
Autore non identificato, 1915-1920, Odoardo Beccari fotografato nel giardino del Castello del Bisarno (Villa Beccari) a Firenze (Archivio Alinari - archivio Beccari)
Odoardo Beccari, l'altro padre di Sandokan
Emilio Salgari studiava i resoconti dell’avventuroso naturalista nelle grazie del vero rajah James Brooke
“In Borneo, nella più grande fra le isole della Malesia, esiste un paese nel quale un ‘Rajah’ (Ragià) ed una ‘Ranee’ (Rani), del più puro sangue inglese, governano in modo assoluto uno stato grande quasi quanto due terzi dell’Italia, che ha la sua flotta ed il suo esercito, ma che non è connesso ancora con una linea telegrafica col resto del mondo, che non ha ferrovie e nemmeno strade, ed è invece nella massima parte coperto da interminabili e dense foreste, nelle quali vagano gli Orang-utan. Quivi gli abitanti conducono una vita primitiva, ed in parte sono tuttora selvaggi dediti alla caccia dei loro simili; di cui conservano le teste affumicate sospese nell’interno delle abitazioni. […] Questo è il Regno di Sarawak, che deve la sua origine ad un uomo superiore, amante di avventure ed intraprendente, il Capitano James Brooke”.
Sarawak, James Brooke: vi ricordano qualcosa? Forse una lettura giovanile? Oppure uno sceneggiato di grande successo degli anni Settanta del secolo scorso?
“La bandiera del rajah Brooke, dello Sterminatore dei pirati! – esclamò, con intraducibile accento d’odio. – Tigrotti! all’abbordaggio! all’abbordaggio!… Un urlo selvaggio, feroce, s’alzò fra i due equipaggi, ai quali non era ignota la fama dell’inglese James Brooke, diventato rajah di Sarawak, nemico spietato dei pirati, un gran numero dei quali erano caduti sotto i suoi colpi.”
Quest’ultimo passo proviene da uno dei romanzi più noti dello scrittore Emilio Salgari, Le tigri di Mompracem (1900, ma l’edizione in volume è preceduta da una a puntate con il titolo La tigre della Malesia del 1883-1884). Il primo è invece tratto dal saggio del naturalista italiano Odoardo Beccari, Nelle foreste del Borneo (1902, ma vi erano già numerosi precedenti resoconti dei suoi viaggi in Malesia, iniziati nel 1865).
Dunque James Brooke, rajah di Sarawak, non era un personaggio nato dalla fantasia di Emilio Salgari e poi magistralmente interpretato dall’attore Adolfo Celi, ma una figura realmente esistita.
Prima di arrivare a Brooke, però, dobbiamo conoscere meglio Odoardo Beccari. I ritratti ce lo mostrano col volto deciso, quasi arcigno, “di un uomo dalla tempra fisica e morale eccezionale” (così Stefano Mazzotti nel suo bellissimo Esploratori perduti, Codice, 2011). Non è una vita facile la sua. Nato a Firenze nel 1843, perde quasi subito la madre che si toglie la vita, e poco dopo anche il padre. Affidato allo zio materno, finisce in un collegio prestigioso e severo, dove sviluppa un precoce interesse per la botanica. Nel 1861 entra all’Università di Pisa per studiare scienze naturali, ma termina gli studi a Bologna due anni dopo. Qui avviene l’incontro che segna la svolta nella vita di Odoardo: quello con il marchese genovese Giacomo Doria, anch’egli naturalista e fondatore del Museo di Storia naturale di Genova. Li accomuna il desiderio di una spedizione scientifica in luoghi esotici e scelgono senza esitare una meta ambiziosa: Sarawak, appunto, nell’area nord-occidentale dell’isola del Borneo, oggi parte della Malesia. Ambiziosi, ma non sprovveduti, i due. Per prepararsi accuratamente al viaggio, infatti, Beccari visita i principali centri di ricerca e musei europei dove sono conservati esemplari provenienti da quelle zone. A Londra, in particolare, ha occasione di incontrare Charles Darwin e poi, appunto, l’avventuriero e politico James Brooke. Figura quasi leggendaria, Brooke è nato in India nel 1803. Si è conquistato la fiducia e la gratitudine del sultano del Brunei in occasione di alcune rivolte delle popolazioni locali; gratitudine che gli è valsa la carica di rajah di Sarawak a partire dal 1842.
