Mariastella Gelmini (foto LaPresse)

L'uomo accoltellato per un colpo di clacson e la Gelmini, che è all'antica

Redazione

    DELITTI
     

    Paolo Cialini, 47 anni. Di Mosciano Sant’Angelo (Teramo), tecnico informatico, «brava persona», sposato, l’altro giorno, fermo a un incrocio sulla sua Punto bianca con la figlia di 7 anni, suonò il clacson perché uno che stava davanti a lui, il caldaista Dante Di Silvestre, 59 anni, sposato, una figlia ventenne, da tutti descritto come un «uomo mite, gran lavoratore», non si decideva a ripartire. Tra i due scoppiò una lite, il Cialini mollò al Di Silvestre un pugno e un calcio ai genitali, quindi rimontò in auto e fece per andar via ma l’altro lo inseguì, gli tagliò la strada, e davanti agli occhi della bambina senza dire una parola gli infilò un coltello da cacciatore dritto nel cuore.
    Poco dopo le 15.30 di martedì 14 giugno in viale Orsini, pieno centro di Giulianova lido, Teramo.

     

    Angela Fusco, 56 anni. Insegnante di Palma Campania (Napoli), sposata da trent’anni con Aniello Lamberti, 59 anni, noto ortopedico in servizio all’ospedale di Nola, «ironico, sempre allegro». I due da anni non si sopportavano più eppure continuavano a vivere assieme. L’altra mattina, durante l’ennesima lite, lui tirò fuori una pistola e sparò due colpi nella testa della moglie. Subito dopo andò in balcone e si buttò di sotto. Volo di tre piani.
    Alle 10 di mattina di mercoledì 15 giugno in un elegante appartamento in via Croce a Palma Campania (Napoli).

     

    Maria Adeodata Losa, 87 anni. Nubile, senza figli, «riservata e discreta», «benvoluta da tutti», ancora piena di forze nonostante l’età, una vita trascorsa a lavorare come governante a Milano, da qualche tempo era tornata a Torre De’ Busi, in località Sogno, frazione con una sessantina di abitanti sulle montagne lecchesi. Lì viveva con la sorella Leonilda, 96 anni, lucida ma da due anni bloccata a letto per via di una paralisi. Giovedì mattina come d’abitudine andò a comprare la frutta fresca in piazza, poi tornò a casa e in serata aprì la porta a qualcuno che probabilmente conosceva e che chissà perché le infilò un coltello nella gola e nel petto. Il cadavere, trovato sabato a pancia in giù sul pavimento della cucina, in una pozza di sangue, da una pronipote (dalla casa, in ordine, non sarebbe stato portato via nulla).
    Giovedì 9 giugno a Sogno di Torre de’ Busi, frazione sulle montagne al confine fra la provincia di Lecco e quella di Bergamo.

     

    Stefano Melillo, 28 anni. Di Toritto (Bari), da qualche tempo era fidanzato con l’ex moglie di Crescenzio Burdi, 40 anni, operaio. Costui, che lo riteneva responsabile della fine della storia con la donna da cui aveva avuto una bambina, l’altra sera gli diede appuntamento «per parlare» vicino al cimitero di Binetto. Ben presto scoppiò una lite e il Burdi strinse le mani attorno al collo del Melillo. Siccome in quel modo non era capace di ammazzarlo, afferrò una grossa pietra e gliela spaccò sulla testa. Quindi diede fuoco al cadavere con l’idea di farlo sparire ma siccome riuscì solo a bruciacchiarlo lo sollevò e lo gettò in un pozzo pieno d’acqua. Il cadavere, trovato grazie a una telefonata anonima giunta al 112.
    Mattina di martedì 14 giugno a Binetto, provincia di Bari.

     

    SUICIDI

     

    Antonio Bedin, 69 anni. Di Montebello Vicentino, ex dirigente del Pci locale, ex perito chimico nel gruppo Ferroli. Aveva investito tutto nella Banca Popolare di Vicenza, ma pure lui, come gli altri 200mila azionisti delle ex Popolari venete, aveva dovuto assistere al devastante falò della svalutazione. E così le sue quote, acquistate con un investimento di 290mila euro e giunte nel tempo a valere anche mezzo milione, si erano ridotte a nemmeno 800 euro. Tuttavia sul conto aveva ancora 200mila euro. Era però preoccupato, forse anche per delle cure che avrebbe dovuto affrontare per alcuni problemi di salute. Con il fratello Gaetano si lamentava sempre della truffa subita: «Ce li hanno fregati quei soldi, non tornano più indietro», gli diceva spesso. L’altro giorno si chiuse in camera da letto, scrisse un biglietto a Gaetano: «Sto troppo male. Voglio essere cremato e sepolto nella tomba vecchia. In chiesa niente predica, solo un ringraziamento ai presenti». Si raccomandò per i suoi cani: «Trattali bene. I soldi ci sono». Si tirò un colpo di pistola al petto.
    Sera di mercoledì 15 giugno a Montebello Vicentino, centro di neanche settemila anime alle pendici dei monti Lessini.

     

    Matteo Ferrando, 26 anni. Genovese, fidanzato, orfano di entrambi i genitori, viveva con la nonna. Appassionato di basket, street art e viaggi, iscritto all’Università, aveva raccontato a tutti che stava per laurearsi ma in realtà non dava esami da due anni. L’altro giorno andò in un piccolo monolocale dove si rifugiava per stare tranquillo portandosi appresso la 44 Magnum con cui sparava al poligono. Scrisse due biglietti, uno per la nonna, uno per la fidanzata, «Scusatemi se vi ho deluso», si puntò l’arma alla tempia e fece fuoco.
    Pomeriggio di giovedì 16 giugno in un monolocale in via Romana di Quarto, Genova.

