l'intervista

Milo Manara non fa più scandalo

Jacopo Strapparava

Nel 1997 una ninfa del più famoso disegnatore erotico italiano fu censurata al Festival di Trento. Oggi, 25 anni dopo, lui la ripropone "in tono minore": niente tette, niente culi. "Ma ormai, per il nudo, non ci si sdegna più"

Raccontano che Biagio Martinelli, maestro delle cerimonie pontificie, visitando i lavori per il Giudizio Universale, fosse rimasto scandalizzato: "Queste nudità non sono idonee alla Cappella Sistina, bensì più adatte a taverne o bagni pubblici!". Michelangelo, lì per lì, non rispose nulla. Ma non gliela fece passare liscia. Martinelli, che in vita fu notaio e presbitero, nel Giudizio Universale è raffigurato in un angolo in basso a destra, tra i dannati dell’Inferno, il capo corredato da un gran paio di orecchie d’asino e un serpente che gli morde il pene.

  

Ecco. Viene da chiedersi se i responsabili del Film Festival di Trento conoscessero questo aneddoto – e, più in generale, se avessero capito con chi avevano a che fare – quando, nell’aprile 1997, affidarono il manifesto della rassegna al fumettista Milo Manara. Il quale, già all’epoca notissimo per i suoi soggetti erotici, lasciò perdere piccozze e ramponi che fino a quel momento avevano campeggiato sui manifesti del Festival e, da par suo, optò per una ninfa dei boschi. Una fanciulla bellissima e misteriosa, ritratta di spalle, nell’atto di immergersi, sul far del tramonto, in un laghetto alpino. Manco a dirlo, era completamente nuda: d’altronde, come disse lui all’epoca, si è mai vista una ninfa con i blue-jeans?

 

Scoppiò un piccolo scandalo, tra gli appassionati di montagna. Ci furono fatwe, polemiche, battute, imbarazzi. Qualche giornalista fece dell’ironia sui "severi organizzatori" del "Filmfestival montanaro", "il cui immaginario visivo, da più di mezzo secolo, oscilla tra stelle alpine e vecchi scarponi". Il comitato direttivo della rassegna, dopo una lunga riunione, arrivò a un verdetto: "Il manifesto di Manara è bellissimo, ma non opportuno. Le nostre tradizioni si rivolgono solo al mondo della montagna, ai suoi eroi, alle loro imprese. Quel disegno suggeriva ben altri pensieri, non consoni all’immagine femminile che noi vogliamo tutelare". Risultato: ninfa bocciata. In fretta e furia si dovette trovare un manifesto alternativo.

 

La notizia è che quest’anno, cinque lustri dopo i fattacci di cui sopra, il Film Festival internazionale della Montagna, in programma a Trento dal 29 aprile all’8 maggio, ha deciso di tornare sui suoi passi affidando il manifesto 2022 proprio al fumettista veronese che un tempo censurò ("Il Festival ha deciso di tornare indietro per guardare avanti" ha detto Mauro Leveghi, presidente della rassegna. "È un omaggio a un grandissimo artista italiano e la chiusura di una pagina ancora aperta"). La notizia a questo punto clamorosa è che, nel manifesto 2022, la stessa ninfa che venticinque anni fa faceva bella mostra di sé, ora è casta e pudica: affiora appena dalla superficie del lago, celando le sue grazie agli sguardi indiscreti. Cos’è successo? Hanno fatto pace, dopo venticinque anni? Sono stati quelli del festival a mettere il bavaglio a Milo? O forse Milo, con l’età, è diventato più malleabile? Noi, che, in tutta questa vicenda, siamo sempre stati suoi tifosi, abbiamo pensato di telefonargli per chiederlo direttamente a lui.

 

Milo Manara, lei se le ricorda le polemiche del 1997?