Il sodalizio di Beccari negli anni 60 dell’800 con il marchese Giacomo Doria. Scelgono il Borneo come meta della loro spedizione scientifica
Negli anni successivi compie numerose riforme, amplia i propri territori e combatte senza tregua la minaccia della pirateria e lo schiavismo. La regina gli conferisce numerose onorificenze. Ma quando Beccari lo incontra a Londra, il potere dell’ormai sessantenne Brooke è declinante e sempre più controverso anche in patria per i suoi metodi antipirateria e le accuse di malversazione. Ma conosce Sarawak come nessun altro europeo e ha già favorito alcune esplorazioni, come quella del grande naturalista britannico Alfred Russel Wallace. Brooke affida Beccari e Doria al nipote Charles, che ha già individuato come proprio erede. I due salpano verso il Borneo nella primavera del 1865; Beccari ha appena ventidue anni. Dopo un viaggio lunghissimo e numerose tappe, il 19 giugno 1865 arrivano a Kuching, capitale del Sarawak, dove stabiliscono la propria base costruendo una capanna palafitta. Beccari è subito ammaliato da quella terra. “La foresta di Borneo è così multiforme nelle varie ore del giorno, come a seconda della stagione e del tempo, che nessuna descrizione riuscirà mai a farne acquistare un’adeguata idea a chi non vi ha vissuto. Infiniti e variati sono gli aspetti sotto i quali si presenta, come i tesori che nasconde. Le sue bellezze sono inesauribili, come le forme delle sue produzioni. Nella foresta l’uomo si sente veramente libero. Quanto più uno vi si aggira e tanto più se ne innamora; quanto più uno la studia e tanto più ne rimane a conoscere. Le sue ombre, sacre alla scienza, tanto appagano lo spirito del credente, quanto quello del filosofo”.
Deve difendersi da serpenti e sanguisughe. Incontra “la grande scimmia antropomorfa della foresta: l’orang-utan, ‘uomo dei boschi’”
Quando Doria è costretto a rientrare in patria per problemi di salute, Beccari continua da solo le proprie instancabili ricerche restando in Borneo per ben tre anni. Spesso si nutre solo di riso bollito e deve difendersi da serpenti, formiche e terribili sanguisughe. Raccoglie e cataloga innumerevoli materiali botanici e zoologici. A colpirlo sono piante mai viste prima come la misteriosa Rafflesia, con fiori di “56 cm di diametro”. Ben più controverso è oggi ai nostri occhi l’interesse di Beccari per “la grande scimmia antropomorfa della foresta: l’orang-utan, letteralmente ‘uomo dei boschi’ per i malesi”. Così il naturalista descrive l’incontro con un pacifico orango. “Io non riusciva a distinguere fra il fogliame che un poco di pelame rosso; pur non ostante non vi poteva esser dubbio, era un mayas seduto sopra il suo nido. Vidi bene che l’animale si accorse subito di essere stato scoperto, ma non per questo si mostrò impaurito per la nostra presenza, né cercò di fuggire; si affacciò anzi fra i rami e poi scese un poco, quasi volesse osservarci più da vicino, aggrappandosi ai fusti di una liana pendente dal ramo sul quale era prima posato. […] Era in questa posizione quando feci fuoco. Dopo essere rimasto per qualche secondo sospeso ad un ramo, precipitò al suolo”. Grazie a Charles Brooke raggiunge su una cannoniera l’isola di Labuan, un luogo di importanza strategica di cui James Brooke era divenuto governatore su incarico della Corona britannica. Qui Beccari è affascinato dalla vegetazione, ricca di orchidee. Nell’interno viene ospitato nei villaggi delle tribù dei punàn e buketàn, temibili cacciatori di teste. L’isola è ben nota ai lettori di Salgari.
