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premio strega 2025

La banalità del metodo Bajani, fresco vincitore dello Strega

Giuliano Ferrara

Il rifiuto della famiglia, la fuga dalla famiglia, l’abbandono della famiglia, la felicità senza famiglia. Scrivere un romanzo è un atto lodevole in sé, sarebbe meglio non circondarlo della povera e confusa esperienza critica

In una notte di insonnia mi è capitato di vedere un po’ di inserti televisivi sul premio Strega e sul suo vincitore Andrea Bajani. Il chiacchiericcio in favore di telecamera e Ninfeo, non importa chi sia e che cosa pensi il vincitore di un premio letterario, rischia sempre di risultare un po’ scontato e banale. Bajani è un torinese dal profilo pensoso e piacione, ha venduto la sua merce letteraria con una strana idea dell’originalità dell’opera e della forma di romanzo, con tutta la sua complessità, come lui dice. Il tema è il rifiuto della famiglia, la fuga dalla famiglia, l’abbandono della famiglia e il riscatto del figlio fuggitivo nella felicità dell’esito. Via dalla famiglia, sono stato felice. Rielaborando il celebre incipit di Anna Karenina, le famiglie sono tutte infelici e tutte infelici nello stesso modo, colpa del patriarcato e dell’incapacità famigliare di assicurare all’individuo un suo diritto a sentirsi al sicuro, al safe space (Bajani insegna in una università americana, è uomo di campus, insiste molto su questo misterioso spazio di sicurezza che è il mantra più incomprensibile del wokismo).

Chi legge libri, chi li scrive, chi ne sente parlare come di idoli, chi pratica l’impollinazione culturale senza riserva né sottigliezza si pensa come un battaglione di resistenti al lavoro per un futuro migliore, ma in certi casi può risultare una falange di retroguardia che gioca solo in difesa e ha lo strano gusto eroico delle battaglie già vinte e stravinte. La famiglia nella sua forma vittoriana, per non parlare della Karenina che scelse il suo spazio sicuro in una stazione ferroviaria buttandosi sotto un treno alla ricerca di felicità e immortalità oltre la linea di tenebra del matrimonio dell’amore della maternità, fu decostruita, come si dice oggi, nell’indagine sulla vita di provincia, Middlemarch, di Marie Anne Evans o George Eliot, il nome d’arte maschile di genere patriarcale di una scrittrice di profondità e complessità ineguagliabili. Matrimonio, famiglia, amore, generazione e rivolta sono materiali incandescenti, difficili da manovrare dopo un secolo o due di sperimentazioni e gloria, prima durante e dopo il momento modernista. Bisognerebbe diffidare delle semplificazioni travestite da complessificazioni. C’è stata poi la grande rottura della idea di famiglia uterina come viatico della schizofrenia e della follia, con Laing e Cooper a distruggere il nesso famigliare oppressivo della libertà individuale e generatore di terrore mentale, venne il famoso Sessantotto con la sua famiglia dispersa, ci sono stati la curva demografica in calando, la contraccezione, il divorzio, l’aborto, il movimento identitario Lgbtqi e il Gay Pride, il transgenderismo, sicché scoprire oggi o rilanciare la fuga dalla famiglia ha un effetto da specchietto retrovisore e un sapore di tisana detox di cui Bajani non sembra del tutto consapevole.


Un altro scrittore, Edoardo Albinati, aveva vinto qualche anno fa anche lui lo Strega, con un magnifico romanzo, La scuola cattolica, in cui tutto era crisi della famiglia ma attraverso il racconto di una generazione, di un quartiere, di una modalità di istruzione e costume laico e di chiesa, con la spettacolare irruzione drammaturgica del patriarcato stupratore a oltre quattrocento pagine di un romanzo che ne durava più di mille e trecento, il massacro del Circeo. Che non era, come la sopravvissuta all’eccidio Donatella Colasanti replicò a un suo intervistatore e come emerge dal racconto di Albinati, un semplice caso di stupro e femminicidio da giudicare con categorie ideologiche ingarbugliate, ma molto di più, una violenza intrisa di ambiguità morale e protetta dalla remissività della giustizia di stato e dall’influente presenza delle famiglie. Un po’ facile, adolescenziale, fuggire dalla famiglia e chiamare l’applauso per una soluzione che nasconde la crudeltà del problema, irriducibile a qualunque spazio di sicurezza. Insomma, uno scrive un romanzo, atto lodevole in sé, sarebbe meglio che non lo circondasse della sua povera e confusa esperienza critica, gettandolo nel pasticcio del sociale e del politico al ritmo dei propri ritardi.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.