Tra mistificazione e sentimentalismo

La requisitoria di Cynthia Ozick contro chi ha tradito davvero Anne Frank

Marco Archetti

Un libro in cui la genale autrice sostiene che il celebre diario sia stato tradito, distorto, tramutato, ridotto a una resa infantile, americana, uniforme, sentimentale. In una parola: falsificato

"Il Diario di Anne Frank non è la storia di Anne Frank”. A scriverlo, una trentina di anni fa sul New Yorker in un saggio dal titolo Di chi è Anne Frank?, Cynthia Ozick, scrittrice ebrea americana di origini russe. Di chi è Cynthia Ozick? Non degli editori italiani, che se la sono dimenticata. Per fortuna, adesso, dopo anni di oblio editoriale e di edilizia per altarini sui quali si è preferito collocare numerosi mediocri di rango spacciati per geni, La Nave di Teseo si sta preoccupando di ripubblicane alcune opere – vedi sito, metti tutto nel carrello. Ozick, 97enne autrice di capolavori come Eredi di un mondo lucente (Feltrinelli) e Lo scialle (Feltrinelli) – sono ancora in catalogo, ma fate in fretta – è stata anche autrice di una impetuosa serie di saggi contro l’omologazione femminista e sull’identità ebraica e americana, scoccati da posizioni che Mario Materassi, nella postfazione a Lo scialle, definisce di “contestazione conservatrice”. Belle le formule, ma ancora di più il nudo impeto, sempre lucidissimo, della Ozick, una che non ha avuto paura di impugnare la fionda e di collezionare squadroni di nemici bersagliando gli scrittori terzomondisti e mandando in frantumi, con precisione da killer, ogni stoviglia culturaloide alla moda, compresa la definizione inaccettabile di woman writer.


“Di chi è Anne Frank?” è una sassata. La tesi è che il Diario di Anne Frank non racconti la storia di Anne Frank, ma tutt’altro. Un tutt’altro che è stato colpevolmente rimosso. “E poiché non c’è finale, la storia di Anne Frank è stata distorta, tramutata, ridotta; è stata resa infantile, americana, uniforme, sentimentale; è stata falsificata, volgarizzata e, di fatto, spudoratamente negata”. Da chi? Da tutti. Perché tutti ci hanno messo del loro. Ognuno ha grattato via ciò che gli interessava, o ciò che interessava al proprio pubblico di riferimento. L’hanno tradita i drammaturghi e i registi. L’adattamento teatrale firmato Hackett-Goodrich (quelli de “La vita è meravigliosa” e “Il padre della sposa”) debuttò a Broadway nel 1955 e vinse un Pulitzer. E tragedia divenne commedia: lì Anne sembra una normalissima ragazzina americana. Il regista Garson Kanin non fece mistero di quale fosse la sua preoccupazione: “Non voglio deprimere il pubblico!” Ma Hannah Arendt, tra il pubblico: “Sentimentalismo scadente a spese di un’immane catastrofe”.


L’hanno tradita il padre e le case editrici – sedici editori, tra inglesi e americani, rifiutarono il Diario, e non si contano le manipolazioni e i tagli delle parti in cui era considerata eccessiva l’ostilità verso i tedeschi, che quel libro avrebbero dovuto pur comprare (ma aspetteranno quarantun anni prima di leggerlo in versione integrale) o quelle in cui Anne descriveva i suoi turbamenti sessuali. L’hanno tradita gli spettatori di tutto il mondo: in Argentina fu accostata ai martiri cristiani e in Giappone divenne, tra le giovani, un nome in codice per riferirsi alle mestruazioni – nello spettacolo erano nominate un paio di volte.
Terribile il carteggio tra Otto Frank e Cara Wilson, californiana del 1944 invitata dalla Twenty Century Fox all’audizione per il ruolo di Anne Frank nel film tratto dal Diario, tutto traboccante di sospirosi “il Diario parla a me e ai miei dilemmi, alle mie ansie, alle mie passioni segrete… lei sentiva quel che sento io…” Allarmante fila di sciocchezze. Ma la Wilson, mai doma: “Mi identifico così fortemente da credere di essere diventata lei…” E alla fine non ottenne la parte. “Davvero”, si chiede Ozick, “Otto Frank non si rendeva conto di quanto la Wilson fosse sorda a tutto ciò che la perdita della figlia rappresentasse per lui?” (E chissà cosa penserà oggi, Ozick, della serie Netflix intitolata “A.F, la mia migliore amica”, rorido biopic a trazione emotivo-ispirazionale).


Un terribile destino: l’opera di una scrittrice vera, un Diario perfettamente onesto, trasformato in uno strumento di verità parziale e surrogata. Quando non di anti-verità. Ci ha messo del suo anche il sentimento del Dopoguerra, che si “affrettò a migrare lontano dalla crudeltà”. Quasi ogni edizione del Diario è stata presentata come “un inno alla vita”. La sensazione – scrive Ozick – è quella di una derisione. E consiglia di leggerlo solo dopo La notte di Eli Wiesel e I sommersi e i salvati di Primo Levi. La manipolazione si fece anche fascetta: “Un’eterna fonte di coraggio e di ispirazione” conclamava quella dell’edizione francese. Ma il successo di Bergen-Belsen, dice Ozick, derivò dal cancellare ogni coraggio, dal ricordare quanto sia facile distruggere l’animo umano. “Auschwitz e Bergen-Belsen non potranno mai generare nessuna luce”.


E mentre l’Olocausto arretra a favola sempre più distante, ecco che Cynthia Ozick ipotizza un destino sconvolgente, salvifico: che il Diario non fosse arrivato fino a noi. Il Diario salvato dalle grinfie di un mondo che ne ha fatto qualsiasi cosa, meno la più importante: uno strumento per guardare in faccia la Storia.

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