Nahui Olin - foto Wikipedia

Vita libera di Nahui Olin

Occhi di strega, foto di nudo e un amore che infiammò il Messico

Francesca d'Aloja

Lei fece del suo corpo un culto, lui la ribattezzò nell’antica lingua azteca. Ai primi del ’900, il Dr. Atl era il pittore che illuminava la sua musa di una luce ultraterrena. Storia di una rivoluzione erotica

Tempo fa una cara amica, conoscendo i miei gusti, mi ha inviato il seguente messaggio: “La conosci…?”: e nella fotografia allegata, un bellissimo volto di donna su cui spiccavano, malgrado l’immagine fosse in bianco e nero, immensi occhi che capivo essere verdi. Si trattava indubitabilmente di una foto d’epoca, seppure l’inquadratura, il taglio di capelli, l’espressione imbronciata, possedevano qualcosa di incredibilmente attuale. Non avevo mai visto quella donna, tantomeno conoscevo il suo nome, così strano, così esotico. Nahui Olin si chiamava, e tanto è bastato ad accendere la mia curiosità. 

Le scarse informazioni fornite dalla pagina Wikipedia a lei dedicata non rivelavano granché: “Carmen Mondragón, conosciuta come Nahui Olin (Tacubaya, 8 luglio 1893 – Città del Messico, 23 gennaio 1978), è stata una pittrice, poetessa e modella messicana.” Una nota finale mi era parsa però degna di approfondimento: “Più che alle opere pittoriche e letterarie, il suo nome è rimasto legato alle famose foto di nudo, estremamente audaci per l’epoca, scattatele dai fotografi Edward Weston e Antonio Garduño”. 

Quelle4 foto, quel corpo e soprattutto quegli occhi, che fecero perdere la testa a fotografi, pittori e poeti, mi avrebbero trascinata in una ricerca appassionante, resa possibile dal viaggio in Messico che mi accingevo a intraprendere e del quale la mia amica era all’oscuro (nulla arriva per caso…).

Eccomi dunque nell’immensa, caotica Città del Messico, prima tappa di un lungo viaggio foriero di scoperte ed emozioni. Dieci giorni nella capitale, gran parte dei quali vissuti sulle tracce di Nahui Olin, la musa messicana. 

Approfitto delle infinite ore di volo per leggere il materiale raccolto su siti e libri messicani trovati online, ma la fortuna di poter fare dei sopralluoghi mi fa concentrare sui luoghi menzionati nella sua biografia con l’intento di localizzarli sulla mappa della città, e di nuovo è una fotografia a catturarmi: seduto sul tetto di un palazzo antico, le gambe penzolanti nel vuoto, un uomo non più giovanissimo, calvo e barbuto, osserva l’orizzonte. Ha l’aria rilassata e al tempo stesso vigile, le mani poggiate saldamente sul parapetto sembrano rivendicare il possesso dell’edificio che l’immagine suggerisce abbandonato e fatiscente. Sotto, una didascalia in spagnolo: “El revolucionario que quiso salvar el convento de la Merced” (Il rivoluzionario che volle salvare il convento de la Merced). Scopro che quell’uomo è una figura fondamentale nella vita di Nahui Olin: a lui deve il suo strano nome, che nell’antica lingua Nahuatl sta a significare il “Quarto movimento rinnovatore dei cicli del cosmo”, ovvero il moto perpetuo. Dal momento in cui è stata “battezzata”, Carmen Mondragón non utilizzerà più il suo vero nome. Seguendo l’esempio del suo mentore e amante Gerardo Murillo, l’uomo seduto sul tetto, da tempo autonominatosi Dr. Atl (acqua in nahuatl). Carmen incarnerà l’essenza del suo nuovo nome: Nahui Olin, l’energia che irradia luce e la diffonde attorno a sé. La definizione di revolucionario attribuita a Gerardo Murillo alias Dr. Atl è riduttiva, i campi nei quali ha spaziato sono talmente tanti che vale la pena elencarli: è stato disegnatore, alpinista, pittore, critico d’arte, romanziere, scienziato, poeta, anarchico, alchimista, astrologo, filosofo, giornalista, viaggiatore, eremita, vulcanologo, inventore, editore, impresario, insegnante, deputato. Attività e discipline esercitate tutt’altro che superficialmente. Per raccontarne le gesta non basterebbe un libro intero, ma quel che so di lui, e che proverò a riportare, illumina la figura dimenticata di Nahui Olin di una luce segreta e ultraterrena, come quella emanata dai suoi immensi e celebrati occhi verdi.