     

    AMORI
     

    CARBONAZZI Marta Marzotto nel suo libro  Smeraldi a colazione, da poco pubblicato, ha raccontato che da ragazza era «troppo magra, longilinea, con qualcosa di selvatico e nulla di mediterraneo». Figlia di un casellante ferroviario e di un’operaia, il suo primo lavoro fu quello di mondina nei campi della Lomellina, con le foglie di riso che le tagliavano le gambe e i carbonazzi, enormi bisce nere, che le sgusciavano attorno alle caviglie. Diventata modista e poi modella, fece innamorare di sé Umberto Marzotto, che le diede il titolo di contessa e cinque figli. Pur vivendo negli agi, prese una depressione da cui guarì trasferendosi a Roma. Lì conobbe Renato Guttuso. Si misero insieme, lui la chiamava «dolce libellula d’oro» e le diceva che per lei avrebbe anche smesso di bere. Quella gli rispondeva: «Non smetterai mai, perché se sei felice brindi, e se sei infelice ti ubriachi per dimenticare». Durante la relazione con Guttuso, e ancora sposata con Umberto Marzotto, incontrò Lucio Magri: «La nostra fu una storia importante, che durò dieci anni. Diceva di amarmi. La verità è che amava solo se stesso». Scrive: «Voleva la tavola apparecchiata con tovaglie preziose e ricamate e le stoviglie dovevano essere d’argento. Sono la sola persona di estrazione proletaria che lui abbia mai frequentato». Ruppero malamente, mentre Guttuso le faceva continue scenate di gelosia, durante le quali scagliava preziosi bicchieri Lalique contro le tele: «La gelosia si rivelò per Renato una straordinaria spinta creativa». Nel libro confessa che il letto è ancora il suo regno, ma ormai per farci le telefonate, le parole crociate, i solitari. Ogni giorno si fa ancora stirare le lenzuola di lino col ferro a vapore passato direttamente sul materasso (Marco Cicala, il venerdì 17/6).

     

    CORTEGGIAMENTO Oggi tra i giovani che si corteggiano va di moda l’app per cellulari “Venmo”. Funziona così: un ragazzo invita una ragazza, le compra dei fiori, le paga la cena. Quella, lusingata, si concede. Poi, quando arriva a casa, invece di un tenero messaggio, trova sul cellulare una richiesta di rimborso per metà della spesa (Costanza Rizzacasa d’Orsogna, IoDonna 11/6).

     

    DERIVA Moira Weigel nel saggio Labor of Love: The Invention of Dating, analizza come i riti del corteggiamento negli ultimi cento anni si sono modificati in relazione alle condizioni economiche. Un primo cambiamento fu quando le donne iniziarono a lavorare. Il corteggiamento di tardo Ottocento prevedeva che una giovane invitasse maschi idonei nel salotto di famiglia, con la supervisione dei parenti. Ma nel 1900 il 44% delle single americane lavorava fuori casa e poteva conoscere più uomini in un giorno di quanti, solo dieci anni prima, ne avrebbe incontrati in una vita. Le ragazze che accettavano appuntamenti dagli uomini venivano indagate e spesso arrestate. «Telefoniste, stenografe e commesse mostrano tutte una morale licenziosa», riportava nel 1905 un agente sotto copertura di una speciale commissione sui costumi. Addirittura a Chicago le single venivano chiamate «donne alla deriva». Negli anni Venti le ragazzine all’ultimo anno di liceo intervistate da una sociologa rispondevano in gran numero che il loro sogno era «diventare segretaria del capo e poi sposarlo». Tra il 1945 e il 1960 il reddito pro capite negli Usa aumentò del 35%, e i giovani ebbero a disposizione più soldi che mai prima per frequentare fast food e drive in. Ad allarmare i genitori era l’automobile e nel 1930 un preside dell’Università del Michigan deplorava «la facilità con cui una coppia può appartarsi, lo spirito di avventato abbandono causato da alta velocità e chiari di luna». Negli anni Sessanta, la maggior parte dei locali vietava l’accesso a donne non accompagnate: a New York, nel 1965, un giovane desideroso di conoscere assistenti di volo e segretarie che lavoravano in zona aprì un posto e nacque il bar dei single. Negli anni Ottanta, i servizi di dating via videocassette usati dagli yuppies furono i precursori dei siti web e delle app (ibidem).

     

    MAKE UP Una donna americana spende nella vita 15mila dollari in cosmetici. Viene chiamata “make up tax”, la cifra da pagare perché una donna risponda agli standard di bellezza (ibidem).

     

    SOLITUDINE Mariastella Gelmini, è fidanzata? «Dagospia me li attribuisce ma non è vero niente». Che peccato… «Guardi, ho elaborato il lutto della separazione e quando la sera torno nella mia casa vuota, mi monta dentro una serenità. La solitudine, se scelta e non subita, è stretta parente della felicità». Avrà un sacco di pretendenti? «Con il lavoro che faccio sono sempre in mezzo agli uomini, in un clima spesso cameratesco e sono arrivata a conoscerli troppo bene perché scatti qualcosa». Non è necessario risposarsi… «Il vostro direttore Feltri scherzando mi ha consigliato un fidanzato giovane e a tempo. Ma io sono rimasta all’antica» (Pietro Senaldi, Libero 13/6).

     

    LETTERE Il calciatore Salvatore Sirigu ha conquistato la fidanzata, l’attrice francese Camille Verschuere, scrivendole lettere d’amore (Francesco Saverio Intorcia, la Repubblica 12/6).