“Che nuove di Labuan? Quegli avvelenatori di popoli, quei rubaterre, quei cani di inglesi, sono sempre là accampati sull’isola? […] Ma dì a loro, che muovan un dito contro Mompracem!... La Tigre della Malesia, se l’osassero, saprebbe bere tutto il sangue delle loro vene!
– Sai che ho udito ancora parlare della Perla di Labuan?
– Ah! – fe’ il pirata scattando in piedi. – Ecco la seconda volta che questo nome mi giunge agli orecchi e che tocca stranamente una corda sconosciuta del mio cuore. Sai, Yanez, che questo nome mi colpisce singolarmente? – Sai almeno che cosa sia questa Perla di Labuan?
– No. Non so ancora se animale o donna. Ad ogni modo mi mette curiosità.
– In tal caso, ti dirò che è una donna.
– Una donna?… Non l’avrei mai sospettato.
– Sì, fratellino mio, una giovanetta dai capelli castani profumati, dalle carni lattee, dagli occhi incantevoli. Akamba, non so ancora in qual modo, la poté vedere una volta, e mi disse che per dimenticarla, gli occorrono fiumi di sangue, e almen cinquanta abbordaggi”
(Emilio Salgari, Le tigri di Mompracem, 1900).
Ormai duramente provato dalle fatiche e dalla malaria, Beccari si imbarca a Singapore nel gennaio 1868 e nel marzo di quell’anno sbarca finalmente a Messina, dopo tre anni di permanenza in Borneo. Una volta a Firenze, trascrive e pubblica i propri appunti in riviste quali Cosmos e La Nuova Antologia; appunti che catturano anche l’attenzione e la fantasia di Salgari. Ma nella sua mente cova un altro ambizioso progetto: un viaggio naturalistico in Nuova Guinea. Nel novembre del 1871 parte con il naturalista Luigi Maria D’Albertis e arriva a destinazione nel marzo successivo. Qui alla ricchezza delle specie animali e vegetali fa da contraltare la difficoltà delle condizioni di vita, con D’Albertis che si ammala gravemente ed è costretto a far ritorno in Italia. Prostrato da varie malattie tra cui il vaiolo, Beccari resiste e visita numerose isole dell’arcipelago indonesiano, tra cui Bali e Giava. Da qui si imbarca nel 1876 per far ritorno in Italia, carico ancora una volta di materiali pronti ad arricchire le conoscenze dei naturalisti. “Senza tema di essere tacciato della più piccola esagerazione” scrive lo zoologo Enrico Giglioli “posso dichiarare che nessuna spedizione scientifica in alcuna epoca e luogo ebbe nel corto spazio di tempo impiegato risultati così ricchi ed interessanti”. Ormai noto e stimato, Beccari non riesce però a star fermo e nel 1877 riparte con Enrico D’Albertis, cugino di Luigi Maria, verso India, Singapore, Australia, Tasmania, Nuova Zelanda.
Descrive per primo un esemplare di Amorphophallus titanum, “un fiore gigantesco e mostruoso” dall’odore nauseabondo di carne in putrefazione
Particolarmente ricca ed affascinante è la permanenza nell’isola indonesiana di Sumatra, ricca di rare specie ornitologiche, rinoceronti e tigri. Qui compie anche un’importante scoperta botanica descrivendo un esemplare di Amorphophallus titanum, “una delle più grandi meraviglie del mondo vegetale”. Su quest’ultimo Beccari mette addirittura una taglia e poco dopo due indigeni gli portano caricata sulle spalle “l’infiorescenza non ramificata più grande del mondo […] “un fiore gigantesco e mostruoso” (il fiore è alto tre metri e ne misura due in diametro, la foglia due metri) dall’odore nauseabondo di carne in putrefazione – da qui il nomignolo inglese di corpse flower, fiore cadavere. L’impressione sui naturalisti europei è tale che molti dubitano a lungo che il fiore esista realmente, ma il successo anche presso il grande pubblico è enorme, soprattutto quando a Londra si riesce a far fiorire un esemplare in serra grazie ai semi di Beccari.
