La Natività di Mathias Stomer(1649 ca), olio su tela, 224x 294,5cm si trova nella chiesa dei Cappuccini a Palermo 

Augurarci buon Natale è l'unica speranza per non soccombere alla violenza

Sergio Belardinelli

Un tempo di riscatto per chiunque appartenga alla famiglia umana. A maggior ragione oggi che sentiamo il rumore di due guerre alle nostre porte. Guardare ai bambini e alla loro fragilità per ricordarci dei i nostri doveri

Da più di un mese sui canali televisivi è tutto uno scorrere di film sul Natale. Della pubblicità poi non parliamo. La neve, i buoni sentimenti, i regali: che cosa c’è di natalizio in tutto questo? Astrazioni, niente altro che astrazioni. E’ come se inseguissimo uno spirito, quello del Natale, divenuto semplicemente inafferrabile. Se va bene, laicizzati come siamo, dovremmo festeggiare il solstizio d’inverno, ma siccome avvertiamo che sarebbe troppo poco per giustificare il gran chiasso che facciamo ovunque, preferiamo per una volta assecondare la coltre religiosa che ricopre questo tempo particolare. Un tempo “forte” direbbe la liturgia della Chiesa, un tempo che non va confuso con quello “ordinario”; un’occasione per guardare a noi stessi e al mondo, comprese le nostre insopportabili brutture, con realistico stupore, sentendoci amati per davvero nonostante tutto. Un tempo di riscatto, dunque, per chiunque appartenga alla famiglia umana, senza distinzione di razza, sesso o censo. A maggior ragione oggi che sentiamo il rumore di due guerre alle nostre porte.

   
Qualcuno si domanda in effetti che cosa c’entri Gesù bambino con la sofferenza dei bambini ucraini, ebrei, palestinesi e di tutti quelli che muoiono in tante altre parti del mondo. Ma forse è il caso di ribaltare la domanda: che cosa sarebbe questa sofferenza se non avessimo nemmeno la speranza di quel bambino? Un assoluto non senso, uno spietato trionfo della morte. Insieme a quel bambino, invece, sentiamo forse la sofferenza ancora più lancinante, ma riusciamo a non essere disperati. Ci sentiamo meno soli, riscattati, come dicevo, e magari anche più solleciti verso chi ha bisogno d’aiuto. Un po’ come in quel formidabile film di Nagisa Oshima intitolato “Marry Christmas Mr. Lawrence” (titolo della versione italiana. “Furyo”) con David Bowie nei panni del protagonista, è proprio in guerra, addirittura nell’angoscia di chi è stato condannato a morte, che più si avverte la potenza sovrumana che si sprigiona nel Natale. Augurarci buon Natale è l’unica speranza che abbiamo per non soccombere di fronte alla violenza che circonda le nostre povere vite, della quale siamo vittime e responsabili. Ma tant’è.

   
Oggi come ieri l’idea di un Dio che si fa uomo sembra inconcepibile, addirittura scandalosa. Forse non abbiamo più neanche l’armamentario concettuale per comprenderla. Eppure dovremmo guardare proprio ai bambini, alla loro sofferenza, certo, ma soprattutto alla loro semplice presenza, alla loro fragilità, per renderla in qualche modo plausibile. Se riuscissimo a guardare la loro attitudine a stare sempre dentro la realtà, a meravigliarsene semplicemente, senza gli esorcismi di vario tipo a cui facciamo ricorso noi adulti, riusciremmo forse a guardare il mondo con altri occhi. La loro fragilità richiamerebbe immediatamente i nostri doveri, i doveri che abbiamo nei confronti di tutti gli altri. Se ci pensiamo bene, sono loro il Natale, sono loro, ognuno di loro, il bambino che nasce per noi di cui parla Isaia. Sciagurata dunque la terra dove non nascono più bambini. Sarà condannata alla decrepitezza.

 

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