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un libro per una nostrana mitologia patriottica
Make Mille Great Again, tentativo di riscoperta degli italici padri fondatori
Gli americani sono sempre riusciti in maniera naturale a creare una mitologia ideale comune, mentre l'Italia distrutta dai regionalismi non è mai riuscita a costruire una tradizione-guida che unisca tutti e che non abbia a che fare con il tennis
Uno degli elementi che ha permesso all’esperimento americano di funzionare è stato, fin dagli inizi, la creazione piuttosto naturale di una comune mitologia ideale. I padri della patria – Jefferson, Adams, Franklin, Hamilton, Madison… – sono stati per quasi due secoli e mezzo la guida morale di ogni classe sociale e di ogni partito. Una vecchia canzone di Pete Seeger sfotteva il fatto che a scuola si insegnasse che George Washington non mentisse mai, e per quanto possa apparire esagerato – un po’ come la storiella propagandistica nordcoreana che Kim non abbia bisogno di usare la toilette – l’affresco dell’apoteosi del primo presidente regge strutturalmente la cupola del Campidoglio.
George Washington ha rifiutato la corona dopo il suo mandato presidenziale, diventando di fatto laica divinità della cosmogonia a stelle e strisce. Questo apparato si è scalfito un po’ con la feroce e cieca iconoclastia che vuole dipingere i primi presidenti come schiavisti, proprietari terrieri e uomini bianchi etero cis – e infatti l’America va come va – ma è stato rincuorante per molti vedere che le più grandi proteste pacifiche sul suolo statunitense siano nate per contrastare la monarchia, con tantissime bandiere nazionali e la Costituzione del 1788 come manifesto. Non a caso, le proteste sono state amate anche dai conservatori “NoTrump”, per via del loro sentitissimo patriottismo.
Curioso però che in Italia non solo non si sia mai riuscita a creare una mitologia comune, distrutta dai regionalismi, ma che nemmeno questo governo – che dovrebbe aspirare a essere il più patriottico dal ’46 – riesca a costruire una tradizione-guida che unisca un po’ tutti e che non abbia a che fare con il tennis. Sappiamo che oramai molti italiani fanno fatica a ritrovare orgoglio in Enea, in Cibele, o nelle basiliche pitagoriche del sottosuolo romano (un peccato, ma per illuminarsi si legga George Dumézil o gli articoli che il ministro Alessandro Giuli regalava a questo giornale qualche anno fa, in parte riuniti in Antico presente, Baldini+Castoldi). Sarà perché il liceo classico non è più quello di una volta o perché la complessità del remoto pagano non permette i manicheismi da talk.
Ci si può però avvicinare nella storia e tirare fuori i propri padri della patria dall’800. Perché nel “caro vecchio conio” c’erano Marconi e Montessori – nobilissimi certo, ma “tecnici” – e non Garibaldi o Cavour? Perché sulle monete, mentre i francesi celebrano l’idea astratta e sacra della Marianna (e per gli anniversari Mitterrand, De Gaulle e Asterix, i tre grandi politici d’oltralpe), noi mettiamo opere d’arte, sottolineando il cliché di paese-museo? Davvero, come il 25 aprile, Mazzini e Mameli rischiavano di essere figure divisive? Anche perché nei nostri founding fathers c’era tutto, dall’estremismo rivoluzionario di sinistra alla destra storica liberale passando per il protoeuropeismo. Casca benissimo in questo discorso il nuovo libro di Lorenzo Pavolini, Mille, che ci immaginiamo sarebbe piaciuto a Bettino Craxi, che collezionava memorabilia garibaldini tra cui vere camicie rosse.
Mille è un po’ il tentativo di un M risorgimentale (grazie al cielo non in quattro volumi) ma senza la costante agenda di denuncia scolastica scuratiana. Un romanzo corale con tanta ricerca sugli eroi quasi senza nome che han fatto l’Italia, con un mix di contemporaneo stile carrériano per respirare un po’ d’autofiction – “Devo smettere di mandare foto di suore. Non è sano. Ma il Giubileo qui sotto impazza. L’esquilino è tutto loro”, scrive Pavolini, mentre studia le vite di quei “gatti neri che attraversano la via della Storia, col rischio di prendersi un calcio”. Make Mille Great Again. “Noi che saremo ‘i mille’, partiamo da Quarto la notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 a bordo del Piemonte e del Lombardo, piroscafi a vapore con le ruote a pale sulle fiancate, tipo quelle del Mississippi”.