Per i conservatori europei dalla crisi deve uscire un nuovo welfare sostenibile

Dario D'Urso
Nonostante i timidi segnali di ripresa, il ritorno al “business as usual” in termini di spesa sociale appare altamente improbabile. E allora Merkel e Cameron pensano a un asse che proponga lo snellimento dello stato sociale.

Con l’avvicinarsi dell’8 luglio – la data decisa dal nuovo governo monocolore Tory per presentare il budget straordinario – il cancelliere George Osborne sta iniziando a farne trapelare i contenuti. La necessità di un nuovo bilancio per il 2015, dopo quello ordinario presentato a marzo, deriva proprio dal pieno mandato elettorale affidato dagli elettori ai Conservatori: quello che la stampa britannica ha già ribattezzato “summer budget” sarà infatti il primo nella carriera di Osborne da Cancelliere a non dover essere negoziato con gli ormai ex partner di coalizione, i liberaldemocratici. Potrà quindi ricalcare il manifesto del partito e le dichiarazioni fatte in campagna elettorale, come la “battaglia morale” di Cameron per una riduzione delle tasse, lanciata al grido “il denaro pubblico non esiste, esiste solo quello dei contribuenti”, un’eco del “la società non esiste” di tatcheriana memoria.

 

Così, durante un recente dibattito alla Camera dei Comuni, Osborne ha iniziato a preparare il terreno a uno degli aspetti cardine del budget estivo, una proposta avanzata già nel 2014 dal cancelliere e che allora aveva incontrato la fiera resistenza non solo dei Lib Dem ma anche di alcuni autorevoli esponenti Tory, come il segretario di stato alle Pensioni, Ian Duncan Smith: un taglio di 12 miliardi di sterline l’anno alla spesa sociale. Il cancelliere ha presentato questa iniezione di realismo conservatore ai deputati ricorrendo ad alcuni dati dall’effetto sicuro: il Regno Unito, ha detto Osborne, rappresenta l’1 per cento della popolazione mondiale e il 4 per cento del pil del pianeta, ma il 7 per cento della sua spesa previdenziale. La scelta, ha continuato il cancelliere, è tra “mantenerci su un cammino totalmente insostenibile o riformare il welfare, in modo che il lavoro paghi e si dia il giusto a chi beneficia della spesa sociale e soprattutto ai contribuenti, che tale spesa pagano”.

 

La proporzione “sproporzionata” usata da Osborne alla Camera dei Comuni suona familiare? Sì, perché è già stata usata in un’intervista al Financial Times nel 2012 dalla cancelliera Merkel per descrivere l’eccesso di welfare su scala europea: “L’Europa contiene il 7 per cento della popolazione mondiale, produce il 25 per cento del pil globale e deve finanziare il 50 per cento della spesa sociale del pianeta”. “È ovvio” – aggiunse la cancelliera – “che il continente dovrà lavorare sodo per mantenere la sua prosperità e il suo modello di vita”. Parole, queste, che accompagnarono il lancio della crociata pro-austerità e della lotta fratricida in seno all’Unione tra fautori del rigore e stati membri a indisciplina fiscale variabile.

 

[**Video_box_2**]Cosa ci dice la citazione merkeliana fatta da Osborne? Che, nonostante l’Europa veda a fatica i primi segnali di ripresa – una ripresa, ricordiamolo, che fa rima con quantitative easing e prezzi stracciati del barile –, il ritorno al “business as usual” in termini di spesa sociale appare altamente improbabile. Al centro di tale sforzo ci sono i conservatori europei: e visto che il motore franco-tedesco è bello che andato, la Cdu della Merkel potrebbe non disdegnare la partnership a livello europeo dei Tories britannici, con una ripresa della battaglia per lo snellimento dello stato sociale come apripista di un’alleanza tra i leader delle Europe a due velocità – Germania a capo di quella veloce, Regno Unito di quella più lenta. Col referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione Europea ormai certo, a Berlino potrebbe non dispiacere affatto vendere la riforma del welfare su scala continentale come condizione per tenere Londra nella famiglia comunitaria – specie se un’eventuale Grexit fungerà da memento mori ai paladini della spesa previdenziale.