FACCE DISPARI

Elena Pasoli: “Libri per bambini senza tabù ma la fiaba resiste”

Francesco Palmieri

Nel capoluogo emiliano s’incontrano gli operatori di un’editoria per nulla querula, che adeguandosi ai tempi non lamenta crisi. Per sapere cosa sfoglieranno nel mondo i lettori da zero a diciotto, parliamo con la direttrice della Bologna Children’s Book Fair

È una grande incubatrice di sogni per bambini la Bologna Children’s Book Fair. Si può compararla senza troppa approssimazione alla Buchmesse di Francoforte, salvo che a Bologna s’incontrano gli operatori di un’editoria meno querula, che adeguandosi più sveltamente ai tempi non lamenta crisi. Per sapere cosa sfoglieranno nel mondo i lettori da zero a diciotto bisogna guardare alla manifestazione bolognese, che di anni ne conta sessantadue e da quasi venticinque, salvo una parentesi di cinque, è diretta da Elena Pasoli, bolognese anche lei. È simbiotico il rapporto tra la città e la fiera, anche se l’origine della kermesse assecondò l’intuizione del fiorentino Sergio Giunti, al quale da editore per ragazzi Francoforte suscitava comprensibile claustrofobia.

Non vanno scolaresche alla Bologna Children’s Book Fair, ma editori, autori, illustratori, stampatori, agenti, bibliotecari per scambiarsi oltre ai diritti le rotte di un fluidissimo mercato.

   

Quanti espositori ha censito l’ultima edizione?

In presenza fisica 1.530.

 

Da quante nazioni?

Novantaquattro, ma sono 108 se s’aggiungono i visitatori.

 

L’Italia come se la passa?

Bene: da oltre dieci anni ha invertito il trend, per cui sono molti di più i diritti venduti all’estero dei titoli che vengono comprati. Non per vanteria, ma ospitare la più importante fiera di riferimento pesa sui risultati. Sin dalla prima edizione parteciparono editori europei e americani e già alla seconda arrivarono i giapponesi. La Fiera deve tanto a Bologna e alla sua capacità di accoglienza.

  

Il gusto dei giovanissimi è diventato meno eterogeneo? Le narrazioni si globalizzano anche per loro?

Per scambiare i diritti occorre sempre una capacità di tradurre che tenga conto delle diversità. Sarebbe sbagliato parlare di censure, ma a volte sono necessari adattamenti relativi alle varie culture e ai costumi quotidiani di singoli paesi.

  

Com’è mutata la geografia produttiva?

Un tempo s’appuntavano gli sguardi sull’editoria francese e inglese, ma intanto sono fioriti talenti in paesi che fino a una ventina d’anni fa non erano protagonisti. Per esempio quelli dell’Europa orientale, di altissima qualità nelle illustrazioni e nel book design, o la Corea, che ha sviluppato le potenzialità del suo patrimonio culturale con crescente consapevolezza e adesso è ai vertici della produzione. Vale lo stesso per la Cina, con la nuova generazione di illustratori che hanno studiato all’estero e intersecano la loro con altre culture.

  

Qual è il rapporto tra illustrazioni e testo?

L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che visita un bambino, ma il visual book sta diventando un genere importante anche nell’editoria per grandi. C’è una sensibilità all’immagine assai più forte di prima.

  

In cosa sono cambiati i piccoli lettori nell’ultimo quarto di secolo?

L’editoria per l’infanzia propone temi che una volta erano tabù: la morte, la guerra, le migrazioni. È cresciuta l’offerta di libri informativi ma c’è anche un importante ritorno della fiaba; fantasy e romance funzionano benissimo; i grandi classici non spariscono mai, ma accanto alle storie avventurose si collocano quelle di persone “normali”. Le donne che escono ogni mattina per lavorare s’affiancano alle storiche eroine.

  

L’editoria per i lettori in erba dà la linea o la riceve?

Il nostro, forse perché è un settore meno analizzato e dibattuto, è sempre stato fertile per sviluppare tematiche su cui gli altri editori non s’arrischiavano, scontando la cautela di chi è sotto i riflettori. Perciò dico senza paura di smentite che i libri per giovanissimi sono anticipatori.

  

Cosa leggeva lei da piccola?

M’innamorai di Salgari un’estate per caso. Avevo tra i sette e gli otto anni e scoprii la collezione quasi completa delle sue opere nella biblioteca di mio nonno. Poi s’aggiunsero altre letture immancabili, dal “Giornalino di Gian Burrasca” a “Piccole donne”.

  

Il digitale è nemico del libro?

Ci sono stupende digital libraries per bambini cui nella Fiera abbiamo dedicato anche un premio. Le tecnologie modificano tante cose: gli e-book, poi le app e le serie web costituiscono un mercato parallelo al libro tradizionale, ma il dilemma di chi vince tra digitale e cartaceo è stato superato grazie alle interazioni reciproche. Alla Fiera le premiamo con il ‘CrossMedia Award’, incoraggiando la capacità di migrare dal libro e tornarvi dalle varie piattaforme. È quel che avviene da tempo anche nel rapporto con il cinema, la tv e gli audiovisivi, per i film e i cartoni animati. Sono strade che s’incrociano.

   

L’importante è che i bambini leggano.

Non tanto che leggano più storie, ma che si formino uno spirito critico. La community della Fiera è composta da professionisti che non s’impegnano soltanto per denaro, anche perché i profitti dei singoli spesso sono minori e tante case editrici hanno dimensioni minuscole. L’obiettivo è pubblicare bei libri. E l’ideale è che aiutino a crescere cittadini migliori.

   

E l’obiettivo della Fiera?

Ovviamente come organizzatore vendiamo metri quadrati, ma la reputazione di promotore culturale che abbiamo guadagnato va davvero oltre. Abbiamo realizzato mostre in settanta città del mondo, nel 2018 abbiamo vinto il premio The Eric Carle Honors a New York e siamo co-organizzatori a Shanghai della International Children’s Book Fair.

   

Quando si terrà la prossima Bologna Children’s Book Fair?

Dal 31 marzo al 3 aprile 2025.

    

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