“Ippomene e Atalanta” di Guido Reni nella versione del Prado di Madrid, olio su tela, 1619

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Platone non è mai stato così attuale

Donatella Borghesi

Quanto ha da insegnare il filosofo dell’Eros al nostro tempo di amori tiepidi. Un saggio, un romanzo e la lettura femminista

Da un po’ di tempo mi rigiro tra le carte il ritaglio di un quadro del seicentesco Guido Reni, Atalanta e Ippomene, uno dei miti raccontati da Ovidio nelle Metamorfosi, chiedendomi perché mi colpisce così tanto. L’inconsueta divaricazione delle due figure, la femminile che va da una parte e la maschile dall’altra, il dettaglio delle gambe che si incrociano. Lei è florida, lui è esile, quasi femmineo. Lui la vorrebbe, ma lei no, sa che se si sposasse perderebbe la sua forza. Per poterla avere Ippomene deve vincerla nella corsa, anche se lei è imbattibile. Con l’aiuto di Afrodite ritarda la corsa di Atalanta gettandole sul percorso dei pomi d’oro, che lei raccoglie. Il finale è a sorpresa. Afrodite si vendica facendo nascere il desiderio tra i due, che si amano una notte nel tempio di Cibele, la quale a sua volta si arrabbia e li punisce trasformandoli in leoni costretti a portare il suo carro. Dura la vita per l’amore ai tempi degli dèi, ma anche di oggi, ammettiamolo. 

La buona notizia è che Platone is back, è tornato tra noi. Nel giro di pochi giorni sono usciti in libreria due titoli che intrecciano filosofia e amore, entrambi guidati dal pensiero dello stesso maestro, lui, Aristocle detto Platone per le sue larghe spalle, nato ad Atene nel quinto secolo avanti Cristo. Due libri scritti da due autori diversissimi: l’uno un filosofo impegnato nella comunicazione e nella vita civile, Pietro Del Soldà, autore di Amore e libertà. Per una filosofia del desiderio (Feltrinelli), l’altro uno scrittore che ha portato a termine in cinque anni e cinquecento pagine il titanico progetto di raccontarne la vita in forma di romanzo, Matteo Nucci, autore di Platone. Una storia d’amore (Feltrinelli). Diversi, ma entrambi con la stessa luce che li anima: ridare dignità al divino Eros. Di più: riconoscere la portata contemporanea delle sue parole. “Leggere Platone è come essere davanti a uno specchio, ci ritrovi sempre una parte di te”, dice Pietro Del Soldà. “E’ la scelta della scrittura dialogica che rende il pensiero di Platone non una dottrina o un veicolo di concezione del mondo, ma una fonte di paradossi e di ispirazione, le sue parole sono indizi che si spostano, mettono in azione la mente del lettore”. E in lui – filosofo di formazione, giornalista e conduttore del programma Tutta la città ne parla di Radio 3 – ha suscitato la necessità di questo saggio in stato di grazia, che parla di desiderio, di bellezza, di amicizia, di salvezza.

L’amore non può diventare un ferro vecchio dell’anima, e si rivolge soprattutto ai più giovani, che chiusi nella loro comfort zone hanno paura della potenza della passione d’amore. “Il rapporto con il desiderio è un nodo critico della nostra epoca, stiamo assistendo all’evaporazione del sentimento amoroso. Abbiamo ingabbiato il desiderio privandolo della sua carica di libertà”. E invece dovremmo recuperare il concetto greco dell’eleutheros eros, dell’amore libero, quello che ci fa scoprire il nostro daimon, l’entità misteriosa che ci fa essere noi stessi, e che si rivela pienamente nella relazione con le persone amate. “Oggi siamo tra due fuochi, il mito dell’amore fusionale, dell’illusione della coppia che si difende dal mondo, che finisce sempre più spesso nel controllo, nella gelosia, nel silenzio reciproco o nella violenza; dall’altro, l’ossessione identitaria, la propria immagine piegata allo standard digitale, chiusa nella bolla dei social e degli algoritmi, che alla fine sono loro a sceglierti, non tu…”. L’individualismo, il narcisismo, la competizione, il culto della performance in ogni campo, anche sessuale, ci hanno reso sempre più simili a atomi isolati che vagano alla ricerca di una felicità solitaria. “Si attende il riconoscimento da parte degli altri, non la relazione coinvolgente, preferiamo la situationship alle relationship. Si cerca un amore che non faccia male, che sia rassicurante, magari rivestito da un neoromanticismo che smorza l’energia dell’amore passionale. Ma vivere non intensamente, rinunciare alla spinta dell’eros che fa uscire da sé è un grande errore”. 