Quando, nel 1920, si incontrano a un ricevimento, lei ha ventisette anni ed è la moglie infelice del pittore Manuel Rodriguez Lozano, uomo bellissimo attratto dall’arte e dagli uomini. Gerardo Murillo ne ha venti di più, è un uomo con un trascorso esistenziale a dir poco leggendario, iniziato nelle aule dell’Accademia di Belle Arti in cui eccelle come insegnante di pittura di giovani artisti destinati a segnare la storia del suo paese, quali Diego Rivera (che lo definirà “il più pittoresco di tutti i pittori”), José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros e proseguito come figura politica di primo piano nei campi di battaglia della Rivoluzione messicana da cui è reduce sconfitto. Il futuro gli riserva esperienze altrettanto eccezionali ma intanto fissiamo il momento del loro incontro, riportando quanto scritto dallo stesso Dr. Atl: “Nel viavai dei saloni affollati si è spalancato davanti a me un abisso verde come il mare, gli occhi di una donna. Irradiavano intelligenza, fulgori di altri mondi. Sono precipitato in quell’abisso all’istante, come un uomo che scivola da un’alta scogliera e sprofonda nell’oceano”. L’uomo maturo, colto, l’anarchico rivoluzionario, soccombe davanti alla “mujer de cuerpo perfecto y alma perversa”. Sono fatti l’uno per l’altra e si riconoscono all’istante. Entrambi spiriti liberi e indipendenti, devoti alla Bellezza, alieni alle regole di una società ottusamente retrograda, condizionati dalle rispettive esperienze in Europa. 

Carmen ha un cognome importante: il padre è il Generale Manuel Mondragón, artigliere, progettista di un cannone a retrocarica e del primo fucile semiautomatico della storia, il famoso fucile Mondragón, talmente preciso e leggero da attirare l’interesse dell’industria bellica europea, ragione per cui si trasferisce a Parigi insieme alla famiglia. Carmen, la quinta di sette figli, è una bambina precoce dotata di un’intelligenza fuori dal comune, parla e scrive in francese, suona il pianoforte, monta a cavallo ed è bellissima. Il padre stravede per lei, sul loro rapporto esclusivo si sono ipotizzate ambiguità mai suffragate da prove certe, tuttavia è innegabile che sin dalla più tenera età la sua personalità ribelle e anticonformista e la consapevolezza della potenza (potenza, sì) del proprio corpo siano elementi preponderanti nei rapporti con gli uomini della sua vita. E’ una provocatrice nata (da piccola cavalcava nuda nella tenuta di famiglia per scandalizzare i parenti), le piace farsi notare. Comincia a scrivere all’età di dieci anni, impressionante la maturità dei pensieri e l’impellente desiderio di indipendenza che contraddistinguerà la sua esistenza: “Noi donne siamo destinate a essere vendute come schiave a un marito. Nonostante la mia età, protesto di essere sotto la tutela dei miei genitori”, e ancora: “Il mio destino è la morte perché il mio spirito è troppo vasto, troppo grande per essere compreso”, oppure: “Io so che il piacere deriva dal desiderio di far emergere un pezzetto del nostro infinito attraverso la pelle”. I suoi scritti infantili saranno raccolti in un libro dal titolo A’ dix ans sur mon pupitre. La reiterazione del pronome “Io” rivela uno spiccato narcisismo. Dopo gli anni trascorsi in Francia, al ritorno in patria il generale Mondragón viene travolto, nel 1913, dalla Rivoluzione di Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Nominato ministro della Guerra, insieme a Victoriano Huerta parteciperà al colpo di stato ai danni del presidente Madero, evento che verrà ricordato come “la decena tragica”, dieci giorni di furiosi combattimenti e migliaia di morti. Mondragón verrà spedito in esilio in Belgio e lì rimarrà fino alla sua morte. Carmen, già sposata, raggiunge il padre in Europa, si stabilisce a Parigi, e insieme al marito frequenta la comunità di artisti. Conosce Picasso, Diego Rivera, Matisse e comincia, anche lei, a dipingere. 

