Pierfrancesco Favino, uno dei protagonisti di Suburra (foto LaPresse)

Il pensionato che ha sparato al ladro albanese e la protesi al pene di Favino

Redazione

    Delitti
     

    Vito Amoruso, 47 anni. Residente a Torino, allenatore di una squadra di calcio a 5, alle spalle una condanna per appropriazione indebita, mozzarelle per quasi mezzo milione di euro, nel 2002, era titolare di una ditta che importava prodotti tipici dalla Puglia, da dove venivano i suoi genitori. Descritto da chi lo conosceva come una «bravissima persona, sempre gentile, che pensava soltanto al lavoro», scapolo, da qualche tempo frequentava una bella ragazza bionda. L’altra mattina come d’abitudine uscì di casa e si diresse verso il caseificio Castoro, dove ogni mattina faceva spesa di formaggi, ma ad aspettarlo a bordo di una Fiat 500 scura c’era qualcuno che appena lo vide uscì dall’auto, imbracciò un fucile da caccia e gli sparò nella schiena un pallettone di quelli che s’usano per abbattere i cinghiali. Morto poche ore dopo in ospedale.
    Alle 7.30 di giovedì 22 ottobre in via Valdieri, a poche centinaia di metri dal palazzo di giustizia di Torino.

    Domenico Aporta, 24 anni. Napoletano, precedenti per rapina e spaccio, considerato vicino al clan Vanella Grassi. L’altro notte era in strada col fratello Mariano, 21 anni, incensurato, quando arrivò qualcuno che lo freddò con una raffica di mitraglietta alla testa. Il fratello ferito a un braccio corse in ospedale e avvertì la polizia: tre ore dopo, quando gli agenti andarono sul luogo del delitto, il cadavere era ancora lì e nessuno aveva dato l’allarme.
    Mezzanotte di venerdì 16 ottobre in via Monte Faito, zona popolare al confine tra i quartieri di Secondigliano e San Pietro a Patierno (Napoli).

    Gjergii Gjoni, 22 anni. Albanese, arrivato in Italia nel 2012, numerosi precedenti penali alle spalle, di notte entrava nelle case della gente per rubare. Colto in flagrante, nel 2013 era stato espulso ma era tornato: abitava a Trezzo sull’Adda, nel Milanese, insieme alla fidanzata Mirela, 30 anni. L’altra notte, con due complici, ebbe l’idea di fare una rapina in una villetta dove da agosto i ladri erano già entrati tre o quattro volte. La villetta è divisa in appartamenti: in un appartamento abita Francesco Sicignano, 65 anni, pensionato, ex imprenditore immobiliare originario di Terracina (Latina), con la moglie; in un altro suo figlio con la consorte e i bambini. Gjoni e i suoi compari, dopo aver gironzolato un poco lì intorno, entrarono nel giardino. A quel punto l’albanese si tolse le scarpe, si tolse i calzini, adoperò i calzini a mo’ di guanti per coprirsi le mani. Finì che si beccò una pallottola nel cuore, sparata dal Sicignano: il pensionato, dal 2004, dormiva con una pistola sul comodino. Ai magistrati ha raccontato che avendo sentito dei rumori aveva capito, era balzato dal letto, col cuore in gola era andato di là a vedere, nel buio in cucina s’era trovato di fronte una sagoma minacciosa «con un arnese in mano» e aveva sparato. Ma secondo la Procura, che lo indaga per omicidio volontario, il colpo è partito dal terzo piano, fuori dalla porta dell’alloggio. Ha colpito dall’alto verso il basso, forse da una finestra, il ladro che stava salendo la scala esterna. In tutto l’appartamento dei Sicignano non sono state trovate tracce di sangue, né segni di effrazione, e in casa è stato repertato un solo proiettile inesploso.
    Notte tra lunedì 19 e martedì 20 ottobre in una villetta rosa su tre piani al civico 9 di via Cagnola a Vaprio D’Adda, estremo lembo orientale della provincia milanese, al confine con quella bergamasca.

    Giuseppe Sebastiano Mulas, 51 anni. Di Benetutti (Sassari), allevatore, fino allo scorso luglio in galera per detenzione illegale di armi e refurtiva. L’altra sera stava rientrando nella sua casa di campagna col figlio ma non fece in tempo a scendere dall’auto che qualcuno gli sparò addosso due colpi di fucile.
    Poco dopo le 19 di martedì 20 ottobre nelle campagne di Benetutti, Sassari.

    Raffaele Stravato, 39 anni. Di Scampia (Napoli), noto alle forze dell’ordine per reati collegati a spaccio e furti, vicino al clan Lo Russo, l’altro pomeriggio stava andando in auto nella zona dove era solito vendere droga quando s’accorse che qualcuno lo seguiva. Allora scese dall’auto e scappò a piedi nel dedalo di case popolari di via dell’Abbondanza ma mentre correva fu raggiunto da cinque colpi di pistola: uno alla gamba, uno al collo, due alla schiena e uno alla testa.
    Alle 15 di venerdì 23 ottobre in via dell’Abbondanza, Napoli.

    SUICIDI

    Un ragazzo di 20 anni. Romano, bravo negli studi, gentile con tutti, tanti amici, da qualche tempo era triste perché la fidanzatina, di cui era innamoratissimo, l’aveva lasciato. L’altro pomeriggio si chiuse in camera sua, scrisse un biglietto per la mamma e il papà, «vi voglio bene», legò una corda alla maniglia della finestra, l’altro capo se lo girò attorno al collo, e si lasciò penzolare. A trovarlo così fu il padre.
    Pomeriggio di martedì 20 ottobre in un appartamento nel quartiere Flaminio Nuovo a Roma.

