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di cosa parlare stasera a cena

Con il Covid non c'entra né il liberalismo né Orwell

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

A cena, soprattutto, tenete a bada i nostri liberali un po’ improvvisati, del genere che sostanzia il liberalismo nell’ammutolire il segnale rumoroso della cintura di sicurezza non allacciata. Ora hanno modo di esercitarsi su un bersaglio che sembra facile. Perché ha cominciato la Francia di quell’Emmanuel Macron che dà loro così ai nervi, perché è sì liberale ma le cinture in macchina le allaccia, e ora ha deciso che chi non si vaccina viene mantenuto fuori dalle principali attività sociali e lavorative e subisce, quindi, forti limitazioni alla libertà personale. Qui non ci siamo ancora arrivati, ma qualcosa si sta pensando.

E, pescando proprio a caso, basta un bravo sindaco, attento al desiderio di ripresa della socialità e dell’attività commerciali, per dire cose sensate.

E, allora, ecco svegliarsi il gruppetto liberale, inorridito per l’ingerenza dello stato nelle nostre vite. Non seguiteli nello strepito, l’unica soluzione è abbassare la portata delle lamentele e, di conseguenza, della presunta ingerenza. Dicono, e fanno anche la fatica di scriverlo sui giornali, che lo stato non si impiccia, almeno non arrivando a limitare la libertà personale, di chi mette a rischio la propria salute e anche quella altrui fumando o bevendo alcolici e, quindi, ravvisano, in questi possibili obblighi vaccinali un eccesso nientemeno che orwelliano (poi vedremo). Allora, cominciamo a ridurre la portata di tutte queste obiezioni. Perché questi liberali qui, che credono che il mercato lo porti cicogna, tendono a dimenticare una cosetta di cui un loro maestro, e maestro di tutti, Benedetto Croce, raccomandava lo studio, e cioè, semplicemente, la storia. Il tabacco ha secoli di uso alle spalle. Che faccia male lo sappiamo con certezza almeno dagli anni Cinquanta. Lo stato ne disciplina l’uso con il monopolio (orrore), con la leva fiscale (rendendolo caro) e con alcuni divieti, anche abbastanza recenti, come l’interdizione nei luoghi pubblici. Siamo a un punto di equilibrio tra chi vuole fumare e chi ne è infastidito. Ma il tabacco fa male, sì, ma non è contagioso, o meglio, i suoi danni, anche per il fumo passivo, possono avvenire in anni. E questo rende meno semplice risalire alle sigarette proprio o altrui come cause di una malattia. Lo stesso vale per l’alcol, che lo stato, comunque, tenta blandamente di disincentivare, mentre, appunto, la storia ci consegna splendide colline piene di filari e antiche e profumate cantine. Fa male, certo, ma c’è il compromesso dell’uso moderato, e, anche in questo caso, i guai di salute non arrivano nel giro di 10 giorni da un bicchiere di vino, e quindi si mischiano, anche come portatori probabilistici di malattie, con tante altre concause. Sono, comunque, alcol e tabacco, due consumi radicati, appunto, nella nostra storia. Si possono ridurre, e forse si deve farlo, ma è una partita che si gioca con armi liberali, riducendo i divieti al minimo, ai casi di evidente ricaduta sugli altri, come la guida da ubriachi. Il contagio del virus SARS-Cov-2, ormai lo abbiamo capito tutti, avviene attraverso atti involontari o talmente abituali da non farci caso, come un semplice respiro o il passaggio di un oggetto dalle nostre mani a quelle altrui. I vaccinati vedono precipitare la possibilità di essere infettati e fortemente ridurre quella di infettare. Sono, chiaramente, il fronte della resistenza alla diffusione del virus. Il contagio che può portare al Covid (a meno che non si sia asintomatici del tutto) è estremamente rapido, con le conseguenze visibili in pochi giorni. Non in anni, come, forse, avviene per la successione tra sigarette e tumore, ma in giorni, e la capacità di determinare la malattia è al 100 per cento intestata al virus, senza altri fattori attivi. Allora, lo stato ha pieno titolo, e non c’entra il liberalismo e tantomeno Orwell, nell’imporre regole, anche fortemente limitanti, per chi non si vaccina. Gli ospedali, detto un po’ cinicamente, nei paesi in cui, come in Italia, c’è un buon servizio sanitario nazionale, sono tarati per reggere al prevedibile numero di casi di tumore attesi ogni anno. E questi, si sa, dipendono anche da alcol e tabacco. Ma è un compromesso, appunto, tra condotte di vita libere, e bene così, e gestione dei servizi sanitari. Tutto può migliorare, ma siamo nell’ambito delle cose umane, con lunghe determinanti storiche, perché, appunto, sappiamo che il mercato non lo ha portato la cicogna. Ma se arriva un virus nuovo e da quel virus si viene infettati in pochi giorni, e gli ospedali sono travolti fino a dover chiudere alcuni reparti per occuparsi degli infetti, e sono gli altri uomini e donne a trasportare e trasmettere quel virus, allora è ovvio che le regole di ingaggio cambiano e che la libertà personale è tutelata proprio quando e se la diffusione del virus viene ridotta o perfino impedita e non quando avviene il contrario. E la vaccinazione è l’unico strumento che permette di far convivere mobilità, socialità, e altre libertà, con il controllo dei contagi. È un caso specifico, per fortuna è raro, non è corretto né intelligente usarlo per cercare patenti di liberalismo protestatario. Poi c’è Giorgia Meloni che chissà dove va a pescare nella sua cultura politica tutta questa disobbedienza e questo spirito indipendente, non comunitario né sociale, non unitario né identitario. Che c’entra lei con Orwell? Cioè con un antifascista che va a combattere in Spagna e che è talmente antifascista da diventare anche anticomunista. Non c’entra, ovviamente, ma sente nell’aria questo liberalismo da quattro soldi e si allinea.

Anche dopo Donald Trump succedono cose simili in America.

 

Le tre "cose" principali

 

Fatto #1

L’Europa, con buona pace dei nazionalisti, va avanti nell’approvazione dei piani e ora anche l’avvio dell’attuazione. Quello italiano si chiama Italia Domani, che non è un granché ma almeno non c’è la parola “resilienza”.

 

Fatto #2

La mossa poco politica di Enrico Letta, con l’ostinazione su una linea di partito e non di maggioranza sul Ddl Zan, ora arriva al momento dei primi esami veri. Ma, forse, i tempi non saranno brevissimi.

 

Fatto #3

Una cosa giusta e per niente melonian/salviniana.

 

Oggi in pillole

 

 

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