Il Dr. Atl incontra Carmen in uno dei periodi più difficili della sua vita. Fino a pochi mesi prima si trascinava per le strade dei quartieri più poveri della città mendicando dopo aver perso tutto ciò che possedeva in nome della Rivoluzione. Il sostegno al presidente Carranza, per il quale aveva combattuto esponendosi come intermediario con Emiliano Zapata, si era concluso con l’arresto e la conseguente detenzione in carcere da cui era evaso spogliato da tutti i suoi beni. Nessun altro artista ha avuto un ruolo altrettanto attivo nel decennio (1910-1920) che sconvolse le sorti del Messico, anni di ripetuti rovesciamenti di potere, tradimenti, omicidi, colpi di stato, alleanze, guerriglia. Ma l’indole inquieta di Gerardo Murillo, rivoluzionaria in ogni aspetto della sua esistenza, non trova pace nella sola espressione artistica nella quale eccelle (è stato il più grande paesaggista della storia del suo paese). Sin dai tempi dell’Accademia, quando divenne il catalizzatore del movimento muralista spronando i giovani artisti contro l’estetismo modernista latino-americano a favore di un’identità nazionale, tanto da guadagnarsi il titolo di “Agitatore”, si è sempre distinto come instancabile oppositore di qualcosa, spesso in contraddizione con se stesso. Il suo talento, riconosciuto, non gli è mai bastato. 

A ventun anni era sbarcato in Europa premiato da una borsa di studio conferitagli dal presidente Diaz per meriti artistici. Trascorre due anni a Roma, dove studia filosofia e diritto penale all’università, poi raggiunge Parigi a piedi (la prima delle sue leggendarie camminate) per seguire i corsi sull’arte di Henri Bergson. Intanto continua a dipingere e disegnare suscitando l’interesse della comunità artistica parigina che lo invita a partecipare all’Expo del 1900 con un autoritratto. In quel frangente incontra il poeta argentino Leopoldo Lugones che gli chiede l’origine di quello strano nome, Atl. “Significa acqua in lingua nahuatl”. Il pittore racconta che gli è venuto in mente durante la tempesta che aveva colpito la nave sulla quale viaggiava: “Atl… troppo breve… Aggiungi un titolo”. “Non posseggo altro titolo oltre a quello di laureato”. risponde. “Bene,” conclude quello, “sarai il Dr. Atl allora”. Negli anni a venire, per porre fine alla stessa domanda, scriverà: “Sono io quello che ha abbandonato la sua casa per dissidi familiari, non quell’altro (Gerardo Murillo); sono io quello che ha preso parte alla guerra civile in Italia, Grecia e Parigi, non l’altro; io sono quello che fece parte dei primi Battaglioni Rossi del Messico, prima di quelli russi, e non l’altro; sono stato io ad avviare la rivoluzione artistica di questo paese, e non l’altro; quello che è finito davanti al plotone d’esecuzione nel giugno del 1914 fu il Dr. Atl e non quell’illustre sconosciuto. Il nome che porto ora è una diretta emanazione delle circostanze, del mio modo di vivere e del mio spirito indipendente. Sono il Dr. Atl perché sono il Dr. Atl, e tutto il bene e il male che ho fatto, l’ho fatto io, Dr. Atl, autobattezzato alla maniera pagana con l’acqua meravigliosa della mia gioia di vivere”.

