indagini
La confessione e tanti non ricordo
Può Ingram, stimato vicesceriffo, aver abusato delle proprie figlie? Le due ragazze lo accusano, lui crede più a loro che alla propria memoria. Una storia agghiacciante dalla realtà alla letteratura. Un estratto dal libro di un premio Pulitzer
Un estratto, in esclusiva per il Foglio, di “Inferno americano. Storia di una famiglia”, di Lawrence Wright, già vincitore del premio Pulitzer per “Le altissime torri”. Il libro è pubblicato in Italia da NR Edizioni (200 pp., 20 euro.
(Traduzione di Paola Peduzzi).
La mattina del 28 novembre 1988, un lunedì, il giorno in cui sarebbe stato arrestato, Paul R. Ingram si vestì per andare al lavoro nell’ufficio dello sceriffo della Thurston County, in cui lavorava da quasi diciassette anni. Scese al piano di sotto, fece colazione e poi, con sua grande sorpresa, improvvisamente vomitò. All’inizio pensò che si trattasse di un’influenza, poi capì che la sua era semplicemente paura.
Ingram, quarantatré anni, era una figura familiare per la maggior parte dei cittadini di Olympia, città dello stato di Washington. Fino a quel giorno, aveva ricoperto il ruolo di vicesceriffo e di presidente del Partito Repubblicano locale. Attivo nell’associazione dei vicesceriffi e nella Church of Living Water, una congregazione protestante fondamentalista, era padre di cinque figli (la sesta, una bambina con problemi cognitivi, era morta da poco tempo in un istituto). Come politico, era considerato un ponte tra i conservatori moderati e la destra cristiana. Come agente di polizia, era più apprezzato dai cittadini che dai colleghi. Alto, mascella squadrata, occhiali di grandi dimensioni e baffi castani, era noto nel suo dipartimento per essere un tipo intransigente che amava stare di pattuglia. Sebbene sostenesse di dare fino a cinque avvertimenti prima di fare una multa, è anche vero che di solito effettuava più fermi della maggior parte degli agenti. Aveva fama di dare multe anche a chi superava il limite di soli dieci chilometri orari, eppure il suo fascicolo personale non conteneva un solo reclamo; al contrario, era pieno di lodi da parte di cittadini che lo ringraziavano per la cortesia dimostrata mentre faceva loro la multa.
Alle otto di quel lunedì mattina, Ingram entrò nel parcheggio del complesso del tribunale. [...] Quindici minuti dopo il suo arrivo, Ingram fu convocato nell’ufficio del suo capo, lo sceriffo Gary Edwards. Uomo affabile e con pochi nemici, Edwards era uno dei rari funzionari repubblicani in una contea da tempo considerata roccaforte del Partito Democratico. Ingram non era soltanto un suo sottoposto, ma anche un importante alleato politico di Edwards, oltre che un amico da quasi un decennio. Nel 1986, Edwards aveva nominato Ingram come suo vice, causando qualche malumore da parte di coloro che si erano visti scavalcati da una persona più giovane, ma i suoi risultati in quella posizione erano stati validi. Era più adatto al lavoro d’ufficio che alle indagini. Come Edwards, anche Ingram si offendeva di rado: si mostrava allegro e imperturbabile, qualità che Edwards possedeva in abbondanza e che chiaramente cercava nel suo staff. Con i suoi modi seri e gentili, Ingram era il tipo di poliziotto fatto su misura per gli incontri pubblici. Trascorreva gran parte del suo tempo nelle scuole a parlare ai ragazzi dei pericoli legati all’utilizzo di droghe, anche se continuava a controllare gli automobilisti mentre andava e tornava dal lavoro.
In quella riunione, a Edwards e Ingram si unì il numero due del dipartimento, Neil McClanahan. Pungente e ambizioso, McClanahan aveva fatto carriera ancora più rapidamente di Ingram. Si conoscevano bene dal 1972, quando erano giovani agenti e stavano di pattuglia insieme. Portava gli occhiali e aveva dei baffi castani, e quando indossava il suo cappello da pioggia in tweed assomigliava a Peter Sellers nel ruolo dell’ispettore Clouseau – ed era lo stesso McClanahan a scherzarci su. Non sorprende che le carriere di Paul Ingram e Neil McClanahan fossero corse in parallelo, dal momento che competenze e interessi di entrambi erano simili; e, sebbene amici, erano anche in concorrenza nella piccola ma molto politica gerarchia dell’ufficio dello sceriffo della Thurston County. La prima cosa che fece McClanahan quella mattina arrivando alla riunione fu quella di togliere a Ingram la pistola semiautomatica che portava abitualmente in una fondina sulla caviglia.
