
Il cane Griff, mascotte della Drake University in Iowa (foto Getty)
Amico bulldog. Così politici e celebrità si sono innamorati
Da lottatore truculento a clown bonario. Sembra letargico ma non gli sfugge niente. Lewis Hamilton ha ricordato il suo Roscoe sui social: valanga di “cuori”. Per Zaia è il “paraculismo fatto cane”, ma è al terzo mandato cinofilo
Di sottofondo alla scrittura non c’è una musica d’ambiente. Neppure il “sordo acciottolio” di altre tastiere che animava lo stanzone della cronaca al The City Light raccontato da Tom Wolfe nel Falò delle vanità, “come se fosse in corso un immenso torneo di mah-jong”. Piuttosto, ad accompagnare chi redige queste righe dedicate al bulldog è un russamento fragoroso e regolare, quasi fosse governato da un metronomo, proveniente dal divano dove da qualche anno s’è insediato giustappunto un esemplare di questa razza. Non è il primo né sarà probabilmente l’ultimo, anche se bisogna dar ragione a Luca Zaia, appassionato recidivo, quando definisce i bulldog “cafoni” e “paraculismo fatto cane”. Malgrado tutto il governatore del Veneto non ha esitato a infliggersi un terzo mandato cinofilo, sicché dopo Mafalda e Isotta è stato il turno di Caterina. Nessuna meraviglia circa l’onomastica della razza, che non asseconda quasi mai l’assegnazione di nomi canini bensì di quelli tipici dei cristiani. Seppure l’anagrafe di un allevamento registri il cucciolo con qualche pomposo appellativo da pedigree, sarà sostituito all’entrata in casa dell’ospite appena lo si guarderà meglio in faccia (perché il bulldog non ha semplicemente un muso). Perciò tra i panciuti esemplari di origine inglese si ritrovano più Orazio, Achille e Rocco, più Giacinto e Oreste di quanti esseri umani capiti ancora di sentir chiamare così.
Simpatici a prima vista agli estranei che li incrociano per strada, ma non sempre agli altri cani, belli per ossimoro in virtù della mostruosa complessione, ai bulldog lo standard internazionale riconosce come pregi le caratteristiche che in razze diverse sarebbero considerate gravissimi difetti. Solo la proverbiale pertinacia inglese, intenta a un’assidua selezione per circa due secoli, poteva produrre un risultato simile, che ha anche l’effetto indesiderato di predisporre i bulldog a malanni maggiori e minori la cui prevedibilità suscita, verso i padroni, il malcelato sorriso dei veterinari. E’ un ghigno oscillante tra il compassionevole “qui vi aspettavo” e un cinico “te la sei cercata”, a seconda dell’inclinazione alla bontà di ogni singolo dottore.
Nelle settimane scorse i follower del campione di Formula 1 Lewis Hamilton hanno partecipato all’ansia per la salute del suo bulldog Roscoe, inseparabile compagno dal 2013; hanno risposto all’appello di pregare per lui; hanno condiviso il lutto quando il cane non ce l’ha fatta e si sono commossi alle immagini dell’addio pubblicate su Instagram dal pilota. Se fossero, come ormai tutti tendono a credere, i numeri e soltanto i numeri a ponderare gioie e dolori, successi e cadute di uomini e imprese, basterebbe citare i 5,3 milioni di “cuori” e gli oltre centomila commenti al reel intitolato “Roscoe forever” in cui Hamilton ha condensato i momenti più felici trascorsi assieme all’inseparabile amico, che ha onorato riportandone l’effigie sul suo account seguito da circa 41 milioni e mezzo di utenti. Chi ha avuto un cane può capire. Chi ha avuto un bulldog capirà doppiamente.
Una volta pensionato dai combattimenti contro i tori, fu introdotto nella vita civile smorzandone l’indole fino a produrre l’“ipertipo”
Superato per diffusione dal più piccolo cugino francese, il bouledogue che è stato negli ultimi anni ed è tuttora la razza più popolare negli Stati Uniti, il bulldog inglese resta emblema imbattuto nell’immaginario occidentale anche presso chi lo recepisce solo per la simbologia. Il momento di fulgore coincise con la Seconda guerra mondiale, quando nell’“ora più buia” i vignettisti dal Daily Express lo raffigurarono con la testa del primo ministro britannico Winston Churchill, il quale ne aveva posseduto uno in gioventù ma in quegli anni s’era convertito alla compagnia del barboncino Rufus e del gatto Nelson. Col suo cruento passato di cane da combattimento, con quel grugno truce e impavido, il bulldog assurse a rappresentazione del temperamento nazionale, al “never give up” mentre i bombardieri del Terzo Reich flagellavano Londra e Adolf Hitler giocherellava con la sua femmina di pastore tedesco, Blondi, sul solarium del Berghof assieme al capo della Luftwaffe Hermann Göring che sorrideva compiaciuto nell’uniforme bianca.