Il colpo di fulmine che travolge el revolucionario cancella i propositi di solitudine imposti dal nuovo corso della sua vita, agevolato dall’incontro fortuito con un ex attendente, un tempo ai suoi ordini come membro dei Battaglioni Rossi e ora custode dell’antico convento della Merced, che incappando nel malconcio artista lo aveva riconosciuto e si era offerto di ospitarlo in una delle decine di stanze disabitate dell’edificio. Liquidata la militanza politica, il pittore aveva accettato l’invito e si era ripromesso di dedicare il tempo futuro all’esclusivo esercizio della creazione artistica, scegliendo di vivere in un luogo solitario e abbandonato, come solo e abbandonato sentiva di essere. Cancellati anche i cattivi ricordi che quel nome, Mondragón, a causa del quale aveva dovuto abbandonare l’Europa per vendicare l’oltraggio del colpo di stato promosso dal Generale, avrebbe dovuto suscitargli… Nulla più conta, né per lui, tantomeno per lei, che nel giro di pochi giorni lascia il marito e si trasferisce in convento per vivere la più passionale e scandalosa storia d’amore del Messico post rivoluzionario

E’ oggi alla porta di quel convento, quasi invisibile nel marasma del mercato sottostante, che mi ritrovo a bussare forsennatamente senza ottenere risposta. Ne percorro il perimetro, delimitato da palanche di legno marcio e catenacci arrugginiti e cerco un varco per entrare, una fessura da cui penetrare, se non altro con lo sguardo, per intravedere almeno il chiostro dove i due amanti nel tempo felice del loro amore volteggiavano nudi e in quello più oscuro si accapigliavano (lei inseguiva lui scagliando insulti e oggetti contundenti accecata dalla gelosia), ma niente. “Está abandonado!” sbraita una vecchia accucciata in un portone decrepito. Non mi arrendo, cerco informazioni al mercato, lo stesso descritto dal Dr. Atl nella meravigliosa autobiografia Gente profanas en el convento (grande scrittore, Atl…) in cui racconta i suoi dodici anni trascorsi in quel luogo metafisico, divenuto, grazie a lui e a Nahui Olin (che lì visse quattro anni), una sorta di cenacolo per artisti, bohémiens, reietti e illuminati. Attraverso un assurdo settore del mercato, disseminato di banchetti per l’applicazione di unghie finte, riconoscibili da piramidi di mani di plastica dalle estremità multicolori, un bazar monotematico che dubito esistesse ai tempi di Atl, anche se il frastuono da lui evocato è lo stesso che ora mi avvolge e che farà da sottofondo a ognuno dei miei ventitré giorni messicani. Nessuno sa niente: il convento de la Merced esiste ma non esiste per chi vive e lavora nel quartiere. E’ questa la prima delle azioni mancate che mi riserva la giornata. Sarà una caccia al tesoro lastricata di passi falsi, al termine della quale ipotizzerò una morale segreta, un significato recondito, o, per rifarsi alla filosofia dei nostri due, cosmico. Vado al Colegio de San Ildefonso, fondato dai gesuiti nel 1588, nel tempo divenuto sede di molte istituzioni. Un posto magnifico le cui pareti sono illustrate dalle opere dei più grandi muralisti. Sono qui per vedere il primo murale realizzato da Diego Rivera intitolato La creación, nel quale spicca, all’interno dell’anfiteatro Bolivar, la gigantesca figura di Nahui Olin, incarnazione della poesia erotica. Niente da fare: la sola cosa che non mi è permesso vedere è proprio quel dipinto: stanno facendo le prove per un concerto e la sala è chiusa. Supplico il guardiano, millanto di essere venuta apposta dall’Italia per vedere l’encausto e alla fine quello mi concede due minuti di osservazione dall’alto del loggione. Da lassù la bella Nahui è piccolissima… Insoddisfatta, ripiego sul Museo Nacional de Arte, sfidando la calca apocalittica del centro storico in fermento per gli imminenti festeggiamenti del Día de los muertos (il culto dei morti non ha nulla di funereo qui: suonano cantano e ballano in un tripudio di colori, in Messico ogni cosa è colorata). Al museo c’è una sala dedicata alle opere del Dr. Atl, potrò finalmente vedere i suoi meravigliosi paesaggi e soprattutto i vulcani, gli elementi naturali speculari alla sua natura umana, tema centrale dei suoi studi, delle sue ossessioni e fulcro di tutta la sua produzione pittorica. Be’, non li vedrò altro che sullo schermo del mio cellulare affidato a un’impiegata del museo dopo che mi era stato comunicato che in quei giorni la sala era stata chiusa per lavori: “Può almeno scattare delle foto con il mio telefono?” l’avevo pregata quasi con le lacrime agli occhi (non sapevo se ridere o piangere). Sorte ancor più assurda mi riserva il Museo Kaluz, detentore di numerosi dipinti del Dr. Atl (scoprirò più avanti che gran parte delle sue opere, decretate monumenti storici dal governo, appartengono a collezioni private), unico museo della città a non rispettare il classico turno di chiusura del lunedì. Il Kaluz infatti chiude il mercoledì, e indovinate un po’ in quale giorno mi sono presentata al suo ingresso? E ancora, la ricerca spasmodica dei suoi libri (introvabili) in decine di librerie antiquarie, e poi la falsa notizia secondo la quale nello studio-museo di Diego Rivera e Frida Kahlo si svolgeva in quei giorni una mostra su Nahui Olin: ebbene, non si trattava di una mostra bensì di una ofrenda, ossia quei piccoli altari che i messicani allestiscono nelle case o per le strade in onore dei propri morti. Nahui era lì ricordata, in una piccola nicchia, con fiori e fotografie. 

