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Tra il 500 e l'oggi

Il tema del corpo era decisamente più affascinante nella Venezia rinascimentale che all'epoca di Tiktok

Giulio Silvano

Nel 1500 le menti del rinascimento studiavano l’arte per fare medicina e la medicina per fare arte, e il risultato non è una polemica Twitter. ma un autoritratto di Dürer a corpo nudo. La nuova mostra delle Gallerie dell’Accademia

Andare alla nuova mostra delle Gallerie dell’Accademia – Corpi moderni – dopo aver visto la serie inglese Adolescence obbliga il nostro cervello a sovrapporre gli studi sulle misurazioni del cranio di Piero della Francesca ai calcoli sull’attrattività delle mandibole che fanno gli incel nella manosfera. Certo, va detto che il tratto di Piero è infinitamente più affascinante di un post su Reddit, ma molte delle opere e degli artefatti della mostra hanno un appiglio automatico al contemporaneo. La Femina veneta che si schiarisce i capelli al sole fa pensare al riccone tech Bryan Johnson che fa bagni di luce per non invecchiare; la Donna nuda con specchio del de’ Barbari sembra un’influencer che si prepara a una diretta Instagram; lo Studio proporzionale di donna di Dürer potrebbe essere un post sulla grassofobia; la tavola della Protezione nasale post-innesto fa venire in mente le pazienti morte dopo rinoplastiche fatte da medici trovati su TikTok. Parliamo di manufatti quattro o cinquecenteschi che noi adattiamo al dibattito sul presente, per accorgerci che l’illusione, oggi, di vivere nell’epoca dei corpi – come ci dicono alcune attiviste sui social – è appunto un abbaglio.

 

                   

 

Certo, anche nel bookshop veneziano, tra le cartoline di Leonardo e Bellini si vende C’era una volta il corpo di Walter Siti (dove il corpo è però soprattutto veicolo di piacere sessuale), e negli ultimi anni siamo stati bombardati dalla narrativa sulla malattia e dal Pasolini in quanto martire e dai dibattiti su bodyshaming e manspreading e altri inglesismi del mondo woke. Ma il tema del corpo è molto più interessante nel 1500, quando le menti del rinascimento studiano l’arte per fare medicina e la medicina per fare arte, e il risultato non è una polemica Twitter ma un autoritratto di Dürer a corpo nudo. Il male gaze non era sempre così crudele nell’èra del patriarcato, se lo stesso Dürer dice che la bellezza e la forma sono “comprese nell’insieme di tutte le persone”. L’uomo vitruviano leonardesco, esposto alla mostra, più che un modello per il canone è un manifesto del “nessuno è perfetto”, come spiega anche Francesca Borgo, una delle curatrici, nel catalogo. Simile al dibattito odierno sull’autofiction, già allora i maestri si chiedevano quanto di sé, delle proprie misure e del proprio aspetto, si volesse infilare nelle tele.

“Ogni dipintore dipinge sé”, era un motto quattrocentesco, e Leonardo lo prende però come monito, notando come i suoi contemporanei tendano a “fare la maggior parte dei volti che somigliano al loro maestro”. E non è un caso che proprio a Venezia, dove a Murano nascono i primi specchi di vetro, aprendo a un monopolio della contemplazione del sé, si aprano i quesiti sulla rappresentazione del corpo. E di nuovo, non è un caso che proprio in uno dei suoi soggiorni in laguna Dürer, attento a capigliature sue e altrui, si faccia crescere la barba, che diventa argomento di conversazione a Norimberga. Venezia non a caso diventa la città della vanità, delle maschere e dei Casanova.

Certo, i corpi moderni del titolo, nella loro sperimentale flessibilità che nel Rinascimento, anche veneziano, va dall’anatomia all’editoria erotica, non sono solo occasione di paralleli con l’oggi. Resta anche la contemplazione del gesto artistico, facilitata in questa mostra dal piacevole allestimento che gioca con la censura dei corpi nudi attraverso pannelli che sfumano i nudi addormentati e dalle tende operistiche blu, da specchi e luci che mimano il cielo stellato.