
PANORAMA
Arte a Pozzuoli. Un test sulle eccellenze del futuro
Dal Rione Terra al Parco di Cuma, passando per chiese, cinema e anfiteatri: oltre cento opere per dialogare con una città che da millenni confonde sacro e geologia. Una divinizzazione laica che intreccia mito, comunità e ospitalità mediterranea. Una storia
In questa terra antica dove la geologia confina con la metafisica, il mito non è un racconto, ma un fenomeno. Il terreno ribolle, si solleva e si abbassa in una città attraversata da un respiro invisibile che la lega al profondo. È in questo paesaggio tellurico che fino al 14 settembre viene ospitata la quinta edizione di Panorama, la mostra diffusa promossa da Italics, rete di gallerie italiane unite dall’idea che l’arte debba dialogare con i territori. Dopo Procida, Monopoli, L’Aquila e il Monferrato, Panorama arriva a Pozzuoli, città complessa e stratificata, sospesa tra archeologia e presente. A curarla è Chiara Parisi, storica dell’arte e direttrice del Centre Pompidou-Metz, che sceglie un titolo netto e denso: Divinizzazione.
Una parola che, nel contesto dei Campi Flegrei, si carica di significati multipli, perché qui il sacro non è solo una questione di fede, ma di paesaggio. “Abbiamo scelto la divinizzazione perché questa dimensione appartiene agli abitanti stessi, questa edizione è un omaggio a loro”, spiega lei al Foglio. “Questa terra è complessa, impossibile nasconderlo, ma proprio per questo la scelta di esserci diventa una testimonianza”.
Panorama Pozzuoli non si visita, dunque, come una mostra convenzionale, ma si attraversa per lo più a piedi, seguendo un itinerario che tocca chiese, anfiteatri, strade silenziose, siti archeologici e scorci dimenticati. L’arte si intreccia così al tessuto urbano senza invaderlo, in una convivenza rarefatta, ma intensa: nella Chiesa di San Raffaele Arcangelo o in quella del Purgatorio, al Cinema Sofia e all’Anfiteatro Flavio, al Parco Pubblico di Villa Avellino o al Parco archeologico di Cuma con un pensiero alla vicina Napoli. Tra i tanti artisti presenti, Maurizio Cattelan e Anish Kapoor, Ugo Rondinone eMonica Bonvicini, William Kentridge, Tomaso Binga edEmilio Isgrò.
Accanto ai nomi del contemporaneo, trovano spazio opere di arte antica e moderna in un confronto che non cerca mai lo stupore, ma il dialogo. Ci sono pittori napoletani del Seicento, codici miniati, oggetti sacri e tutto partecipa allo stesso racconto. Le opere (oltre 110 di 47 artisti), alcune quasi invisibili, altre dichiaratamente presenti, non sono esposte, ma inserite e diventano geografia, gesto e interrogazione, facendo sì che l’arte agisca in silenzio. “La nostra scelta è stata quella di presentare anche più lavori di uno stesso autore, creando quasi delle min-personali”, aggiunge la curatrice. “Il risultato è un percorso ricco che intreccia l’antico, il moderno e il contemporaneo fino a concludersi con la figura della Sibilla”.
Lontana da ogni spiritualismo, la sua idea di “divinizzazione” interroga così le nuove forme del sacro come l’immagine, il corpo, la natura e la comunità, ma anche la memoria, il paesaggio e l’identità. Il mito qui non è mai decorativo, ma una materia viva fatta di stratificazioni storiche e culturali. Virgilio, Omero, le Sibille e le divinità marine sono presenze che ritornano, non come citazioni, ma come strutture invisibili del paesaggio. Non mancano le iniziative civiche e partecipate, incontri con studenti, interventi nei luoghi della marginalità, speakers’ corners che ospitano poeti, filosofi e artigiani e in questo sistema aperto, anche il mondo dell’ospitalità sceglie di giocare un ruolo non secondario.
Il Jumeirah Capri Palace, ad esempio, noto per il suo impegno nel legare arte, gastronomia e benessere, grazie all’impegno Ermanno Zanini, general manager dell’hotel ma anche vicepresidente per il Sud Europa e la Gran Bretagna di Jumeirah, partecipa attivamente all’evento portando nel cuore del Rione Terra il pop-up gastronomico aMaRe Capri, firmato dal maestro pizzaiolo Franco Pepe. Non si tratta di un semplice ristorante temporaneo, ma di un’installazione vivente, una maniera per raccontare la cultura mediterranea attraverso il cibo, da non intendere come lusso, ma come linguaggio comune, come una presenza elegante perfettamente integrata nello spirito della manifestazione. Un modello possibile (e vincente) di collaborazione tra cultura e impresa, l’ospitalità intesa come mecenatismo esperienziale e curatela di senso. Panorama Pozzuoli riesce a restituire all’arte la sua dimensione civile senza rinunciare alla complessità e in un tempo che divora ogni forma di profondità, la mostra sceglie la lentezza, il cammino, la prossimità. “La città, più che un fondale, è un organismo narrante e l’arte, se accettata come interlocutore, diventa strumento di conoscenza, non solo di visione”, aggiunge Parisi, e forse, aggiungiamo noi, è proprio questa oggi la vera divinizzazione: non elevare, ma ascoltare, dare forma al senso, senza smettere di domandare.