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Il convegno
Raffaello e Hayez, file digitali per Brera. Non sono “copie”, è innovazione
Due gioielli della Pinacoteca riprodotti grazie a un file speciale che genera su uno schermo un’immagine ad altissima definizione. Nuova linfa per musei a caccia di servizi e progetti per "agganciare” finanziatori. Anche il doppio, se è digitale, val bene la sua parte
Un tempo della “firma” importava poco o nulla. Anzi, a dirla tutta, nell’antichità quando qualcosa piaceva si ricorreva a repliche e copie senza alcun problema. “Nella storia dell’arte l’originale non è mai bastato”, dice Angelo Crespi, direttore generale della Pinacoteca di Brera di Milano dove ieri pomeriggio si è tenuto un convegno – “appuntamento scientifico” recitava l’invito – dal titolo “Copie, repliche ed edizioni nella storia dell’arte” (con omonima pubblicazione, c’è un quaderno a cura di Arturo Galansino, direttore generale di Palazzo Strozzi: merita la lettura, uscirà a breve per Moebius in italiano e in inglese).
Buono il poker dei relatori: i prof di Storia dell’arte Simone Facchinetti, Giovanni Maria Fara, Francesco Guzzetti, Maria Cristina Terzaghi con Salvatore Settis, accademico dei Lincei. A fare da cornice al convegno le prime edizioni digitali de “Lo sposalizio della Vergina” di Raffaello e de “Il bacio” di Hayez: accurate versioni digital degli originali, entrambi gioielli della Pinacoteca di Brera, qui riprodotti grazie a un file speciale che genera su uno schermo un’immagine ad altissima definizione. Guai a chiamarle copie, ché quelle, nel migliore dei casi, sono riproduzioni in HD normalmente in commercio; e nel peggiore opera di scafati falsari. Queste “digital version” sono in sé uniche, giacché numerate in numero romano da I a IX e – secondo Crespi – rappresentano una nuova linfa per musei sempre a caccia di servizi e progetti per “agganciare” donor (finanziatori, mecenati). Lo spiega Marco Cristiani, fondatore di Galleria Continua e presidente di Save the Artistic Heritage, no profit che, insieme al partner tecnico Cinello, collabora con Brera anche al progetto delle edizioni digitali di Raffaello e Hayez: “La tecnologia può servire a bloccare le frodi, a ribadire il diritto d’autore e di proprietà dei musei rispetto alle opere che custodiscono, a smascherare i falsari e anche a creare nuove forme di empatia con le opere”. Cristiani al momento è impegnato in un tour tra Cina America ed Europa per proporre sei delle nove copie numerare di Raffaello e Hayez a “donatori” (“patron”, si dice), ovvero mecenati che comprano un’edizione digitale “per proteggere il valore originale dell’opera del museo, diventandone a modo loro custodi”.
Il progetto è avviato – merito di Crespi essere all’avanguardia su questo fronte – e sarà interessante seguirne gli sviluppi: chi si farà coinvolgere? Il tema della nuova frontiera delle copie nel mondo dell’arte è del resto materia interessante da maneggiare, come dimostra il convegno a Brera di ieri. Per un Caravaggio, ricorda la specialista Terzaghi, che produsse una serie di opere seriali per necessità economica e i cui pezzi, dopo la morte, furono giudicati troppo originali per essere copiati, c’è un Dürer, ricorda Fara, che deve alle copie sul mercato gran parte del suo successo. In epoca contemporanea è l’Arte povera a credere nei multipli d’autore (“scelta politica”, dice Guzzetti, per abbassare i costi e aumentare l’accessibilità all’arte) ed è incredibile, nota Facchinetti, come il valore di mercato di certe copie-eccellenti sia folle (3 milioni di euro battuti all’asta per la cosiddetta “Gioconda di Hekking”). Settis – che alla serialità delle opere d’arte del passato dedicò la mostra di apertura della Fondazione Prada: nel 2015, gran progetto – ragiona ora sulla “fluidità” del concetto di copia: Oriente e Occidente ne hanno visioni diverse e non tutti i doppioni sono uguali.