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la censura
I colpi inferti alla libertà intellettuale e artistica negli Usa. Il caso Whitney
La chiusura dell’Independent Study Program del Whitney Museum, dopo una controversa performance pro-Palestina, è un atto di censura che colpisce la libertà intellettuale e artistica negli Stati Uniti. Questo segna una deriva inquietante per il mondo culturale americano
Molti non avranno la minima idea di cosa sia l’Independent Study Program del Whitney Museum of American Art, ma per gli addetti ai lavori del mondo dell’arte è un’istituzione sacra. Dai corsi dell’Independent Study Program dal 1968 a oggi sono usciti famosissimi artisti, curatori e critici d’arte. Ma la scorsa settimana la direzione del museo ha sospeso definitivamente il corso, mettendo così in discussione l’indipendenza (che sta nello stesso nome) e la sacra libertà di parola e facendo calare un buio profondo sul mondo culturale americano. Tutto questo generato da un progetto di performance di fine anno organizzato da alcuni studenti in favore della causa palestinese dal titolo “‘No Aesthetic Outside My Freedom’: Mourning, Militancy and Performance”. Pare che la performance avesse aspetti oscuri, come l’invito a chi sostiene Israele di lasciare la sala prima dell’inizio e pure una citazione dell’attacco di Hamas del 7 Ottobre . Detto questo, e non giustificando questi possibili aspetti di dubbio gusto del progetto, resta il fatto che la cancellazione della performance e addirittura dell’intero programma, con il licenziamento dell’attuale direttrice del corso Sara Nadal-Melsió, è un atto di pura e semplice censura, senza se e senza ma.
L’arte, e le istituzioni che la promuovono e la producono, sono l’ultimo territorio in cui il dibattito e la libertà di opinione devono essere difese a ogni costo. La censura, la cancellazione, l’ostruzionismo contro progetti che possono creare disagio, il ritiro del sostegno al museo da parte di chi è contrario a certe programmazioni dello stesso, sono atti di vigliaccheria intellettuale che non hanno alcuna giustificazione. Peggio ancora, come in questo caso, la vigliaccheria preventiva della leadership del Whitney Museum che, anziché lasciar svolgere regolarmente la performance affrontandone le conseguenze, ha scelto di sopprimere del tutto non un semplice progetto, ma un capitolo della propria storia e della storia dell’arte americana. L’arte è, nella maggior parte dei casi, una splendida inutilità, ma è forse l’unico strumento rimasto che può spingerci a riflettere sul mondo e sulle tragedie che lo attraversano. Così come siamo impotenti davanti alle tragedie del mondo, altrettanto impotenti dobbiamo sentirci davanti a riflessioni che ci disturbano e contrarie alle nostre idee.
La libertà dell’arte – che dovrebbe essere assoluta – può essere molto imbarazzante, ma le conseguenze di questo imbarazzo sono simbolicamente essenziali per il funzionamento delle società civili e libere. Che uno dei più autorevoli e importanti musei del mondo, quale è il Whitney, cada nella trappola di una censura inaudita è un segnale, se non la prova, che il talebanesimo del politically correct ha generato mostri e microbi intellettuali. Il bellissimo film di Rainer Werner Fassbinder s’intitolava “La paura mangia l’anima”. In un colpo solo il Whitney ha divorato, masticato, digerito ed espulso la propria anima. Ritrovarla sarà estremamente difficile.