“Paul, c’è un problema”, disse Edwards. Chiese a Ingram se fosse a conoscenza delle accuse di molestie sessuali che le sue due figlie, Ericka e Julie (rispettivamente di ventidue e diciotto anni), avevano presentato. Ingram rispose di sì, ma disse di non ricordare di aver mai molestato le sue figlie. “Se è accaduto, dobbiamo occuparcene”, disse sempre Ingram, ma aggiunse: “Non riesco a vedere me stesso fare una cosa del genere”. Se aveva davvero molestato le ragazze, allora “esiste un lato oscuro di me che non conosco”. Quelle risposte erano equivoche in modo inquietante, una variante del classico “forse l’ho fatto e forse no” che la polizia ascolta spesso dai sospettati che vogliono patteggiare. Ma Ingram continuò dicendo che se le accuse erano vere, non solo le sue figlie, ma anche i suoi figli avrebbero avuto bisogno di aiuto. “Non ho mai pensato al suicidio prima d’ora, ma se si scopre che ho fatto qualcosa, voglio che portiate tutte le mie armi fuori di casa, per sicurezza”, affermò Ingram, con una voce che sembrava più perplessa che disperata. Chiese di sottoporsi al poligrafo, in modo da poter “andare al fondo della questione”.
“Mi auguro che non farai patire a queste ragazze un processo”, disse Edwards. Forse lo sceriffo pensava anche alla reputazione del suo dipartimento, nonostante in quella fase così preliminare dell’indagine la possibilità di un processo appariva remota. Infatti, fino a quel momento, Edwards aveva confinato l’indagine a un procedimento amministrativo, come accade quando i cittadini si lamentano della guida irregolare di un agente. Un’indagine amministrativa può portare a un’udienza disciplinare, che a sua volta può portare a una sospensione o alla perdita del posto di lavoro. Il tutto poteva essere gestito in modo molto discreto.
Ingram accettò di buon grado di parlare con gli investigatori senza la presenza di un avvocato, e così alle nove del mattino McClanahan lo accompagnò nell’ufficio dei detective Joe Vukich e Brian Schoening, che si occupavano di reati sessuali. Entrambi conoscevano bene Ingram: i loro uffici si trovavano proprio l’uno di fronte all’altro. Brian Schoening era un veterano, dal colorito pallido e dai capelli color sabbia, un nonno dalla voce rauca e con un paio di occhi grigi che non si sorprendevano facilmente. Ingram era l’ultima persona dentro al dipartimento che Schoening avrebbe mai sospettato capace di abusi sessuali, ma aveva visto abbastanza perversioni della natura umana da sapere che i volti gentili possono nascondere desideri spaventosi. Joe Vukich aveva conosciuto Ingram nel 1976, prima ancora di entrare in polizia; da allora avevano lavorato nello stesso distretto e Ingram aveva spesso invitato a casa sua quella recluta col viso da giovincello per un barbecue o una partita a carte. Per quanto ne sapeva Vukich, Ingram era un tranquillo e rispettabile padre di famiglia, e un tipico marito americano. Ingram era più alto in grado di entrambi gli investigatori nel dipartimento, quindi, fin dall’inizio, l’interrogatorio fu imbarazzato e spiacevole per tutti, compreso il sospettato.
Dopo alcune ore di domande, Vukich accese un registratore per raccogliere la dichiarazione ufficiale di Ingram: “Temo che le cose di cui sono accusato si siano verificate, che io le abbia molestate e probabilmente l’abbia fatto per un lungo periodo di tempo. L’ho rimosso”.
Vukich chiese a Ingram perché stesse confessando se non riusciva a ricordare le molestie e lui rispose: “Be’, prima di tutto: le mie figlie mi conoscono. Non mentirebbero su una cosa del genere. E poi ci sono altre prove”.
“E quali sarebbero, secondo te, queste prove?”, chiese uno dei detective.
“Il modo in cui si sono comportate almeno negli ultimi due anni e il fatto che non sono stato in grado di essere affettuoso con loro, anche se avrei voluto”, spiegò Ingram. “Ho difficoltà ad abbracciarle o a dire che voglio loro bene, e so che questo non è naturale”.
“Oltre ad avere difficoltà a stare vicino a loro, ricordi qualcosa di natura fisica che puoi aver fatto che potrebbe essere stato un abuso, come per esempio colpirle?”.
“Uhm… Non ricordo di aver colpito le ragazze”, rispose Ingram. “Non perdo le staffe molto spesso, ma a volte mi capita, oppure… oppure qualche volta possono pensare che io stia litigando invece sto solo conversando con loro. Possono aver considerato questo come un abuso”.
“Se ti chiedessi – e questa è una domanda a cui rispondere soltanto sì o no – se hai mai toccato Julie in modo inappropriato dal punto di vista sessuale, cosa risponderesti?”.
“Dovrei dire di sì”.
“Ed Ericka?”.
“Di nuovo, dovrei dire di sì”.
“Secondo te, che età aveva Ericka quando sono iniziate queste cose tra te e lei?”. “Non lo ricordo, ma so che l’età di cinque anni è venuta fuori in un paio di conversazioni”. Ingram aveva sentito parlare per la prima volta delle accuse la settimana precedente.