Nel tempo però il fascino del bulldog, peraltro mai ammesso fra i pet della cinofila famiglia reale, non è rimasto confinato oltre Manica. Per quelle stesse doti di tough guy è stato eletto a marchio di una birra, a mascotte dei Marines americani, di molte squadre sportive e di oltre quaranta università statunitensi tra cui Yale e Georgetown. Al di là delle virtù caratteriali, tuttavia, i più non riconoscono al profilo prognato di quel capoccione la brillante intelligenza di un border collie né la tendenziale aggressività di un rottweiler, sicché la sua guappesca sembianza diventò anche oggetto di celia in uno dei cartoni animati più famosi nel mondo, lanciato proprio negli anni Quaranta: chi ha visto Tom & Jerry ricorderà il burbero e muscoloso Spike nella indefessa ma ottusa difesa del topo contro il gatto di casa.
La crociata per frenare gli eccessi della selezione: difficoltà respiratorie, possibili problemi cerebrali, dermatiti, patologie articolari per l’eccessivo peso
La verità è che il bulldog, una volta pensionato dai combattimenti contro i tori, fu redento lentamente per introdurlo nella vita civile smorzandone a poco a poco l’indole sanguinaria e accentuando via via le sue caratteristiche somatiche fino a produrre il cosiddetto “ipertipo”, con la testa sempre più grande e solcata di rughe, sicché negli ultimi anni la cinofilia internazionale ha bandito una sorta di crociata a tutela delle razze brachicefale, tra cui il King Charles spaniel, per frenare gli eccessi della selezione. Difficoltà respiratorie, possibili problemi cerebrali, frequenti dermatiti, patologie articolari per l’eccessivo peso, parti difficili per il bacino stretto. Eppure nonostante tutto da Hamilton a Zaia, da David Beckham a Leonardo DiCaprio, da Brad Pitt a Adam Sandler con i suoi Meatball e Bagel, il bulldog ha annoverato anche tra le celebrità una sfilza di masochisti che se ne sono innamorati. Tra loro Truman Capote con Maggie, che probabilmente gli avrà fatto da sottofondo mentre batteva a macchina russando come nessun altro cane può e lo scortava nelle passeggiate al mare.
Per quale inesplicabile impulso ci si appioppi un bulldog, non bastando la bellissima ragione estetica della sua bruttezza, lo ha spiegato forse nella maniera più semplice l’esponente repubblicano americano Jim Justice, un omone alto due metri già governatore della Virginia Occidentale, quando ad aprile scorso portò in Senato la sua Babydog: “Perché ci rende più umani”, dichiarò al microfono mentre teneva in braccio l’ingombrante fardello di quasi trenta chili. Ed è per la stessa ragione che l’ha eletta a emblema di diverse iniziative, per esempio intitolando “Do it for Babydog” la lotteria promossa tra chi si vaccinava durante la pandemia di Covid-19. Sebbene la storia registri due presidenti proprietari di bulldog (Warren Harding con Old Boy e il suo successore Calvin Coolidge con Boston Beans), Justice è stato il primo politico statunitense a coinvolgerne uno nell’attività pubblica con relativo account su X.
