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la critica

Competizione dove? Autoritarismo quando? E in quale scuola? Qualche domanda a Marco Rovelli

Tommaso Tuppini

Nel suo libro “Non siamo capolavori. Il disagio e il dissenso degli adolescenti” l'autore fa un paio di proposte da barricata per cambiare la scuola. Peccato che ripeta parola per parola le analisi di pedagogisti e psicologi – gli stessi che decidono nei tavoli tecnici ministeriali dove si decide cosa si insegna e come

La rivolta intimistica di questa maturità ’25 (“niente domande prof, lei non mi guarda dentro, lei non sa chi sono io”) ha dei mandanti: i masanielli di carta che sparano ad alzo zero sulle istituzioni ma lisciano il pelo a quelli che comandano per davvero. Un esempio è Marco Rovelli, scrittore e cantante, che nel suo “Non siamo capolavori. Il disagio e il dissenso degli adolescenti” (Laterza) fa un paio di proposte da barricata per cambiare la scuola. Peccato che ripeta parola per parola le analisi di pedagogisti e psicologi, gli stessi che dettano legge nei tavoli tecnici ministeriali dove si decide cosa si insegna e come. Morale della favola: il sistema scolastico soffre di “ingiunzione prestazionale” perché, ça va sans dire, è malato di neoliberismo. I docenti – ça va sans dire bis – non sono in ascolto sufficientemente amorevole (“empatico”) degli allievi condannati a una competizione darwiniana tra di loro. Chi resta indietro, sprofonda nella depressione, si disistima e si autoumilia. Quando invece – spiega Rovelli – la scuola dovrebbe essere una fabbrica di relazioni all’insegna del “benessere mentale”. Ma la lista delle doglianze è lunga, c’è anche l’autoritarismo e, l’argomento è cogente, “una scuola autoritaria prepara a una società autoritaria”. Per salvarsi da simili nequizie bisogna “mettere in comune le fragilità”, qualunque cosa significhi. 


Prendiamo fiato, e facciamo la domanda più ovvia: competizione dove? autoritarismo quando? In quale scuola del regno, di grazia? Rovelli, ti è giunta voce che gli insegnanti non bocciano più nessuno, per paura di trovarsi i genitori sotto casa? Ti rendi conto che la scuola italiana sta implodendo perché – nonostante quattro eroici gatti che, animati da un sacro fuoco residuo, fanno il proprio dovere – è colonizzata dal candore idiota di quelli che vogliono trasformare l’istruzione in “educazione affettiva” e le lezioni in sedute d’autocoscienza? Se quello è il tuo sogno, puoi svegliarti. Si è avverato. In fatto di agonismo la scuola somiglia più a una partitella in oratorio che al Tour de France. Lo sanno anche i muri. Tu invece la descrivi come se fosse il Passo dello Stelvio quando diluvia. Se ci credi sul serio, allora il tuo piffero magico ha incantato anche te. Il guaio è che i roditori al tuo seguito sono numerosi, ben nutriti e organizzati, e finiranno per far fuori i quattro gatti di cui sopra. Voi marciate in corsia di sorpasso sull’autostrada del potere. Avete già vinto. Vi restano totalmente estranei il dolore e la solitudine degli ultimi moicani in cattedra, che non giocano a fare gli assistenti sociali, non insegnano ad amare o farsi amare, ma cercano di far amare ciò che insegnano. Per loro, una virgola messa bene e la scelta di un aggettivo non usurato dalla comunicazione quotidiana sono più importanti di qualsiasi predicozzo. Lottano per una scuola che sia rigore, passione, studio. Non un palco da assemblea permanente, e nemmeno un centro di rieducazione sentimentale per piccoli Werther.

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