Frida Kahlo considerava Nahui Olin “una puta” come gran parte della società dell’epoca. Il commento della pittrice era dettato dalla gelosia, ai benpensanti bastò lo scandalo suscitato da una mostra fotografica di nudi integrali realizzati dal fotografo Antonio Garduño, che la stessa Nahui Olin promosse nella sua casa: “Mi sono lasciata ritrarre nuda perché avevo un corpo così bello che non avrei mai potuto negare all’umanità il diritto di contemplare quest’opera”. Il culto del proprio corpo, che utilizza deliberatamente come forma d’arte ed espressione di libertà e indipendenza la apparenta a quella schiera di donne formidabili che contribuirono a rovesciare la condizione femminile messicana dei primi del novecento: Lupe Marín (prima moglie di Diego Rivera), Tina Modotti, Antonieta Rivas Mercado (vita intensa, breve e memorabile quanto la fine che si diede, uccidendosi con un colpo di pistola al cuore all’interno della cattedrale di Notre Dame), Palma Guillém (la prima ambasciatrice del Messico) e molte altre. Tina Modotti ed Edward Weston frequentavano assiduamente la coppia Nahui Olin/Dr. Atl. Weston fu l’autore di quel primo piano straordinario che ha dato inizio al mio viaggio, “Il più bel ritratto che abbia mai fatto” disse, per poi aggiungere: “Bisognerebbe essere di pietra per non innamorarsi di lei”. “La più bella donna del Messico” non vuole tuttavia essere ricordata solo per i suoi attributi fisici, nei suoi scritti emerge la rivendicazione della propria intelligenza: “Ammirano la bellezza, l’enigma dei miei occhi, non sanno cogliere un cervello in azione costante, dotato di migliaia di fibre microscopiche, sensibile al contatto di ogni atomo vivente”. Fu questo pensiero che deve aver mosso la decisione di fuggire da Hollywood dove era stata invitata da Rex Ingram, il regista che aveva lanciato Rodolfo Valentino. Ma il cinema non le interessa, troppo limitato. Nahui scrive, dipinge (nei suoi quadri uomini e donne hanno tutti i suoi occhi verdi), compone musica. Quando capisce che gli Studios vogliono fare di lei un sex symbol molla tutto e torna in Messico: “Hollywood es una mierda!”. Lei sola può decidere come esporre il proprio corpo. Dopo quattro anni la convivenza esplosiva di Nahui e Atl si esaurisce per via della possessività e della gelosia della donna. Una notte Atl si sveglia con una sensazione di gelo sul petto, quando apre gli occhi vede una mano che impugna una pistola. E’ la mano di Nahui, pronta a sparargli al cuore. Non ci riuscirà, l’ex combattente sa come difendersi. Fine della storia.

