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negli Stati Uniti
Il mercato dell'arte ha provato a scimmiottare Wall Street. Ora è al collasso
Il collezionismo malato di soldi, potere e un pizzico di idiozia. Quando l'arte ha smesso di essere passione ed è diventata speculazione
Alla fine degli anni 80, prima che la Guerra Fredda finisse, il presidente americano Ronald Reagan pigiò l’acceleratore della corsa agli armamenti, così tanto che, alcuni dicono, costrinse l’Unione Sovietica a fare altrettanto costringendola, per stargli dietro, a schiantarsi contro un muro. Il Ronald Reagan del mercato dell’arte è il mega gallerista americano Larry Gagosian (faccio parte del comitato scientifico della sua galleria, nda). Gagosian ha creato, dal 1980 a oggi, un impero di diciassette gallerie sparse per il mondo, rappresentando non so quanti artisti. Il suo espansionismo, assieme alla proliferazione delle fiere dell’arte e alla megalomania delle case d’asta, ha creato una sindrome che ha contagiato per decenni tutti i suoi colleghi e avversari, chi più e chi meno. Tutti ossessionati nel voler emulare, acchiappare e superare il Gagosian originale . Una sfida fallimentare, visto che il mercato dell’arte si sta rivelando bulimico al punto da finire in affanno, per non volere usare la parola “crisi”, se non “collasso”. Un situazione drammatica, un po’ come quella vissuta dall’Unione Sovietica. Lo ha confermato il mese scorso Tim Blum, uno storico gallerista di Los Angeles che, dopo trent’anni di attività, ha annunciato che chiuderà i battenti, stremato oramai dai costi diventati surreali, pari a 12 milioni di dollari all’anno, e da guadagni invece fin troppo reali. Quest’anno ha dichiarato di essere riuscito a finire appena in attivo, in vista del prossimo anno, “ma vista l’aria che tira – dice Blum – rischio di finire in rosso, non ne vale proprio la pena , la passione per l’arte è stata distrutta dall’ossessione per il guadagno, ma più che altro per il potere e la visibilità”.
Blum ha svelato un segreto di Pulcinella che era nell’aria già da un po’ di tempo. Il suo abbandono è stato però un terremoto che ha aperto gli occhi a chi s’illudeva ancora che il boom dei prezzi delle opere d’arte non sarebbe mai finito. Il mercato dell’arte c’è sempre stato con i suoi alti e i suoi bassi. Citando un altro presidente, Richard Nixon, artisti, galleristi e collezionisti sanno benissimo che per respirare l’aria pura della vetta bisogna aver passato del tempo dentro la valle più buia. Il problema negli ultimi vent’anni è stato che molti protagonisti del mondo dell’arte sono stati, potremmo dire, portati in vetta da qualche elicottero privato, evitandosi le tenebre del fondo valle. Larry Gagosian vendeva poster a Los Angeles prima di vendere i Picasso. Una delle sue qualità, o segreti, è stata quella di non essersi mai dimenticato dei poster venduti a 25 dollari. La crisi però, come quella della l’Unione Sovietica, non è solo dovuta alla sindrome Gagosian. E’ dovuta anche al fatto che il mercato dell’arte ha voluto, ed in parte ci è riuscito, scimmiottare Wall Street. Le opere d’arte sono diventate azioni su cui investire. Il problema è che le azioni a volte crollano e gli investitori lo sanno e accettano il rischio. Il mercato dell’arte invece insiste a rifiutare questa logica. Se un collezionista compra un quadro a 1.000 e dopo tre anni gli offrono 100 prende il telefono e accusa il gallerista che glielo ha venduto di averlo ingannato. Un altro problema sono le case d’asta, che pur di avere opere da vendere hanno inventato il sistema delle garanzie, ovvero garantiscono ai proprietari delle opere la vendita, sborsando in anticipo una cifra concordata sul valore dell’opera. Ma garantire una vendita a un’asta è come volere garantire a un tifoso, a inizio campionato, che la sua squadra vincerà lo scudetto. Una bugia.
Ma è questa bugia che ha riempito i magazzini delle case d’asta, ora piene di opere invendute e che finiranno per essere svendute, facendo crollare il mercato di certi artisti. Infine ci sono le fiere dell’arte, diventate baracconi d’intrattenimento dove le gallerie fanno a gara a chi organizza la festa più “cool”. Essere “cool” in certi contesti costa molto ma se la fiera va male il cool non è più cool e va nella colonna delle perdite. Morale? Il mercato dell’arte è finito con i suoi successi, eccessi, decessi? Non credo. Sicuramente dovrà ridimensionarsi. Ma se Gagosian può ancora permettersi di comportarsi da imperatore, molti altri suoi colleghi dovranno cambiare scala o, come ha deciso Tim Blum, chiudere bottega prima che sia troppo tardi. Dell’arte, delle gallerie e dei collezionisti ci sarà – credo – sempre bisogno, fanno parte della cultura del superfluo e del lusso che governa la società contemporanea. Le persone però, anche quelle molto ricche, pare abbiano scoperto che un milione è tornato a essere un milione. Con un milione si possono fare e comprare tante cose, non solo un dipinto di uno sconosciuto diventato all’improvviso molto hot ma che, molto probabilmente, a breve tornerà a essere noioso. Il grande pittore americano Jasper Johns, diventato ricco e famoso molto presto, una volta era a pranzo con un collezionista che voleva acquistare una sua opera a tutti i costi offrendo una cifra pazzesca. Johns lo ascoltò in silenzio e alla fine del pranzo gli disse: “Non sono intenzionato a vendere il quadro. Comunque la cifra che mi offre è assurda e lei è un idiota”. Artisti , galleristi e collezionisti, se vogliono che il mondo dell’arte e il suo mercato non scompaiano, dovrebbero sempre ricordarsi della risposta di Jasper Johns.