Se qualche bambino lo tormenterà non gli si rivolterà improvvisamente contro, perché nei cromosomi è avvezzo a sopportare molestie e dolore
Ora, immaginate un guerriero che le abbia viste tutte, cresciuto per lottare e morire nell’arena contro i tori tra gli schiamazzi e le scommesse della hooliganica plebe inglese; un pensionato dell’orrore che dopo la proibizione dei bull-baiting fu riconvertito a guardia dei navigli ma eccedeva ancora nello zelo; un gladiatore corto di zampe ma dalla mascella ferrea chiamato a tramutare la truculenza del wrestler nella bonarietà del clown (due estremi che spesso si toccano); immaginate questo reduce che dopo tante storiacce intenda più che altro riposare come i veterani al Royal Hospital di Chelsea. Lui farà la guardia solo se gli pare, preferirà dormirci sopra rimuginando un passato che non ricorda ma si porta dentro il sangue e apprezzerà più l’edonismo promesso da una succulenta ciotola che l’entusiasmo della passeggiata; se al guinzaglio incrocerà un golden retriever si chiederà cos’ha da stare tanto allegro; se un pitbull lo provocherà resterà più o meno impassibile come un reduce delle trincee di fronte al prepotente di quartiere; se qualche bambino lo tormenterà non gli si rivolterà improvvisamente contro, perché nei cromosomi è avvezzo a sopportare molestie e dolore e in qualche modo sa che c’è un imperscrutabile destino pure per i cani, però anche conducendo la vita salottiera di un maltese o di un bichon di tanto in tanto farà sì di ricordarvi che lui non nacque come loro per sollazzo delle signorine. Il bulldog vi guarderà stupito o con un acino di compatimento se uscite all’alba per lavoro; quando a sera rincasate non si precipiterà a farvi le feste come quell’amicone del boxer; se da cucciolo deve dar prova di qualche esuberanza tributata all’età rosicchierà la zampa del tavolo antico piuttosto che il mobile Ikea, perché volendo può manifestare anche una punta di sadico snobismo cui somma misteriose capacità di attenzione. Sembra immerso nel letargo ma non gli sfugge niente grazie a un mezz’occhio aperto, pure se per convenienza fingerà di non aver capito. Reputarlo più tardo di altri cani sarebbe solamente indizio di superficialità.
Scrisse l’ingegnere Ernesto Tron, pioniere della razza in Italia: “Pur essendo un cane intelligentissimo, il bulldog non si presta però, per il suo carattere serio e posato, ad imparare tutti i giochetti soliti come un barbone o come un fox. Impara a dare la zampa in cinque minuti, ma la dà sempre con una specie di degnazione, coll’aria di dire: ‘Se questa fanciullaggine ti fa proprio piacere, eccoti la zampa’. Ma quel giorno che per motivi suoi propri non avrà voglia di darla non la darà, e nessuna lusinga riuscirà a convincerlo. Perché nel carattere del bulldog la testardaggine occupa un posto notevole”. Generalizzare sarebbe comunque un errore: “Un setter, un fox, un maltese, rassomigliano per fisico e per temperamento a qualsiasi altro setter, o fox, o maltese, o per lo meno le differenze sono minime. Ogni bulldog invece ha una propria individualità ben definita e ben distinta”.
Chi pretende che questo cane faccia il cane resterà deluso. Come dice Zaia, è troppo paraculo. O forse è troppo saggio, oppure, suppose il radiologo americano Renaldo Fischer in un libro che lo rese famoso, The Shaman Bulldog, è una sorta di spirito totemico come lo furono le aquile, gli orsi e i falchi. Quella faccia mostruosa vi preserverà dai demoni come i guardiani dei templi giapponesi, quel russare che al principio vi arrecava fastidio diventerà rassicurante scansione della vita domestica, il suo sguardo interrogativo quando vi agitate per questo o quell’impegno indurrà a ricalibrare l’importanza delle cure e a rimarcare la vacuità delle ambizioni. Poi un giorno, perché se i cani non hanno vita lunga i bulldog l’hanno ancora più breve, il pigro veterano che per affetto e costrizione vi ha accompagnato di qua e di là sarà costretto a congedarsi senza rivendicare il merito di quanto vi ha insegnato. E sembrerà tutt’a un tratto innaturale una casa dove non si sente ronfare e dove il divano o la poltrona non sono più contesi da un cafone tracagnotto però tanto dignitoso.
Cosa ha provato Hamilton lo capiamo benissimo perché “il comune amore per il bulldog val meglio d’una parentela”. Lo affermò uno che se n’intendeva, Piero Scanziani, scrittore della Svizzera italiana che fu vicino al Nobel ma restò semidimenticato fino alla recente ripubblicazione dei suoi libri promossa dal piccolo editore Utopia. Troppo spiritualista, troppo attento alle ricerche sull’animo e nell’animo in un secondo Novecento di realismo d’ordinanza, Scanziani è in credito con la storia della letteratura ma ottenne i meritati riconoscimenti nel campo della cinofilia. Non soltanto favorì la diffusione del bulldog in Italia (che nel 2020 ha vantato con Escobar BuckandSons la vittoria al Crufts, il concorso canino più prestigioso), ma nel secondo dopoguerra salvò dall’estinzione il mastino napoletano e ne rese possibile la ricostituzione a prezzo di personali sacrifici. Talora sono le manie, certe passioni minori, a preservare traccia di uomini per tutt’altro notevoli.