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Le milizie antifà di Wikipedia
Le incursioni anonime che riscrivono biografie con genealogie compromettenti, trasformando le voci online in un campo di battaglia ideologica. Una pratica ormai svuotata di forza, più ossessione che reale minaccia
E così non sono solo. Non sono l’unico bersaglio dei volenterosi correttori antifascisti doc che ritoccano le biografie sospette su Wikipedia. Degli incursori anonimi dediti allo smascheramento del fascismo genetico che alligna in chi vorrebbe cancellare le tracce di un passato familiare politicamente sulfureo. Delle brigate della memoria ripulita che si infilano nei profili di giornalisti e gente varia del circo politico-mediatico per inchiodarli all’inconfessabile, all’indicibile, alla vergogna genealogica. Mi dicevo: è capitato me, amen. E invece scopro che due colleghi illustri, Antonio Padellaro e Alessandro Sallusti, in due recenti libri usciti pressoché contemporaneamente, hanno ricevuto lo stesso identico trattamento psico-biografico. Gomblotto. Vittime dei raddrizzatori clandestini che nell’ombra tramano per rendere Wikipedia conforme alla religione civile antifà.
E infatti, anche Antonio Padellaro racconta con il dovuto sarcasmo nel suo “Antifascisti immaginari” (PaperFirst), di aver scoperto quasi per caso la sollecita attenzione degli occhiuti incursori Wikipedici. Nell’incipit del suo profilo biografico che gli dedica generosamente l’immensa enciclopedia digitale di cui siamo tutti fruitori compulsivi, proprio nelle primissime parole, giusto nella premessa, nel cappello introduttivo, come in una versione secolarizzata dell’“introibo” che nella liturgia cristiana indica la prima parola pronunciata dall’officiante all’inizio della Santa Messa, insomma subito nella voce “Antonio Padellaro”, ovviamente all’insaputa del biografato, è scritto così: “Nipote del gerarca fascista Nazareno, diventa giornalista professionista nel 1968…” eccetera eccetera, dove con eccetera eccetera si indica più o meno quella sessantina di anni spesi nella professione a tutti nota. Uno stigma, una frase secca come un colpo di proiettile che tradotto, secondo Padellaro, vogliono dire questo in modo obliquo: “Caro lettore, sappi che tutto quello che leggerai da qui in avanti non potrà non essere influenzato da ciò che hai letto prima. Ovvero che costui (e altri scampoli anagrafici del turpe Ventennio) risultano strettamente imparentati con personaggi fortemente compromessi con il fascismo e con i delitti della famigerata Repubblica di Salò”. Reazione di Padellaro: sconcerto? Indignazione? No, il colpo a salve “risponde esattamente alla verità dei fatti” e cioè il suo “essere nipote di un gerarca fascista”. Tuttavia incompleto, lacunoso, stranamente omissivo, osserva il wikipedizzato Padellaro, perché sarei anche “figlio di un funzionario dello Stato che dopo l’8 settembre del ’43 decise di aderire alla Rsi, inserito nei ruoli del ministero della Cultura popolare” (dove peraltro – aggiungiamo questo particolare succulento ad ausilio degli anonimi delatori antifà – lavorava Giorgio Almirante).
Poi leggo il libro “L’eresia liberale” (pubblicato da Rizzoli e uscito negli stessi anni) di Alessandro Sallusti. Anche qui il cappello introduttivo infilato di nascosto dal correttore antifà: “Alessandro Sallusti, nato nel 1957, è nipote di Biagio Sallusti, tenente colonnello del Regio Esercito che dopo l’armistizio aveva aderito alla Repubblica Sociale e che fu giustiziato dai partigiani per aver presieduto il tribunale speciale che aveva condannato alla fucilazione il partigiano Giancarlo Puecher Passavalli”. Qui, a differenza della “verità dei fatti” puntualmente rispettata dalla postuma misura punitiva wikipedica nel caso di Antonio Padellaro, l’avvertimento delatorio sarebbe pure leggermente inesatto, visto che tecnicamente Biagio Sallusti, nonno di Alessandro, non fu (siamo già nel febbraio del 1946) “giustiziato dai partigiani”, bensì da un tribunale post-Liberazione che aveva proceduto con modalità molto sommarie fino alla condanna a morte prontamente eseguita.
