Foto di  Luciano Romano

A Napoli

“Ebben, sì, t'amo!”. E ogni spettatore del San Carlo nell'intimo ricambiò

Alberto Mattioli 

Uno spettacolo medio, un Verdi tutt'altro che entusiasmante. Eppure il "Ballo in maschera" è stato benedetto da Anna Netrebko alla sua prima Amelia, una diva vera

Il Ballo in maschera del San Carlo sarebbe, di suo, un Verdi tutt’altro che entusiasmante. Spettacolo vetusto con belle scene dipinte del glorioso Pierluigi Samaritani, e una regia che assurge a vette di comicità favolose ma purtroppo involontarie. Direzione sicura ma sbrigativa di Pinchas Steinberg, con un’orchestra che inizia proprio male e poi per fortuna migliora. Compagnia così così. Piero Pretti canta sempre bene, perfino con il famigerato salto di tredicesima della Ballata. Un tenore così solido è una rarità: ma di Riccardo non ha la spavalderia, lo charme, e insomma il carisma. Ludovic Tézier mette in mostra il vocione, che è tanto e che sa pure usare, ma o canta forte o canta fortissimo: lo sentono anche al Vomero, però non è che il dottore vieti di alleggerire o smorzare, almeno di tanto in tanto, per esempio in “O dolcezze perdute, o memorie”. Cassandre Berthon è forse il peggior Oscar che abbia sentito in vita mia. A posto invece Ulrica, Elizabeth DeShong, poco varia come fraseggio ma non la solita strega Carabosse, molto meno i comprimari. E fin qui siamo alla cronaca, non nera ma nemmeno esaltante.


Però c’è lei, anzi LEI: Anna Netrebko, alla sua prima Amelia. E’ un debutto, e si sente: sbaglia un po’ di parole (per esempio canta “sospir” invece che “sopir” nel terzetto del primo atto) e, stranamente, dessa che ha due mantici al posto dei polmoni si prende un paio di riprese abusive di fiato che spezzano la linea. Ma entra, accenta “Segreta, acerba / cura che amor destò” ed è subito malìa, voce, emozione e insomma delirio, opera, Verdi. La voce è un fiume, una colonna di suono che sale e scende senza il minimo problema, uno scalino, una nota meno riuscita o più sporca, e satura la grande sala del teatro più bello del mondo. E poi: piani e pianissimi a tutte le altezze, cavata monumentale, morbidezza ovunque, energia dove serve e un “Ebben, sì, t’amo!” che ci ha fatto tutti sobbalzare sulla sedia.

Il carisma è questo: dare l’idea che tu stia dicendo che l’ami a ognuna delle duemila persone che hai davanti. Il fraseggio e lo scavo del personaggio sono certamente perfettibili, ma già notevolissimi. Nel vuoto pneumatico della regia, cerca anche di recitare. L’unico momento non ridicolo dello spettacolo è l’orrido campo (dopo che si era sogghignato invece parecchio per un antro di Ulrica popolato di boys in mutande), dove compare di bianco vestita con un gran velo blu sullo sfondo di indistinte mestizie e fumi infernali, e ricorda certe foto della Somma Greca, ebbene sì, dal mio labbro uscì l’empia parola. Ci si chiede, allora, che senso abbia questo affannarsi e sbattersi e viaggiare compulsivamente per uno spettacolo “medio” benché benedetto dall’epifania di una diva, e diva vera, non per chiacchiere e distintivo: feticismo? Nevrosi? Piacer di porlo in lista? Francamente, non lo so. Ma, visto che l’ostensione di sant’Anna ha scatenato la transumanza di mezza Europa su Napoli, pellegrini in processione da ogni dove, abbiamo almeno una consolazione: siamo pazzi, d’accordo, ma non gli unici.
 

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