Matteo Nucci ci tiene a sottolineare che il suo romanzo, nonostante sia pieno di storia, date, viaggi, battaglie, è una storia d’amore. “Gli amori di Platone e il mio per lui, da quando ragazzino mi sono trovato davanti all’Acropoli”, mi dice al telefono mentre si trova ad Atene. Nucci ammette la sua ossessione, studia Platone da trent’anni, ha realizzato anche un’apprezzata traduzione del Simposio. “Mi sono pagato gli anni di ricerca scrivendo altri romanzi”, dice ridendo. “Cos’è l’Eros? E’ la passione che attraversa tutti i tempi, supera gli individui, percorre l’animo umano. Nasce dal desiderio, che lo squassa e lo trasforma con il suo potere, per arrivare alla conoscenza di sé e alla sapienza. Eros è la potenza all’origine del cosmo, ed è androgino, ricordiamolo”. E’ quel che resta dell’unità originaria, di cui abbiamo perenne nostalgia, quella creatura umana primitiva che univa i due sessi e che Zeus per ripicca aveva tagliato in due come si taglia un uovo sodo.

Ecco come Matteo Nucci racconta nel suo romanzo l’inizio del mito di Eros, con le parole dell’amico narrante: “Mentre tornavamo verso il Collito, quella sera se lo lasciò sfuggire. La folla si era ormai diradata, era tardi, qualche ubriaco vagava cantando per i vicoli bui. E lui era ancora preda dei suoi demoni. ‘L’amore vero lo persi a Cirene molti anni fa. Ero troppo giovane. Volevo partire. Dovevo viaggiare e scoprire e mi ero convinto che avrei avuto tempo per ritrovare Teeteto. Era un ragazzo non dotato di belle forme, piuttosto di quella bellezza sublime che brilla in occhi pieni di verità. Io lo lasciai a Cirene convinto di ritrovarlo. Pochi mesi fa è morto. Ho sbagliato moltissimo in quegli anni, non si ripeterà’, mi disse salutandomi. (…) Mi allontanai pieno di tenerezza e mentre l’oscurità mi inghiottiva fui preso da un pensiero. Immaginai che fosse ancora preda di quei desideri di cui mi aveva detto di essersi liberato. E pensai che sarebbe di nuovo uscito di casa quella notte, per andare a cercare altri corpi. Mi stavo sbagliando. In realtà Platone aveva ripreso a incanalare tutto il suo desiderio nel lavoro, scrivendo dalle prime luci dell’alba a volte fino a notte. Fui felice, tempo dopo, di sapere che quella sera aveva fatto molto tardi per immaginare un discorso dedicato a Eros da Aristofane. Scrisse poche righe. Costituiscono l’embrione di uno dei più potenti miti creati da Platone. Allora però non erano che poche parole. Suonano così: Di due uno. Fare di due uno. Questo è l’amore. Non posso dirlo che per enigmi”. Ma attenzione, ci dice Nucci: Eros non coincide con la sensualità e il piacere, con l’amore da letto, che è affidato ad Afrodite, va oltre. “Un esempio di Eros? La poesia di Saffo, la potenza inarrivabile dell’innamoramento”. 

Silenziosamente, dal secondo Novecento, Platone è diventato un punto di riferimento per il pensiero delle donne. La rivoluzionaria idea platonica che la sophia, la sapienza, sia intrecciata con Eros, riporta all’unità di corpo e mente, al “sentire”, alla sensibilità delle pensatrici che nel corso dei secoli erano estranee alla metafisica dei rigidi sistemi razionali. Si è mossa in ambito platonico Maria Zambrano, così per alcuni echi Simone Weil e Hannah Arendt. Mentre Carla Lonzi sputava su Hegel, Platone guadagnava attenzioni. Poi è arrivato il pensiero della differenza sessuale, per prima Luce Irigaray denuncia il matricidio da parte dei filosofi. Nel 1983 nasce all’Università di Verona la comunità che fa riferimento a Diotima, la sacerdotessa straniera a cui Platone nel Simposio aveva affidato le sue parole. La loro sfida, essere donne e pensare filosoficamente.

Tra le fondatrici Adriana Cavarero, oggi riconosciuta a livello internazionale come una dei massimi studiosi di Platone. Il suo Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica, Castelvecchi, esce nel 1990. Tradotto in inglese, il suo libro l’ha portata a insegnare nelle università americane, da Warwick a New York, da Berkeley a Harvard, e a tenere conferenze in giro per il mondo. Quando la sento è a Madrid in conferenza, a firmare copie del libro tradotto in spagnolo. (Il volume Platone, a cura di Olivia Guaraldo, edito da Raffaello Cortina, che raccoglie tutti i suoi scritti, anche quelli introvabili o inediti, testimonia l’importanza del suo lavoro). “Platone fonda la filosofia come disciplina, prima di lui, i cosiddetti presocratici, erano solo dei sapienti”, spiega Cavarero. “E’ il fondatore del linguaggio filosofico. E’ andato oltre il linguaggio dell’epica, che pure amava tantissimo, e nei suoi dialoghi ne ha inventato uno nuovo, ovvero il mito come narrazione. Una narrazione a cui abbiamo attinto tutti, un tesoro inesauribile, proprio come quello dei pirati! Pensiamo per esempio alle rielaborazioni del mito della caverna… Per il filosofo e matematico inglese Whitehead tutta la storia della filosofia è una serie di note a margine ai testi di Platone”.

