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L'editoriale dell'elefantino
Il midcult perbenista che tiene in vita Pasolini senza capirlo
La sua forza, anche poetica, è che era molto diverso da come è stato poi mummificato nel linguaggio comune. Siamo riusciti a fare, della sua magia delinquenziale e lumpen, un ninnolo vagamente trasgressivo della piccola borghesia omologata e rampante
Lo sciocchezzaio su Pasolini furoreggia, pazienza. Il sacro, l’espansione della coscienza, che non si sa bene cosa voglia dire, la censura, il dileggio omofobico, santità e marginalità di un letterato borghese narcisista fatto martire, ma integrato e di opulento successo, attacco all’uomo medio razzista, colonialista, consumista. Si dimentica volentieri che era contro l’aborto, contro la scuola di stato, contro la televisione, i pilastri e gli schermi ideologici del contemporaneo, i vettori principali della filosofia dei diritti e della rete. Aveva un bel volto, un bel corpo di cui era suddito fedele, un’anima tragica e sensuale. Sopra tutto, era sorprendente, come accade ai provocatori e agli artisti impenitenti. Fosse sopravvissuto alla marchetta fatale dell’Idroscalo, avrebbe difeso i preti pedofili e la loro solitudine, la loro tenerezza cristica sfregiata dal virtuismo a lui completamente estraneo, che è invece il succo dei nostri austeri pregiudizi, avrebbe indagato magari sulla fede e chiesto la fine della separazione tra chiesa e stato, chissà. La forza anche poetica di Pasolini è che era molto diverso da come è stato poi mummificato nel linguaggio comune, messo a disposizione della cultura media dell’uomo medio che detestava.
Era anche molto confuso, ne sbagliava tante, questo era il suo fascino di romanziere mancato, di poeta laureato in lirismo politico, di cineasta brillante ed esotico, di nullista carico di realtà come la sua Giulietta Gran Turismo. Siamo riusciti in cinquant’anni a fare, della sua magia delinquenziale e lumpen, un bibelot, un ninnolo vagamente trasgressivo della piccola borghesia omologata e rampante. Giuro che si rivolta nella tomba, a Casarsa, e si annoia alla sola idea del monumento per scolaresche ignare a lui edificato all’Idroscalo, pedonalizzato e aiuolizzato. Il suo posto non era nel Pantheon delle bellurie, per quanto certo suo estetismo si prestasse alla erezione di un midcult perbenista come quello che gli è toccato in vita e in morte.
La sua passione civile aveva un tratto tipicamente italiano, il trasformismo. Era comunista come d’obbligo tra i letterati, ma nemico del progressismo e della sinistra; cattolico e peccatore, ma con un rantolo mistico di tipo luterano, una teologia della croce eretica per la sua chiesa; massimo critico del conformismo di massa, lo alimentava con la sua poetica sociale, fino alla svolta dei suoi saggi o elzeviri infuocati della fine della sua stagione. Le sue contraddizioni erano trasversali, popolari e individualiste, coltivate con un senso del teatro e del plateale inaudito. Morto per disperazione e per amore, è tenuto in vita dall’allegra inconsapevolezza di un mondo di naufraghi che non sanno di esserlo.