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Controcorrente

Il racconto di una vita lunga e ricca nell'èra dei frammenti. Grazie Kathryn Scanlan

Carlo Maria Simone

La giovane scrittrice plasma le storie attorno alle biografie altrui, cioè esperienze raccontate e valutate sul lungo periodo: l’esatto contrario della frammentarietà e della provvisorietà cui ci abituano i social. Storie, non stories 

Kathryn Scanlan è una delle voci più interessanti del panorama letterario statunitense contemporaneo. In un’epoca in cui tutto o è experience o non è, in cui il concerto lo guardi attraverso lo schermo del telefono, e se non posti nelle stories non hai storia, questa scrittrice giovane (classe 1980) ma già di successo – ha vinto, tra gli altri, il Windham-Campbell Prizes – opera controcorrente. Infatti, Scanlan plasma le storie attorno alle biografie altrui, cioè esperienze raccontate e valutate sul lungo periodo: l’esatto contrario della frammentarietà e della provvisorietà cui ci abituano i social.

 

Ha fatto così col diario di un’anziana donna da cui ha tratto il suo primo romanzo, Aug 9 – Fog. Ed è così anche per Kick the Latch (2022), recentemente – e con merito – portato in Italia da il Saggiatore col titolo Cavallo scosso (2025). Quest’ultimo nasce dalla rielaborazione di tre interviste fatte a Sonia, sessantenne amica di famiglia, per una vita nel circuito dell’ippica in qualità di addestratrice di cavalli. E galoppa anche la prosa di Scanlan, un tripudio di paratassi da fare invidia a un martello pneumatico, che fila via in una fuga di ricordi-impressioni come il paesaggio visto dal finestrino dell’alta velocità: in men che non si dica sei già giunto a destinazione, col libro chiuso in mano, quasi che il viaggio di Sonia sia stato il tuo.

 

La vita di Sonia è una di quelle che solo negli Stati Uniti possono dipanarsi: alle prese con un sogno più grande di lei, quello dei cavalli, che col passare del tempo – specie quando diventa troppo alta per sperare di fare la fantina, si tramuta in passione, poi in via Crucis, morte e resurrezione. Sonia viaggia per tutti gli States, passando da un circuito all’altro, dai maneggi più smandrappati a quelli dei miliardari. Soprattutto, trascorre gli anni in mezzo a una folla arlecchinesca di derelitti, drogati, violentatori, samaritani col fucile, truffatori, colleghi feriti e tanti che “ci sono rimasti”: la varia umanità che costella (e incancrenisce) il mondo delle corse dei cavalli, non quello sfavillante che si potrebbe immaginare, bensì una realtà di agghiacciante rudezza; un luogo in cui una donna deve sgobbare il doppio per ritagliarsi il proprio posto, dormendo in stalla e svegliandosi alle quattro di mattina, ritrovandosi talora un collega sdraiato addosso con una pistola puntata.

 

Tuttavia, non è solo la filigrana drammatica della vicenda di Sonia e compagni a colpire, ma soprattutto la dimensione enorme della vocazione di questa donna: una vita interamente spesa con e per i cavalli, attraverso la quale riscoprirsi più integralmente donna lei stessa. “Il mio cavallo mi ha cresciuta”, sentenzia Sonia a inizio romanzo: le pagine successive non sono altro che l’inverarsi di questa affermazione. Una febbre di vita che contagia il linguaggio: “Chi lavora all’ippodromo non dice ‘abbiamo vinto’ una corsa. Dice ‘vinciamo’. Non è grammaticalmente corretto. Non è ‘abbiamo vinto’. Non è ‘vinceremo’. La corsa è finita, è già vinta, ma noi diciamo ‘vinciamo, vinciamo, vinciamo’.” Nel dramma (il “cavallo scosso” è quello imbizzarrito che ti piomba addosso), il compimento. Evviva Sonia (e Scanlan), l’antidoto a Instagram.