Rileggere i suoi testi non è mai ripetitivo, sostiene ancora Cavarero, perché suscita un’immaginazione produttiva. Sul suo concetto di eros Freud e Jung hanno fondato la psicoanalisi, l’epoca contemporanea non può più farne a meno. Anche riconoscendo come ha fatto Lacan che la reciprocità dell’amore è nello stesso tempo piena e imperfetta, compiuta e irraggiungibile. “Non ha senso storicizzare Platone, bloccarlo alla cultura patriarcale, il suo Eros è senza tempo. I suoi sono concetti fondamentali che si prestano ad essere continuamente rielaborati, ogni epoca può ripensarli, prendendo qualcosa dal suo tesoro”. Lo ha fatto anche lei, “rubando” le figure femminili dei suoi Dialoghi. La servetta di Tracia, che deride Talete quando cade nel pozzo, perché camminava contemplando il cielo. Penelope la tessitrice, che fa e disfa nella sua casa per tenere insieme pensieri e corpi, lasciando altrove la palestra maschile della morte. Demetra la Grande Madre che possiede il segreto della vita, a cui viene rubata da Ade re degli inferi la figlia Kore, segnando la grande cesura: il passaggio dalla genealogia femminile a quella maschile. E infine Diotima: “Ogni desiderio di bene e di felicità è per tutti il potentissimo e insidioso Amore”. Resta la domanda sul perché della scelta di Platone di scegliere per presentare il proprio pensiero una figura femminile, forse un gioco simbolico, una misoginia gentile, un generoso risarcimento per l’esproprio delle donne dalla storia? Sappiamo che per i filosofi del circolo platonico di Atene è l’amore tra due uomini a costituire la via erotica alla filosofia e a “partorire” l’idea della bellezza, per cui la pratica omosessuale assume la valenza di una pedagogia filosofica. Matteo Nucci ci assicura che Platone apprezzava le donne (d’altra parte nella cultura classica l’erotismo finalizzato alla riproduzione poteva convivere con l’amore/sodalizio tra uomini). Orfano di padre, era cresciuto con la madre e la sorella, la sua Accademia accoglieva anche allieve, e nella Repubblica parla di parità e diritti per le donne. 


“Non c’è democrazia dove non c’è amore, non c’è amore dove non c’è democrazia”. E’ una citazione della femminista americana bell hooks ripresa da Pietro Del Soldà. “Possiamo risvegliarci all’amore solo se abbandoniamo la nostra ossessione per il potere e il dominio”. Ma si può parlare di Eros a proposito del potere politico? Troviamo le tracce di Platone e del suo Eros in un altro libro appena uscito, autore Gennaro Carillo, docente di storia del pensiero politico all’Università Suor Orsola Benincasa e alla Federico II di Napoli. Dal titolo Temperanza, edito da Il Mulino, piccolo saggio coltissimo e divertente sulla fortuna nei secoli di questa virtù, considerata finora un po’ demodé ma forse oggi necessaria, che Platone nella Repubblica pone come una qualità della polis. “Platone ci credeva al governo del desiderio, formula da cui dipendono la salute e la giustizia della polis e della psiche”, dice Carillo, “Certo una polis di tutti amanti sarebbe imbattibile, per questo è convinto che bisognerebbe costringere a governare i filosofi…”.

Per Platone il male da esorcizzare era la disarmonia, la stasi: la sua ossessione rimane l’unità della polis, una virtù che unifichi la pluralità delle parti. E oggi che è facile intonare il de profundis per la democrazia, per l’Europa, per il mondo, scrive Carillo, non sappiamo più nominare le cose. Eppure, tutto Platone dimostra che l’insoddisfazione non basta. “Che al filosofo, come a qualunque altra intelligenza critica, non è consentito nascondersi dietro un ‘bruci la città’ deresponsabilizzante e lasciare che le cose accadano come accadono. Platone, piuttosto, impone al filosofo – il prigioniero liberato – non solo di ridiscendere nella caverna ma di immaginare e progettare un futuro a partire da quella stessa insoddisfazione nei confronti dello stato presente. Per quanto caro possa essere il prezzo da pagare. Ma sarebbe peggio abbandonare la polis al suo destino e folle contemplarne il naufragio”.

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