Sì, voglio tornare al Rigamonti
M aledetti, vi amerò”. Va bene, ammetto di averlo pensato. Di averlo pensato recentemente e con pudore, ma di averlo pensato. E di averlo pensato godendo di quel piacere colpevole che mi afferra ogni volta in cui penso qualcosa che non vorrei, quel piacere di quando sono lì e all'improvviso crolla la baliverna delle mie resistenze. A quel punto cosa faccio? Niente, se non osservare certi pensieri furtivi che poi esagerano e si liberano nella mia testa in variopinta parata: un carnevale di quei pensieri malgré moi, di quei pensieri che chissà, di quei pensieri à pois, che increspano la compatta superficie di quel che sono. Niente paura, adesso mi do una calmata e spiego meglio, senza buttarla in dramma, senza buttarla in psicologia, senza buttarla in nient'altro, dopotutto sia ben chiaro che: 1) non ritengo il calcio un male assoluto, ma solo un male molto relativo; 2) non sono uno snob anticalcistico ventiquattro ore su ventiquattro ma solo a quarti d'ora, e tra l'altro dipende dalla persona con cui sto parlando; 3) io, a dirla tutta, allo stadio ci andavo eccome. Volete la precisione? La volete? Be', allo stadio io ci sono andato per ben cinque anni. Cominciamo, dunque, da un c'era una volta: allo stadio di Brescia, nel 1997, vendevo panini come Di Maio – però votavo Ulivo. Me la facevo su e giù lungo gli spalti e davo via bibite, snack e caffè Borghetti.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
