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Acciaio e sogni
Così Goldrake ha contribuito alla globalizzazione
Definito “violento” e “fascista”, il robot e il suo coraggioso pilota hanno combattuto per un'umanità ignava. Di cui allo stesso tempo celebravano la solitudine
Se i Greci andavano in visibilio per le imprese di Achille e gli uomini del Medioevo si identificavano in Orlando, i quaranta-cinquantenni di oggi hanno avuto Goldrake. Il robot esordì sugli schermi giapponesi nella primavera del 1975, e arrivò in Italia tre anni dopo. Non aveva bisogno dello scudo forgiato da un dio: era interamente d’acciaio. E invece di Durlindana possedeva l’alabarda spaziale, oltre a una collezione di ordigni i cui nomi, in un’età tecnologicamente meno raffinata di adesso, erano sufficienti per far sognare: maglio perforante, raggio disintegratore, raggio antigravità, lame rotanti, pioggia di fuoco. Molti adulti, però, storsero il naso: tutta quella violenza avrebbe danneggiato le menti dei pupetti in estasi ogni volta che Goldrake attivava un’arma invocandola a gran voce. Tra i più indignati ci fu Nilde Iotti che lo definì “antidemocratico” e “fascista”. In effetti, un certo spirito revanscistico c’era: Goldrake è l’invenzione di un popolo sconfitto dalla bomba atomica e dispone di un arsenale altrettanto devastante.
Ma Goldrake ha contribuito in modo decisivo alla globalizzazione delle menti: in un mondo ancora lacerato dalla Guerra fredda, il robot difendeva la Terra dall’invasione degli alieni, i terribili Vega, non parteggiava per questa o quella nazione ma per l’umanità. Allo stesso tempo celebrava la solitudine. Actarus, il pilota di Goldrake, è un principe in esilio, profugo da un pianeta distrutto, costretto a nascondere la sua vera identità anche a chi gli sta accanto. Portare sulle spalle il destino del mondo scava un fossato tra lui e quelli che cerca di proteggere. Non è nemmeno un guerriero per vocazione, ma un combattente malgré lui. Gli piacciono le passeggiate nei boschi e i tramonti. Se potesse, tornerebbe sul suo pianeta a fare una vita scioperata, come ogni principe che si rispetti. Invece gli tocca darsi da fare per gli ingrati terrestri i quali, ignari della catastrofe che incombe, sono ostili o, nel migliore dei casi, indifferenti verso il paladino che li difende. Il messaggio era chiaro: per combattere gli alieni ci vuole un alienato. Mentre gli uomini continuano, ciascuno, a coltivare il proprio orto, Actarus è l’unico a credere nell’umanità come una cosa intera, esposta a un pericolo comune che solo lui conosce.
Quando psicanalisti e antropologi lamentano che nelle famiglie moderne i bambini, poveri loro, sono cresciuti avendo esclusivamente il padre come modello, e invidiano i piccoli selvaggi delle isole Tonga che possono scegliere tra un ampio ventaglio di dèi e antenati, dimenticano che è esistito Goldrake. E Mazinga, Gundam, Daitarn, Jeeg, Daltanious, i cui comandanti, solitari e riluttanti, ci hanno insegnato un paio di cose semplici e crudeli: che il mondo è uno e, se lo perdiamo, non c’è un piano B; e che non meritiamo di sopravvivere, ma forse qualcuno, da qualche parte, senza che lo sappiamo, sta provando a salvarci dalla nostra idiozia collettiva.