    Amori
    Favino ha girato le scene di sesso di “Suburra” con una protesi al pene. Nozze a tre in Brasile

    PAULINE Quando negli anni Venti conobbe Pauline Pfeiffer, senza petto, capelli corti e labbra dipinte, Ernest Hemingway, allora follemente innamorato di sua moglie Hadley Richardson, la snobbò come l’ennesima «ragazzina ricca e viziata». Ma Pauline era una ragazza molto determinata. A casa, negli Stati Uniti, suo padre e suo zio erano così ricchi che praticamente possedevano tutta la città di Piggott, Arkansas, e lei era cresciuta con la convinzione che avrebbe potuto avere tutto quello che voleva. E quello che voleva in quel momento era Ernest Hemingway, il giovane e attraente scrittore senza un soldo che doveva ancora sfondare nel mondo della letteratura. Così iniziò a frequentare la loro casa e a invitare tutta la famiglia Hemingway a cena, tanto sapeva che Hadley sarebbe rimasta a casa con il figlioletto Bumby e che così sarebbe restata sola con Ernest. La storia iniziò un giorno che Pauline lo invitò al suo appartamento: «Accadde tutto molto velocemente», disse Hemingway, «il sesso con lei diventò una specie di narcotico e mi ritrovai ad amarla come amavo mia moglie, le amavo entrambe». Quando Hadley si rese conto dell’affaire del marito si trasferì con il figlio in un altro appartamento e diede un ultimatum a Hemingway: se lui e Pauline Pfeiffer non si fossero visti per 100 giorni e dopodiché lui l’avesse ancora amata, lei avrebbe chiesto il divorzio. Pauline accettò la sfida e tornò negli Stati Uniti ma non ci fu bisogno di aspettare tutto quel tempo. Dopo 75 giorni Hadley presentò la richiesta di divorzio e Pauline organizzò il suo matrimonio con lo scrittore (Dailymail.co.uk 22/10, traduzione Dagospia).

    POLIAFFETTIVI A Rio de Janeiro il notaio Fernanda de Freitas Leitão, qualche giorno fa, ha sancito la prima «unione poliaffettiva» tra tre donne: un’imprenditrice, una dentista e una dirigente amministrativa, età compresa tra i 32 ed i 34 anni, tutte benestanti e tutte pronte a promettersi «amore eterno», hanno assicurato loro al quotidiano O Globo, senza però rivelare i nomi per evitare ripercussioni sul lavoro. Una delle tre neospose: «Nel 2016 darò alla luce un bebè e questa unione è anche un modo per tutelare il nostro futuro, dandoci i diritti di cui godono tutti gli altri, a cominciare dalla licenza maternità». Qualche tempo fa, un’altro notaio brasiliano, Claudia do Nascimento Domingues, aveva già dichiarato «marito e moglie e moglie» una relazione composta da un uomo e due donne che, dal 2009, vivevano stabilmente sotto lo stesso tetto. In Brasile la poligamia è vietata ma da alcuni anni la Corte Suprema ha fatto giurisprudenza creando la fattispecie dell’«unione poliaffettiva» (Paolo Manzo, il Giornale 21/10).

    GIULIETTA 1 Federico Fellini e Giulietta Masina si conobbero verso la fine del 1942, e fu amore immediato. Quella sera lei tornò dalla zia in preda a una visibile eccitazione e continuava a parlare di Federico Fellini. «È strano, misterioso», diceva. «È magro come uno scheletro. Sembra un fachiro, somiglia a Gandhi. È tutto occhi; ma sono occhi profondi, inquieti, indagatori». Anche Federico ne era stato colpito. A un suo caro amico, il pittore Geleng, disse: «È un peperino piccolo piccolo, mi piace tanto, mi fa tanto ridere». Il matrimonio venne fissato per il 30 ottobre 1943: lui aveva 22 anni, lei 21. In seguito, Giulia confidò che fin da bambina pensava a quel giorno. Sognava di indossare un abito bianco, con lo strascico, e si immaginava di entrare in una grande chiesa romana, passando tra due ali di una folla di parenti e amici, mentre l’organo suonava la marcia nuziale. Ma la realtà le riservò una cerimonia ben diversa. Molte vie erano pattugliate dai nazisti. La gente aveva paura di uscire di casa. E Federico era in una posizione illegale: avrebbe dovuto essere sotto le armi e invece, renitente alla leva, se ne stava a casa. Vicino all’appartamento della zia, abitava un monsignore molto anziano e non in buone condizioni di salute. Per questo aveva avuto il permesso di celebrare messa nella sua casa. Si chiamava Luigi Cornaggia Medici. Celebrò le nozze dei due giovani nel salotto del suo appartamento. C’erano una decina di invitati, tra parenti e amici. Nello stanzone c’era anche un vecchio armonium da chiesa e Riccardo Fellini, fratello di Federico, che studiava musica, suonò l’Ave Maria di Schubert (Renzo Allegri, Chi 22/10).

    GIULIETTA 2 Un giorno un giornalista chiese a Fellini come ricordava il primo incontro con Giulietta. Il regista rispose: «Il nostro primo incontro non me lo ricordo, perché in realtà io sono nato il giorno in cui ho visto Giulietta per la prima volta» (ibidem).

    PROTESI Pierfrancesco Favino a proposito della scena di Suburra in cui fa sesso con due donne: «Sono stato imbarazzatissimo. Prima abbiamo fatto una prova mezzi svestiti io, le ragazze, il regista e l’aiuto regista in una stanza d’albergo dove ci siamo ritrovati a discutere e mimare posizioni. Poi c’è stato il set, e lì c’era il cast al completo, compresi i truccatori che mi avevano applicato una protesi laggiù, per farmi stare più tranquillo» (Silvia Nucini, Vanity Fair 21/10).