Insomma due giornalisti di diversa estrazione politica, chiamati nella loro storia professionale a dirigere quotidiani di orientamento opposto come il Fatto quotidiano e il Giornale, vengono omaggiati della stessa attenzione da anonime mani che in segreto, con l’arma del computer pronto a emettere la sentenza di condanna familiare, compulsano nell’ombra archivi e dossier per scaraventare il frutto del loro indefesso lavoro nella nuova, gigantesca enciclopedia digitale fondata nel 2001. Che poi è “il quinto sito internet più visitato al mondo”, come ricorda lo stesso Sallusti, in cui “l’edizione italiana comprende oltre un milione e novecentomila voci e ha oltre due milioni di utenti registrati”. Una manna per gli incursori clandestini che si sentono onnipotenti mentre irrompono nei profili biografici di “nemici” dalla dubbia rispettabilità politica.
Deve essere proprio una mania, un’ossessione vissuta come arma di lotta per il Bene e di smascheramento del Male, ovunque esso si annidi, e visto che il fascismo è il Male assoluto, assoluta e obbligatoria occorre che sia la ricerca di un parente, un padre, un nonno, un bisnonno, uno zio compromesso con il fascismo che avrà certamente trasmesso il morbo per via ereditaria, una maledizione anagrafica, una tara genetica, una colpa dei padri (e dei nonni) destinata a ricadere sui figli (e sui nipoti), soprattutto se figli e nipoti non dimostrano piena e incondizionata adesione ai dettami della dottrina antifascista (o antifà, l’antifascismo è cosa troppo seria). Deve essere un drappello di pugnaci combattenti ben motivati, infatti, se la stessa, identica incursione antifà ha colonizzato il mio, di profilo biografico su Wikipedia (pieno di errori materiali, di date sballate, di incarichi mai ricevuti, ma questo non è granché importante, in fondo è solo un attentato alla mia autostima). Da un po’ di tempo il mio profilo biografico wikipedizzato in senso antifà comincia infatti con queste parole, dal tono identico a quello sfoderato in quelli di Padellaro e Sallusti: “Pierluigi Battista, figlio di Vittorio, che fu volontario nella Repubblica Sociale Italiana, e poi dirigente del Movimento Sociale Italiano eccetera eccetera”. Originariamente questo incipit non c’era. Ma è contenuta nelle stesse regole di Wikipedia la possibilità di apportare modifiche che gli arguti e i mobilitati in servizio permanente hanno colto come l’occasione propizia per riscattare la mestizia di un’esistenza anonima. “Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull’uso delle fonti”, prescrive infatti la regola. Da qui la pioggia di incipit antifà. Che però non colpisce più, è acqua fresca, e resta solo un dato di costume.
Padellaro ci ride su. Sallusti ci ride su. Per me l’intrusione ha funzionato addirittura come stimolante per scrivere un libro intitolato “Mio padre era fascista”, uscito nel 2016. Piuttosto mi piacerebbe sapere come si formano, dove si incontrano, come comunicano, i militanti dell’intervento clandestino nelle biografie altrui. Come ha scritto Camilla Baresani in un articolo di qualche anno fa, riprendendo una dichiarazione dello stesso cofondatore dell’enciclopedia digitale Jimmy Wales resa pubblica durante un meeting annuale dal titolo “Vikimania” (si chiamava proprio così: tutto vero, non è un fake), si era scoperto che “ogni 100 collaboratori di Wikipedia 91 sono uomini”.
