La recensione

I "75 fogli" di Proust, inedito? I consigli di Umberto Eco

Luigi Azzariti-Fumaroli

Arrivano in Italia i famigerati "fogli" di Marcel Proust dove lo scrittore sviluppa alcuni temi, immagini e situazioni ricorrenti: il bacio negato della mamma, i soggiorni al mare con le ragazze in fiore, la nonna, Venezia, gli aristocratici.

Marcel Proust, I settantacinque fogli, edizione a cura di Nathalie Mauriac Dyer, traduzione di Anna Isabella Squarzina con la collaborazione e l’introduzione di Daria Galateria, La Nave di Teseo, Milano 2022, pp. 464, euro 20.

«Settantacinque fogli, di formato molto grande», nei quali compaiono sei episodi, poi ripresi ne Alla ricerca del tempo perduto. Con malcelato sensazionalismo se ne parla da oltre un anno, da quando Gallimard li pubblicò, nel marzo 2021, riscattando dalla sua ammiccante vaghezza un cenno espresso da Bernard de Fallois, nel 1954, in margine al Contro Saint-Beuve da lui curato. La ragione di tanto clamore – l’attestava già la manchette che circondava l’edizione francese ed ora lo ripete quella che accompagna la versione italiana pubblicata da La Nave di Teseo – si vorrebbe attribuire al carattere “inedito” degli scritti presentati. In tal modo li si lascerebbe partecipare di quella “nouveauté” che rappresenta l’etichetta dei beni di consumo, di cui l’industria culturale si è appropriata. «Il nuovo, un punto cieco della coscienza, atteso, per così dire, ad occhi chiusi, sembra la formula» – osservava Adorno – «che consente di estrarre un valore di stimolo contro il fatto che non c’è più nulla di nuovo».

 

Questa smania del sensazionale, che già di per sé può apparire discutibile se rivolta ad un’opera dell’ingegno, si rivela deprecabile, allorché coinvolge la nozione di “inedito” proustiano. Secondo la logica e la teodicea del romanzo infatti tutti gli scritti anteriori alla Ricerca, e questa stessa, sono da considerarsi altrettanti inediti o comunque testi rifiutati dal progetto poetico del loro autore. Benché fin dalla metà degli anni Quaranta Gianfranco Contini avesse sottolineato l’importanza delle varianti e degli scartafacci che costituivano l’“infanzia” del Romanzo, riconoscendovi «una partita tratta sull’infinito, un’interrogazione insoddisfatta, ma che continua a chiedere la sua integrazione alla distesa dei tempi», che cosa potesse essere annoverato sotto il nome di “inediti” egli stesso avvertiva come fosse di difficile determinazione, occorrendo prima sapere che cosa fosse la Ricerca, tanto più che i brouillons, le “minute”, rendono oscillante ed aleatoria qualsiasi sua definizione.

 

Certamente – come i settantacinque fogli rendono evidente – Proust sviluppa alcuni temi, immagini e situazioni ricorrenti: il bacio negato della mamma, i soggiorni al mare con le ragazze in fiore, la nonna, Venezia, gli aristocratici. Nondimeno la diegesi che si sviluppa nell’intervallo compreso fra l’inizio e la fine del romanzo (scritti quasi in contemporanea), si pone come «una nebulosa che si differenzia». Il che comporta che di fronte all’interrogativo su come sia possibile tracciare, nell’opera postuma di Proust, un discrimine netto fra inedito in genere e inedito della Ricerca, si dovrebbe chiamare in causa l’indecidibile, «come momento che non può essere attraversato o oltrepassato, ma che permane indefinitamente non appena è stato interrotto». Gli inediti, lungi dal ratificare il testo del romanzo proustiano con argomenti genetici, conforterebbero pertanto l’idea ch’esso si ponga in un orizzonte di discorso assolutamente non saturabile.

 

In tutt’altra direzione punta invece lo sguardo dei curatori dei “settantacinque fogli”, volendovi ravvisare l’addensarsi dei motivi dell’opera successiva, poiché in essi subito confluirebbero «tutte le strade che nella Ricerca si incontrano a distanza di due, tremila pagine». Ne trarrebbero conforto tanto il lettore in cerca di una sorta di bignami che, senza troppo dispendio d’energie, lo possa mettere al corrente del “sugo della storia”, quanto gli scrupoli editoriali ai quali, con corrosiva ironia, Umberto Eco dava voce: «La Ricerca è senz’altro un’opera impegnativa, forse troppo lunga, ma facendone una serie di pocket si può vendere».

 

E tuttavia, quanto contraddistinguerebbe la poetica proustiana sarebbe in misura essenziale un immenso ed euforico senso di dilatazione, di cui la «complicazione» del lascito proustiano, la «coesistenza di parti asimmetriche e non comunicanti», sarebbe indice perspicuo – e non compendiabile. Così come non compendiabili sarebbero le rievocazioni improvvise, inattese, di attimi immersi nella «ignara fluidità dei giorni passati», che attraverso suoni, sapori, gesti analoghi si ridestano nella memoria. E, per qualche momento, placano il dolore, restituiscono «una speranza, un’innocente allegria», e insieme ammoniscono sulla necessità di dimenticare, perché non vi è modo di convivere troppo a lungo con il pensiero che il crepuscolo del passato si sia trasfigurato in un libro simile ad «un grande cimitero, dove sulla maggior parte delle tombe i nomi non si possono più leggere».

 

 

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