Questa storia che sarebbe piaciuta a Tim Burton non è sfuggita all’occhio di Salgari. Nel suo romanzo del 1896 I naufragatori dell’Oregon i due protagonisti si trovano ad attraversare a piedi il Borneo e qui si imbattono in fiori giganteschi.
“Le Rafflesie […] sono i più grandi che si conoscano, avendo una circonferenza di tre metri e un peso di sette od otto chilogrammi. Queste piante, scoperte per la prima volta dall’italiano Odoardo Beccari nel 1778 [sic], sulle falde del vulcano Singaleg, nella provincia di Padang, a Sumatra, producono una foglia sola, gigantesca, alta oltre dieci metri e larga due o tre; dal centro di tale foglia sorge in un secondo tempo lo smisurato fiore di tinta rossastra, ma punteggiato di bianco. Non hanno un buon profumo quei fiori, anzi mandano un odore sgradevole come quello che esalano i pesci putrefatti […] Se i nostri compatrioti lo potessero trasportare a Giava o a Sumatra, sarebbero capaci di rinnovare le pazzie del famoso tulipano nero”.
Come osserva Paolo Ciampi ne I due viaggiatori. Alla scoperta del mondo con Odoardo Beccari ed Emilio Salgari (Polistampa, 2010), per una volta che Salgari cita il povero Beccari infila numerosi errori, a cominciare dal nome del fiore e dalla data della scoperta.
Chiusa definitivamente la stagione delle grandi esplorazioni, per Beccari inizia una nuova fase che si preannuncia ricca di soddisfazioni come la nomina a direttore delle collezioni e dell’orto botanico del Museo di Storia naturale di Firenze. Ma quello stesso carattere che gli aveva permesso di compiere grandi imprese nelle situazioni più difficili lo mette presto in contrasto con l’ambiente accademico e si dimette dall’incarico. Costretto per mancanza di fondi a sospendere anche le pubblicazioni della rivista Malesia che aveva fondato per divulgare i resoconti delle proprie ricerche, si ritira tra i vigneti a Bagno a Ripoli. Parrebbe un mesto e più che decoroso epilogo, ma è una visita inaspettata a riaccendere la fiamma. Nel maggio del 1897 si presenta infatti a Villa Beccari Margaret Brooke, consorte del rajah Charles. Madame Brooke persuade Odoardo a riprendere la penna in mano per un volume che riassuma la sua straordinaria conoscenza del Borneo. Una volta riaperto il flusso, è un diluvio di informazioni ed esperienze. Nelle foreste del Borneo. Viaggi e ricerche di un naturalista vede la luce nel 1902, e sono quasi settecento pagine. E’ un grande successo, tradotto in numerose lingue tra cui inglese e malese.
In quegli anni, ispirati anche dagli articoli di Beccari e di altri esploratori che consulta avidamente a casa e nella biblioteca civica di Torino, i romanzi di Salgari continuano a riscuotere grande successo. Nell’ambito del cosiddetto “ciclo indo-malese” escono ad esempio Le due tigri (1904) e Sandokan alla riscossa (1907).
Odoardo Beccari si spegne il 25 ottobre 1920, all’età di settantasette anni. Le sue ultime parole riguardano un libro sui viaggi in Nuova Guinea, che uscirà postumo. A commemorarlo, solo un breve trafiletto sul quotidiano La Nazione.
Emilio Salgari ha già tragicamente interrotto i propri viaggi narrativi nove anni prima, la mattina del 25 aprile 1911. Stremato da ritmi di lavoro insostenibili, difficoltà economiche e gravi vicende familiari, si è tolto la vita, lasciando tra l’altro una lettera agli editori. “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”.