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Più Champagne (e meno lagne) per finanziare i musei pubblici italiani
Eventi esclusivi e partnership con brand di lusso possono aiutare i musei pubblici a sostenersi. Superare i tabù sul “mercatismo” è essenziale per valorizzare davvero la cultura. Dom Pérignon alla Tate Modern e altre buone idee
La scorsa domenica si è celebrata anche in Italia l’annuale Giornata internazionale dei musei, benemerita, mentre ancora scorrevano gli ultimi rivoli delle polemicuzze sul tax credit del cinema, l’eterna questione del finanziamento pubblico alla Settima arte. E qualche inevitabile rimbalzo ha interessato anche l’altro consueto grande tema del binomio cultura & quattrini: quello relativo al finanziamento, sempre insufficiente, ai musei pubblici e alle istituzioni culturali. Finanziamenti che ovviamente hanno da essere pubblici, meglio statali: perché la cultura è del Popolo, perbacco. Ma da dove cavarli, i finanziamenti, quasi mai ci si sforza di specificarlo. Anzi, se qualcuno prova a dire (e soprattutto fare) che l’immenso patrimonio museale del nostro paese può trovare anche il modo di contribuire al proprio sostentamento – e dunque a quello dell’intero bene culturale pubblico – ecco piovere le accuse di mercatismo, di svendita, di ideologia del profitto. Bigliettificio come causa perversa e infine esito dell’overtourism. Eppure basterebbe guardare come funzionano e come si auto-finanziano, ovviamente in parte, i grandi musei pubblici del mondo. Anche quelli, come nel Regno Unito, in cui per nobile tradizione si accede gratuitamente. Ma che sanno costruire mostre temporanee – nei musei italiani ancora spesso guardate con sospetto – che servono anche ad autofinanziarsi.
Alla National Gallery, esempio preclaro di museo pubblico, la mostra di Van Gogh chiusa a gennaio è stata la più visitata della storia del museo, 334.589 biglietti staccati. Ma lo fanno, ovviamente, anche con altre idee. Lo scorso giovedì alla Tate Modern di Londra si è svolta la quarta edizione della festa “Révélations” di Dom Pérignon. Trecentocinquanta invitati d’alto glam, arte, food stellato e fiumi di Champagne. Ma anche l’inaugurazione di una mostra sulla storia e la creatività dell’icona globale Dom Pérignon, “Creation Is an Eternal Journey”. Avranno ottenuto la location gratis? Il sistema dei musei Tate è di natura pubblica, anche se parte consistente dei suoi fondi è di origine privata, garantita da una estesa rete di donatori e filantropi globali (non si paga biglietto, tranne che per mostre specifiche). Non va però tutto bene nemmeno per l’iconica cattedrale del contemporaneo progettata Herzog & de Meuron, che compie 25 anni di vita, se nel 2024 ha dovuto tagliare il personale a fronte di un calo dei finanziamenti pubblici e anche di un calo di visitatori (l’overtourism, come lo spirito dei tempi, soffia dove vuole). Finanziarsi attraverso mostre che sono anche strumenti di marketing aziendali non è uno scandalo. Del resto, nel suo piccolo, lo scorso anno la mostra di Dolce&Gabbana a Palazzo Reale di Milano e al Palazzo delle Esposizioni di Roma è stata un successo. Inoltre nei maggiori musei mondiali sono ormai una tradizione le sfilate di grandi Maison: da Louis Vuitton al Louvre ne 2021 a Gucci alla Tate quest’anno (ma aveva sfilato anche Palazzo Pitti già nel 2018). Insomma il grande arricciar di naso passatista e statalista ogni volta che qualcosa di simile accade anche in Italia, e le lamentele al ministro di turno mescolate però a quelle contro il “bigliettificio”, che è una forma di finanziamento, non hanno ragion d’essere. Ogni volta è la stessa lagna. Lo scorso anno toccò, con scandalo degno dell’incendio della Biblioteca di Alessandria, per una festa di matrimonio nei locali monumentali dell’Archivio di Stato di Napoli. Anni fa uno scandalo montato ad arte toccò alla Pinacoteca di Brera per una cena sponsorizzata. Eppure il magnifico Museo Egizio di Torino, appena rinnovato, offre, da apposita sezione sul suo sito, la possibilità di “organizzare un evento” ed “esperienze uniche, ampliando i propri spazi e creando nuove opportunità per eventi esclusivi”.
Lo stesso fa la Pinacoteca di Brera, il cui direttore Angelo Crespi, intervistato dall’Espresso sul tema del boom dei visitatori in Italia (oltre 60 milioni di ingressi, +15 per cento nel 2024) e sulla contemporanea carenza di personale, ha ricordato che grazie alla riforma del 2008 e ai suoi più recenti ampliamenti “la situazione è molto positiva” per quanto riguarda la possibilità di finanziarsi: “Basti dire che il Colosseo ha superato i 100 milioni di euro di ricavi all’anno, gli Uffizi sono oltre i 60, la Grande Brera sui 15”. E una piccola ma crescente parte di questo sviluppo può o potrebbe venire anche dall’utilizzo del patrimonio di luoghi come i musei, le regge, i palazzi storici adatti a ospitare eventi privati e “mondani”. Si perderà forse un po’ di ingessata “sacralità”, ma la risposta alla domanda “e chi paga lo Champagne?” è dietro l’angolo.