Peter Cushing in una scena di La maschera di Frankenstein (The Curse of Frankenstein), film del 1957 diretto da Terence Fisher 

mezz'ora di paese irreale

Fenomenologia dell'ascoltatore di “Prima Pagina”: colto, informato, rigorosamente col ditino alzato

Andrea Minuz

La storica rassegna stampa di Radio 3 è un concentrato quotidiano di ceto medio riflessivo in purezza, quello scomparso dal Censis e che invece resiste, lotta, telefona ogni mattina

Insensibili al richiamo dei podcast, ascoltiamo ogni mattinaPrima Pagina”, la storica rassegna stampa di Radio 3. Niente jingle, stacchetti, musichette. Si entra a Radio 3 come in una camera iperbarica, col fruscìo della carta dei giornali in sottofondo, i silenzi, le pause riflessive. E’ la più liturgica delle rassegne stampa. Mentre “Stampa e Regime” era Massimo Bordin, qui il giornalista si fa da parte e si mette al servizio del format.

 

Ma il bello di “Prima Pagina” è il “filo diretto con gli ascoltatori”. Un concentrato quotidiano di ceto medio riflessivo in purezza, quello scomparso dal Censis e che invece resiste, lotta, telefona ogni mattina a Radio 3. E’ una mezzoretta pazzesca di paese irreale: ottimi studi, istruito, sensibile, colto, sovente indignato, sempre adombrato, puntiglioso, cattivissimo, pronto a riprendere il conduttore per la pronuncia di un viceministro finlandese senza portafoglio. C’è chi ha l’incubo ricorrente di rifare l’esame di Maturità, io ho quello di essere rapito, portato in uno scantinato e interrogato dagli ascoltatori di “Prima Pagina”.

 

L’ascoltatore di “Prima pagina” si sente erede della parte migliore del paese, quindi coscienza etico-civile, “unità di crisi” nelle emergenze democratiche, soprattutto correttore di compiti in classe. Non chiama per fare una domanda ma per “sollevare un tema”. E’ informato su tutto. Verifica le fonti. Entra nello specifico. Segnala i refusi. Se il giornalismo è il cane da guardia della democrazia, l’ascoltatore di “Prima Pagina” è il cane da guardia del giornalismo. C’è sempre un po’ di esitazione, di suspense, quasi un brivido di paura in quel “pronto?” del conduttore chiamato in trasmissione (si va a rotazione, ogni settimana uno nuovo, come in uno “Squid Game” dell’Ordine dei giornalisti).

 

Sa bene, il conduttore, che dietro a ogni domanda c’è uno studio matto e disperatissimo. Ma poi tutto si risolve nell’ovvio progressista, nella diffidenza banalotta per il capitalismo, “i privati”, il profitto, le destre, insomma in una prosecuzione dei temi del liceo con altri mezzi. La domanda è sempre incorniciata da una premessa. Poi lo svolgimento, con citazioni sempre a effetto, “del resto lo notava già Hanna Arendt”, “non è forse Calvino che ha detto”, “anche io con Gramsci penso che”, “persino Karl Jaspers ebbe a sottolineare”.

 

Siamo agli antipodi della comunicazione rabbiosa di Facebook, al lato opposto dell’impulsività di Twitter. Le domande di “Prima Pagina” sono fatte per restare. Dovrebbero essere conservate nella biblioteca dell’inedito di Franceschini. L’ascoltatore di “Prima pagina” avanza anche proposte, soluzioni, idee: la riapertura del processo per la Trattativa, una tassa per Amazon calcolata da lui, una pista ciclabile sotto casa, la chiusura di una base Nato, un tetto alla vincita del Superenalotto perché tutti quei soldi non sta bene. Si complimenta con lo stato per la cattura di Matteo Messina Denaro, ma alza il sopracciglio per la drammaturgia dell’arresto: il pulmino dei carabinieri era troppo grande, si è data enfasi eccessiva, ci voleva più sobrietà. Che siano professoresse in pensione, magistrati, statali, freelance, infermieri o ricercatori universitari, gli ascoltatori che chiamano a “Prima pagina” ce li immaginiamo sempre immersi nella penombra di grandi saloni con librerie in noce, l’enciclopedia in bella vista, il telefono fisso, i foglietti sparsi davanti, dove hanno scritto e rivisto la domanda che verrà letta con voce impostata.

     
Forse vivono tutti insieme, e ogni mattina si dividono i temi da affrontare. Bisognava ascoltarli, gli ascoltatori di “Prima pagina”, i giorni seguenti la vittoria di Giorgia Meloni. Amarezza, sconforto, paura, timore per i figli. Alcuni chiamavano leggendo con voce robotica passi della Costituzione. Un altro periodo in cui danno il meglio di loro è nei giorni del Festival di Sanremo, dunque tra poco. Se il conduttore cede al richiamo di gossip e canzonette, l’ascoltatore non perdona. C’è la guerra, ci sono le emissioni di gas serra, le diseguaglianze, i morti nel Mediterraneo e lei ci parla di Sanremo? Il conduttore allora si scusa. Non sa cosa gli abbia preso. Non ricapiterà più. Ma forse l’ha fatto apposta per essere depennato dall’agenda di Radio 3. Terrorizzato all’idea di un’altra settimana di sveglia alle quattro, per andare a farsi interrogare senza pietà dagli ascoltatori di “Prima Pagina”.

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