Dr. Atl non si sposerà mai, non avrà figli per scelta deliberata: “Nella famiglia sono concentrati tutti i pregiudizi e le ambizioni del mondo”. Preferirà la convivenza con i vulcani, dai quali è sempre più attratto. Trascorre tre giorni sul cratere del Popocatépetl portandosi tela e pennelli: “Tutto mi appariva bello, anche il dolore”. Pubblica un libro bellissimo, Las sinfonías del Popocatépetl, corredato dai suoi disegni. Si dedicherà allo studio dei vulcani fino alla fine della sua lunga vita nonostante l’amputazione della gamba destra, conseguenza di un azzardato avvicinamento a un’eruzione. I suoi autoritratti dipinti in mezzo alla natura, con sfondo di lava e lapilli incandescenti, lo fanno apparire come una figura biblica dalla lunghissima barba bianca e gli occhi fiammeggianti. La devozione per i vulcani lo premia con un dono imprevedibile: trasferitosi nella regione desertica di Michoacán dove vive in una capanna costruita con le sue mani, assiste alla prodigiosa nascita di un nuovo vulcano, emerso dalla terra a poche centinaia di metri dalla sua casa. E’ il Paricutín, il vulcano più giovane del mondo, unico a vantare un certificato di nascita: 20 febbraio 1943. “La vita mi ha regalato due vulcani, il Paricutín e Nahui”.

Anche io, dopo tanti fallimenti nella mia ricerca, ho ricevuto un dono inatteso. Durante una cena, racconto ai commensali la mia frustrazione per non essere riuscita a vedere i quadri di Atl. “Non preoccuparti” mi dice Claudia, conosciuta quella sera, “ci penso io”, e la vedo digitare messaggi sul cellulare. “Domani, a mezzogiorno sei libera?”. Che dio la benedica. Non me ne renderò conto fino a quando suonerò al cancello blindato della villa immersa nel quartiere Pedregal (una sorta di Beverly Hills messicana) ma gli “amigos” dai quali mi manda sono fra i più grandi collezionisti d’arte che si possa immaginare, e la loro casa è altrettanto inimmaginabile. Mi accolgono con la rara gentilezza messicana e già all’ingresso della magione i miei occhi strabuzzano. Di fronte a me, su una vasta parete, si erge un gigantesco vulcano in eruzione. Un’esplosione di colori porpora, blu, nero, grigio, fumo, lapilli e cenere. Eccoli i famosi Atl colors (la segreta mistura di cera e pigmenti inventata da Atl) in tutto il loro splendore. Non è un pezzo unico, i miei ospiti ne posseggono altri due, altrettanto spettacolari. E poi disegni e un’infinità di opere di altri artisti disseminati in questa casa museo che mi toglie il fiato. Il tesoro che cercavo da tanti giorni l’ho trovato nascosto in un quartiere le cui strade portano i nomi della natura attribuiti proprio dal Dr. Atl: Calle Crater, Fuego, Aire, Lluvia, Lava, Agua…

Anche la vita di Nahui è lunga, ma non finisce in gloria. Della sua superba bellezza sono rimasti solo gli occhi. Vive sola, circondata dai gatti, alcuni vivi, altri impagliati. Durante il giorno si piazza davanti al museo de Bellas Artes, ferma i passanti, offre loro qualcosa che stringe nelle mani: sono le fotografie che la ritraggono giovane e nuda: “Son baratas…” sussurra, “costano poco…” ma la gente la evita, ha fama di “vieja bruja”, vecchia strega, di “loca”. Quando muore, nessuno la ricorderà. Sulla sua tomba, l’epitaffio da lei scritto: “Ero indipendente per non lasciarmi marcire senza rinnovarmi; oggi, indipendente, imputridita, mi rinnovo per vivere”.

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