Alberista o presepista? Chiedilo a Bellavista

L'ennesimo déjà-vu: quarant'anni prima di Giorgia Meloni, era stato Luciano De Crescenzo a introdurre quei due termini e a delineare una geo-filosofia dell'Europa basata sulla scelta delle decorazioni natalizie

Guido Vitiello

"Da quest'anno da alberista divento presepista", ha annunciato Giorgia Meloni in un video del 14 dicembre che sembrava fatto apposta per essere sbertucciato dal primo all'ultimo secondo, come è puntualmente accaduto e come era giusto che accadesse. Ma proviamo a trattenere per un attimo le risate e a fare almeno finta di prenderlo sul serio, come il manifesto ideologico di una nuova destra pronta a schierare i suoi pastorelli e a lanciarli nella "rivoluzione del presepe". Prima di tutto, un po' di filologia. La grande divisione tra alberisti e presepisti non è nuova, l'aveva introdotta Luciano De Crescenzo in un libro del 1977, Così parlo Bellavista (da cui, nel 1984, il film omonimo). Ecco la formulazione del professor Bellavista:

Veda, gli esseri umani si dividono in presepisti ed alberisti e questa è una conseguenza della suddivisione del mondo in mondo d’amore e mondo di libertà (...); la suddivisione in presepisti ed alberisti è tanto importante che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti d’identità come il sesso ed il gruppo sanguigno. (...) Adesso sembra che io esageri, eppure è così: l’alberista si serve per vivere di una scala di valori completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti l’Amore e la Poesia.

È una versione vernacolare appena mascherata, eppure facilmente riconoscibile, della grande dicotomia su cui si è retto tutto il pensiero conservatore tedesco dall'Ottocento in poi, culminando nei proclami degli ideologi del Terzo Reich (che in verità imbrogliarono un po' le carte, ma questo è un altro discorso): parlo della spaccatura tra i valori spirituali e tradizionali della Kultur e gli pseudovalori degradati della Zivilisation industriale, capitalistica e democratica. Una linea di faglia che dai romantici arriva a Oswald Spengler e ai teorici della Rivoluzione conservatrice, e che per un periodo attraversa anche Thomas Mann - che negli anni Venti fu un fervente presepista della Kultur prima di convertirsi all'alberismo della Zivilisation

Da quella distinzione originaria il professor Bellavista ricava anche una geo-filosofia portatile, che espone alla sua piccola accademia di sfaccendati. Così come esistono uomini d'amore e uomini di libertà, ci sono popoli d'amore e popoli di libertà. Sulla cartina politica dell'Europa, i popoli d'amore (indicati in nero) sarebbero l'Italia, la Spagna, l'Irlanda, la Polonia, la Grecia. Sul versante della libertà, intesa prima di tutto come volontà di farsi i fatti propri, ci sono invece l'Inghilterra, tutta la Scandinavia e la Germania. La teoria di Bellavista si sovrappone quasi perfettamente alla rilettura un po' grossolana che lo stesso De Crescenzo (capitolo su Epicuro nel secondo volume della Storia della filosofia greca, 1986) diede di un'altra famosissima dicotomia tedesca, quella tra Gemeinschaft e Gesellschaft, ossia tra Comunità e Società, introdotta da Ferdinand Tönnies alla fine dell'Ottocento. Agli occhi di De Crescenzo il meridione d'Italia, dove tutto si ottiene per via di legami personali, è la comunità quintessenziale, mentre il miglior esempio di una società fredda e legalistica è l'Inghilterra. In Italia, aggiunge, gli inglesi sono i milanesi.  

E qui l'affare si complica perché, due giorni prima che Giorgia Meloni lanciasse il Presepe dell'Amore, il milanese Silvio Berlusconi aveva riproposto il suo Albero della Libertà, "disegnato in una notte insonne" (sic). Come tenere insieme la destra presepista e la destra alberista? Non basta una strategia; ci vuole, se permettete, un pensiero poetico: siamo partiti con un'ala soltanto, e possiamo volare verso il 40 per cento solo restando abbracciati...