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(1937-2025)

Paolo Bonacelli, voce da Molière

Giuliano Ferrara

Impostata e carismatica, buffa e benevola, unica e autorevole. E al cinema la tirata magistrale con Benigni. Misterioso, sfuggente, riservato: va ricordato per come è apparso al mondo, per come si muoveva in scena, e anche per come si era saputo nascondere

Con Paolo Bonacelli (1937-2025) è morta una voce impostata e impastata, carismatica, buffa e benevola, ma unica e autorevole nel teatro italiano, una voce che veniva direttamente da Molière, una voce del Seicento. Con Mario Missiroli, regista dei suoi spettacoli maggiori, Bonacelli aveva scambiato ludicamente il ruolo, anche facendolo arrabbiare. Il capocomico, con le sue caccole e burlette, si era messo a capotavola, come si vede dalle fotografie delle prove a tavolino di questo glorioso spettacolo degli anni Ottanta che fu il loro Malato immaginario. Ma amava il teatro come gioco collettivo e non avrebbe mai preteso di essere regista del suo regista. Divenne invece autore del suo autore molti anni dopo, in una ripresa sulfurea del testo del Malato, all’Eliseo, con una famosa esclamazione, “Ciccia!”, espettorata con un tempo plateale alla Paolo Stoppa, con Salvo Randone uno dei suoi modelli della generazione precedente. 


Era così sorprendente, perfino nei suoi aspetti ordinari, nelle sue abitudini di abbacchiato tifoso romanista, abbonato con parcheggio all’Olimpico per la sua Seicento rossa, affezionato frequentatore di bettole nel quartiere della Suburra. Era così elegante, un anglofilo amico addirittura del Cricket attraverso la passione di un suo sodale e maestro, Harold Pinter, la cravatta portata sempre alla bassezza giusta della pancia, stoffe corpose in giacche napoletane, la conversazione di un’amabilità non convenzionale, un fondo di tristezza con scoppi di umorismo e allegria: la dissimulazione di una solidissima cultura letteraria era la sua specialità. 


Aveva attraversato epoche intere della migliore scena italiana con il suo corpo massiccio, che muoveva con grazia elefantiaca, e gli occhi dell’attore, sempre in bilico tra Attor Giovane e Gran Carattere, erano controcorrente rispetto alla media del banale a lui contemporaneo, dicevano sempre qualcosa. Con la Compagnia del Porcospino, fondata insieme alla sua prima compagna e madre di suo figlio Leone, Carlotta Barilli, filtrò lo slancio delle avanguardie degli anni Sessanta e fece miracoli di artigianato e fantasia, senza mai cedere allo spirito facilone del mattatore. Attirava talento e bellezza, impersonati negli ultimi lunghi anni della sua vecchiaia da Cecilia Zingaro, attrice e regista che è stata presenza sobria e innamorata al suo fianco fino alla fine. 


La personalità di Bonacelli aveva qualcosa di misterioso, di sfuggente, custodita com’era in una delicata riservatezza, stravagante per l’ambiente. Non faceva combriccola, preferiva la disciplina della compagnia di giro, era un attore colto e non un intellettuale di palcoscenico, ne pagò il prezzo, ma la carriera in senso tradizionale non era il suo destino. A Londra sarebbe stato divinizzato. Il pubblico italiano e internazionale lo ha sempre apprezzato e amato, ma piano piano le occasioni di lavoro si erano stupidamente rarefatte. Ebbe successo con il grande pubblico attraverso cinema e televisione. Il cinema, sopra tutto, gli consentì l’emersione di una vena grottesca: tutti lo ricordano ridendo ancora per la tirata magistrale con Benigni, in Johnny Stecchino, sul problema di Palermo durante le guerre di mafia, “Troppe macchine, troppo traffico”; e per l’occhio del detenuto strappato a viva forza nel classico di Alan Parker, Fuga di mezzanotte. Va ricordato per come è apparso al mondo e agli amici, per come si muoveva in scena la sua impagabile dizione teatrale, e anche per come si era saputo nascondere. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.