
dalla copertina del volume "Il denaro" di Charles Péguy
Il libro
L'unico cui è concesso provare nostalgia per il mondo di ieri è Péguy
Nel “Denaro”, appena ripubblicato da Cantagalli, il poeta francese racconta la fine dell’antica Francia e dell’infanzia come due tramonti inseparabili. Un saggio breve e folgorante sulla perdita del sacro nel quotidiano. Non parla di economia ma di anime
"Niente è tanto misterioso quanto quei preparativi nascosti che attendono l’uomo alla soglia di ogni vita. Tutto si compie prima dei dodici anni. Vent’anni, trent’anni di tenace lavoro, una vita intera di fatiche non riuscirà né a fare né a disfare ciò che è stato fatto, ciò che è stato disfatto una volta per tutte, prima di noi, senza di noi, per noi, contro di noi”. Un saggio che inizia con queste parole non può non invogliare a leggerlo fino in fondo. Ci suggerisce nientemeno dove cercare gli archetipi che hanno guidato i nostri sguardi sul mondo e sui quali abbiamo costruito la nostra vita. “Tutto si compie prima dei dodici anni”. E poco conta che si tratti di un saggio che ha per titolo Il denaro.
Al di là del titolo, infatti, questo saggio, scritto da Charles Péguy nel 1913 e appena ripubblicato in italiano dall’editore Cantagalli, non è sul denaro. Se lo fosse, sarebbe davvero povera cosa. E’ piuttosto sul passaggio dal mondo antico, diciamo pure dal mondo biblico, greco, romano e cristiano al mondo moderno, dal mondo dell’“antica Francia”, in cui esisteva un “popolo”, al mondo moderno, in cui “popolo” è diventata una parola “volgare”, buona soltanto per usi politici. “Non c’è più popolo. Tutti sono borghesi”, sentenzia Péguy. E il denaro viene assunto precisamente come il segno di un mondo dove tutto diventa calcolabile, quantificabile, e in questo senso “borghese”, ben oltre il senso dell’appartenenza a una determinata classe.
“Un bambino cresciuto in una città come Orléans tra il 1873 e il 1880, scrive Péguy parlando di se stesso, ha letteralmente toccato con mano l’antica Francia, l’antico popolo, diciamo semplicemente: il popolo; che ha letteralmente fatto parte dell’antica Francia, del popolo. Si può anche dire che ne è stato integralmente partecipe, perché l’antica Francia era ancora integra, e intatta. Il crollo è avvenuto per così dire tutto d’un fiato, e in meno di qualche anno”. Ma è stato davvero così? Davvero un mondo che sembrava non dovesse mai finire finisce nel nulla? Lo scoppio della Grande guerra di lì a poco sembrerebbe dire di sì. Ma è il mondo che finisce o finisce soltanto la nostra infanzia?
Lo sguardo di Péguy sulla Francia del 1913 è quello di un poeta e di uno scrittore. Non tutto ciò che dice va quindi preso alla lettera. Il mondo di cui parla, quello della sua infanzia, dove “Tutto era un’elevazione, interiore, e una preghiera, tutta la giornata, il sonno e la veglia, il lavoro e quel poco di riposo, il letto e la tavola, la minestra e il lesso, la casa e il giardino, la porta e la strada, il cortile e la soglia, e le stoviglie sulla tavola”; questo mondo, dicevo, è praticamente scomparso, ma qualcosa deve essere rimasto se per molti versi è stato anche il mio mondo, che pure sono nato nel 1952. Lo stesso si potrebbe dire dei maestri e dei preti.
Come Péguy, anche io e molti altri della mia età abbiamo creduto “integralmente agli insegnamenti dei nostri maestri, e altrettanto integralmente agli insegnamenti dei nostri preti. Assorbivamo integralmente le o la metafisica dei nostri maestri, e altrettanto integralmente la metafisica dei nostri preti”. Sarà ancora così? Esiste ancora una metafisica distinta per gli uni e per gli altri? Non saprei. Di certo occorre fare attenzione a non porre cesure troppo nette nella storia. Ma in ogni caso nessuna considerazione storica o sociologica potrà mai oscurare la bellezza e la verità di affermazioni come queste: “Noi non ce ne accorgevamo. La Repubblica e la Chiesa ci impartivano insegnamenti diametralmente opposti. Ma che importava, bastava che fossero insegnamenti. C’è nell’insegnamento e nell’infanzia qualcosa di così sacro, c’è in questa prima apertura degli occhi del bambino sul mondo, c’è in questo primo sguardo qualcosa di così religioso che questi due insegnamenti si univano nei nostri cuori, e noi sappiamo bene che vi resteranno eternamente legati”.
Per non dire delle pagine dedicate da Péguy alla “fierezza” del lavoro artigiano in generale e dell’impagliatrice di sedie in particolare (sua madre), o delle pagine dedicate alla “scristianizzazione della Francia” imputabile in primo luogo ai cristiani stessi.
Questo breve saggio sul Denaro riflette invero un clima culturale diffuso un po’ ovunque nell’Europa di quegli anni. Siamo nel pieno di una stagione contrassegnata da un profondo pessimismo, le cui parole d’ordine sono appunto crollo, decadenza, alienazione, tragedia, nostalgia per il mondo di ieri. Un pessimismo per il quale, lo confesso, non ha alcuna simpatia, quando a proclamarlo sono preti, filosofi o sociologi, ma che invece mi attrae irresistibilmente quando ci sono di mezzo i poeti e gli scrittori. Péguy è sicuramente uno di questi.