’’Cosa ricordi?’’, lo incalzarono i detective.
“Non ricordo nulla”.
Durante un’indagine di polizia, non è insolito che un sospettato dica di non ricordare di aver commesso un reato, soprattutto se si tratta di un reato a sfondo sessuale. Spesso la spiegazione riguarda l’uso di alcol o droghe, ma la memoria difettosa può anche essere uno stratagemma del sospettato per comprendere meglio le accuse e per capire le eventuali prove in possesso della polizia. Secondo l’esperienza di Schoening e Vukich, un sospettato che affermava di non ricordare nulla stava evitando la verità o si trovava sulla soglia di una confessione; quindi a quel punto la colpevolezza era il presupposto tacito che definiva l’interrogatorio. Ingram non stava dicendo: “Non sono stato io”; bensì, che non riusciva a immaginarsi commettere il reato.
Vukich spense il registratore, mentre lui e Schoening cercavano di convincere Ingram ad accettare di essere colpevole. Durante i venti minuti successivi, gli dissero che le sue figlie erano distrutte dai suoi abusi e gli riferirono alcuni dei dettagli che le ragazze avevano incluso nelle loro dichiarazioni. Ingram continuò a restare sospeso tra la sua dichiarazione riguardo alle figlie, che non avrebbero mai potuto mentire, e quella secondo cui lui non era in grado di ricordare l’abuso. In seguito, avrebbe affermato che Vukich gli aveva assicurato che i ricordi sarebbero riaffiorati se avesse confessato (anche se non c’è modo di sapere se questa affermazione sia vera). Secondo gli appunti presi da Schoening durante l’interrogatorio, Ingram iniziò a pregare in modo febbrile. Quando gli investigatori riaccesero il registratore, Schoening annotò che Ingram fissava il muro stringendo le mani, era in “una specie di trance”. Ingram iniziò a descrivere una scena: era entrato nella camera da letto della figlia maggiore e si era tolto l’accappatoio. Poi, disse: “Le avrei sfilato le mutande da sotto la camicia da notte”.
“Ok, hai detto: ‘Avrei’”, disse uno dei detective. “Intendi dire che l’avresti fatto o che lo hai fatto?”.
“L’ho fatto”, rispose Ingram.
“Dopo averle sfilato la biancheria intima, dove l’hai toccata?”.
“L’ho toccata sui seni e l’ho toccata nella vagina…”.
“Cosa le hai detto quando si è svegliata?”.
“Le avrei detto di stare zitta e di non dire niente a nessuno, e l’avrei minacciata dicendole che l’avrei uccisa se ne avesse parlato con qualcuno”, rispose Ingram.
“Ok, dici ‘avrei’. Lo avresti fatto o l’hai fatto?”.
“Uh, l’ho fatto…”.
“E dove sei andato quando hai lasciato la sua stanza?”.
“Sarei tornato a letto con mia moglie”.
Al termine dell’interrogatorio, molte ore più tardi, Paul Ingram aveva confessato di aver fatto sesso con entrambe le figlie in numerose occasioni, a partire da quando Ericka aveva cinque anni. Aveva anche raccontato di aver ingravidato la figlia minore, Julie, e di averla portata ad abortire nella vicina città di Shelton quando di anni ne aveva quindici. Tutte quelle dichiarazioni erano in linea con le accuse formulate dalle figlie, anche se le confessioni di Ingram erano ancora paurosamente scandite da frasi con i tempi al condizionale. Brian Schoening, che è un uomo affabile ed emotivo nonostante il suo aspetto da duro, raccontò in seguito di essere rimasto profondamente colpito dal distacco di Ingram nel descrivere l’abuso sessuale delle proprie figlie. Non aveva mai assistito a una così apparente mancanza di rimorso da parte dell’autore di un reato, e la cosa gli risultava ancora più sconvolgente perché Ingram indossava la sua stessa uniforme. Tuttavia, non c’era nulla di insolito nel fatto che un leader di una comunità venisse colto in un atto deprecabile. Se il caso si fosse concluso quello stesso lunedì, con la confessione esitante di Ingram, avrebbe suscitato al massimo un breve scalpore. Nel corso ordinario delle cose, probabilmente gli sarebbe stata risparmiata la pena detentiva e assegnata una consulenza psicologica. Il suo caso sarebbe stato dimenticato in fretta. Ma nessuno allora si rese conto di dove avrebbe portato il buco nella memoria di Ingram.
Alle quattro e mezza di quel pomeriggio, Ingram indossò la tuta arancione della prigione della Thurston County e fu messo in una cella di isolamento, sottoposta a sorveglianza continua per scongiurare il pericolo di suicidio. Il detective Schoening e lo sceriffo Edwards si recarono quindi a casa Ingram, a East Olympia, per comunicare la notizia a sua moglie Sandy.
Intervista a Gabriele Lavia