Non so se nel frattempo le cose siano cambiate, ma all’epoca solo 9 donne su 100 si avvalevano di quel “meccanismo di inserimento dei dati (un po’ macchinoso)” dove “chiunque può costruire, amplificare, correggere una voce”. Discriminazione di genere oppure, usando un’espressione derisoria molto in uso in tempi di patriarcato ostentato, manifestazione di “saggezza femminile”? Comunque uno squilibrio molto utile per ricostruire l’identikit antropologico e caratteriale dell’incursore wikipedico che, temo, impegnato nel diuturno smascheramento del nemico del popolo nemmeno si è accorto che il giochino non ottiene più gli effetti sperati. Volevano mettere in guardia i contemporanei nei confronti di persone nelle cui vene potrebbe circolare sangue politicamente infetto, pensando di minarne la credibilità. A che scopo altrimenti perdere tanto tempo in un’attività così ridicola? Ma gli anni sono passati ed essere figli o nipoti di fascisti non pentiti non costituisce più un reato. In altre epoche, o meglio fino a pochi anni fa, non era così.
Non in Italia e nemmeno in Francia, però. Emmanuel Carrère, per esempio, aveva dedicato alle tragiche circostanze del nonno collaborazionista desaparecido all’indomani della sconfitta dei nazisti invasori una parte del libro “La vita come un romanzo russo” (titolo einaudiano) o “Romanzo russo” (titolo cambiato nel passaggio adelphiano dello stesso testo: sta diventando una consuetudine). Adesso è in procinto di pubblicare un libro interamente consacrato alla figura di Georges Zourabichvili, cioè di suo nonno, del padre di Hélene Carrère d’Encausse, grande studiosa morta nel 2023, accademica di Francia, figura prestigiosa nella cultura francese e internazionale, l’analista di cose russe che, unica al mondo, aveva pronosticato la dissoluzione dell’Unione sovietica un bel po’ di anni prima della caduta del muro di Berlino. Zourabichvili era un emigrato georgiano in fuga a Parigi dopo la Rivoluzione d’ottobre. Uomo colto e certamente risentito con chi lo aveva costretto all’esilio, si guadagnava da vivere guidando un taxi e nei giorni successivi alla Liberazione venne arrestato e portato via da degli sconosciuti. Nessuno lo ha più rivisto. “Il suo corpo non è mai stato ritrovato, non c’è tomba con il suo nome”, ha scritto Carrère. Aveva fatto l’interprete al servizio dei tedeschi occupanti con compiti amministrativi, una forma di blando collaborazionismo molto diffuso, ma nessun delitto gli era stato contestato. Eppure su di lui e sul suo tragico destino cadrà la dannazione della memoria, a cominciare da quella della figlia, la madre di Emmanuel, che quando il padre venne inghiottito nel nulla aveva solo quindici anni e che ha voluto sradicare dalla propria vita professionalmente brillante ogni traccia, persino anagrafica, dalle sventure paterne. “Da adulta, la ragazza povera con un cognome impronunciabile è diventata sotto il cognome del marito” – ha scritto il figlio – una stella di primo piano dell’establishment culturale francese, una brillante carriera “costruita sul silenzio e, se non sulla menzogna, sul diniego”.
Questa congiura del silenzio fu rotta dal figlio devoto, fino alla sfrontatezza, al culto della sincerità letteraria autobiografica e lei se ne ebbe molto a male perché avrebbe voluto morire prima che quel segreto indicibile venisse infranto. Oggi che la madre è morta, il figlio Carrère ha deciso di raccontare quella fosca storia sin nei minimi dettagli. Ma i tempi del silenzio e della vergogna della madre sono finiti, il ricatto della segretezza si è dissolto. Il senso di maledizione e l’imbarazzo sono svaniti. Oggi è molto più semplice dirsi figli e nipoti di fascisti. Le manine anonime e maligne che hanno voluto inserire furtivamente nelle prime righe dei profili Wikipedia di Antonio Padellaro, di Alessandro Sallusti e mio (e chissà di quanti altri ancora) la macchia genetica del fascismo paterno non fanno più male, non scoprono più chissà quali segreti inconfessabili. L’era dell’imbarazzo e della vergogna si è chiusa, malgrado i disperati tentativi di tenerla artificialmente. Ma loro pensano che una platea immensa come quella della gigantesca enciclopedia digitale possa ravvivare per mezzo di quelle furtive inclusioni una guerra che, a parte esigue minoranze, non scalda più gli animi. Fare di Wikipedia l’ultima ridotta del fanatismo antifà sembra solo un esercizio patetico: fatica sprecata.