni economiche generali si fanno più rilassate, la politica dimentica rigore e risanamento, per aumentare tanto più che può deficit e debito; con il risultato che quando i tempi si fanno più avversi, e che prima o poi  accada è certo, si è costretti a fare manovre correttive in piena emergenza: prociclici nella espansione, prociclici nella recessione. Da far inorridire anche i keynesiani più ortodossi. C’è da scommetterci: fra qualche anno di nuovo rimpiangeremo la grande occasione sprecata; quella finestra, probabilmente breve, nella quale tutte le variabili esogene erano favorevoli e dunque si sarebbe potuto accelerare il risanamento per contenere un debito il cui peso, oggi relativamente lieve, si farà di nuovo troppo gravoso con il prevedibile aumento dei tassi d'interesse. Fin qui semplici considerazioni di buon senso; che però contrastano con il senso comune della politica, che porta a spendere il massimo che si può nel tempo presente. Allora, è impossibile una riduzione delle tasse? No. A condizione che la si finanzi attraverso una riduzione delle spese. Realizzabile solo attraverso una riorganizzazione complessiva del modo nel quale le amministrazioni pubbliche producono i propri beni e servizi, e attraverso una rideterminazione dei confini stessi dell'intervento pubblico. Operazioni entrambe dagli effetti non immediati. Ecco perché con Alberto Mingardi ci affanniamo da un po’ a suggerire una riduzione immediata ma transitoria, diciamo per tre anni, delle imposte, finanziata con un programma straordinario di privatizzazioni di imprese e immobili pubblici; anche senza eccessiva fiducia nella curva di Laffer, è certo che in questi tre anni la riduzione delle imposte favorirà una espansione del prodotto, e quindi almeno in parte si autofinanzierà; quel che rimarrà da coprire potrà essere finanziato con gli esiti di una spending review intesa come si è detto, che nel frattempo avrà trovato il tempo per produrre i propri effetti. Per non rinunciare alla necessaria riduzione immediata delle tasse, ma per non trovarsi di nuovo fra qualche anno a fare una manovra correttiva di finanza pubblica nelle condizioni peggiori.

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