"La cosa è molto semplice. Quando ho ricevuto quella commissione, ho pensato di dover celebrare la montagna secondo la mia visione. Fino a quel momento tutti i manifesti del Film Festival avevano sempre celebrato le scalate, la conquista delle vette, le cime come anfiteatro di guerra... A me invece interessa l’aspetto favolistico-leggendario. Io amo le montagne, ma ne sento il fascino stando in pianura. Le sfide, le scalate, le imprese non mi interessano. Mi piace l’idea che resti ancora qualcosa di inviolato. Così mi sono ricordato che, quando ero bambino, mia sorella maggiore mi leggeva le fiabe di Karl Felix Wolff, un antropologo tirolese che aveva girato le valli raccogliendo le leggende delle Dolomiti. Racconti affascinanti, tramandati da secoli. Le streghe. Le ondine, ninfe dei laghi. Laurino, il re dei nani che popolano le crode. Spina de Mul, il mostro mezzo mulo mezzo scheletro. Ora, dovendo il manifesto finire appeso per le pubbliche vie, mi è venuto naturale scegliere il personaggio più dolce. Non volevo certo spaventare i bambini".

La sua Ondina ha spaventato gli adulti.

"Io sento il fascino delle Dolomiti. Pur non essendo particolarmente alte, la loro verticalità, per chi le guarda dal basso, le fa sembrare più alte dell’Everest. Sono delle immense cattedrali, mi provocano la sindrome di Stendhal. Nell’arco di una giornata assumono tutte le gradazioni possibili. Al mattino sono rosa e dolcissime, tanto che il Catinaccio in tedesco è chiamato Rosengarten. Ma con il calar del sole, diventano spettrali. E la notte, con la luna, sono addirittura tremende: viene da pensare a Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij. Ecco, nel 1997, cercai di raffigurare tutto questo in una sola immagine. Mai mi sarei aspettato che gli organizzatori, anziché le montagne, guardassero il sedere".

Non è il colmo chiedere un disegno a Milo Manara e scandalizzarsi se Milo Manara fa un nudo femminile?

"Devono aver presunto, giustamente, che sapessi disegnare anche i vestiti. All’epoca proposi un secondo bozzetto. Disegnai alla ninfa una massa di capelli che si disperdeva nell’acqua. Alla fine erano talmente lunghi che non si vedeva più nulla. Ma si capiva lo stesso che era nuda".

Lei obiettò: "Si è mai vista una ninfa con le mutande?". Non fa una piega.

"Il punto è che il nudo ha una dimensione eterna. Una donna nuda è immortale, fuori dal tempo. Sono i vestiti che riconducono un certo corpo a una certa epoca. Per questo, da Tiziano a Rubens, i personaggi mitologici sono sempre stati nudi. Le dee soprattutto. Mi pareva che una figura umana, nel manifesto, ci volesse. E che per esaltare la bellezza del paesaggio servisse una figura altrettanto seducente. Del resto, non sono stato il nemmeno primo, accidentaccio. Pure il tardo Segantini aveva disegnato delle ninfe in montagna. Credo che quelle fossero le Alpi lombarde, ma insomma: il concetto è quello".

Si arrabbiò quando la censurarono? Qualcuno al suo posto li avrebbe mandati al diavolo.

"Arrabbiato no. Rattristato. Deluso. Il committente ha sempre ragione, ha tutto il diritto di rifiutare un’opera, se l’opera non gli piace. Però…"

Però?

"Però fin da quando ero piccolo mi sono sempre chiesto perché ci sia questa fobia nei confronti dell’erotismo. Noi siamo nati nudi. Le donne per gli uomini, e anche gli uomini per le donne, sono così attraenti per un motivo. Dal punto di vista biologico, noi dobbiamo fare solo tre cose: nascere, riprodurci, morire. Di sicuro non fare la guerra. Ora: nascere e morire sono atti involontari, riprodurci invece sta a noi. Per questo, per me, disegnare una donna nuda è un inno alla gloria del corpo umano, un inno alla vita, un inno alla gloria della vita. La sopravvivenza stessa della nostra specie dipende da quella cosa lì. Il giorno in cui quella cosa lì non importerà più, sarà un brutto giorno: vorrà dire che saremo estinti".

In questi venticinque anni dopo la censura, il Film Festival si era più fatto sentire?

"No".

Il manifesto 2022 è molto discreto. Cos’è successo? Lei è nato nel 1945. Forse con l’età si diventa più malleabili?

"No. Anzi. Con l’età si diventa più intransigenti. E uno è anche stufo di lavorare per niente. Il manifesto di quest’anno è una variazione sul tema, come si dice in musica. Una variazione in tono minore, più malinconica, meno celebrativa della bellezza. C’è anche un messaggio. Negli ultimi venticinque anni ci siamo resi conto della fragilità delle montagne. Il riscaldamento globale. I ghiacciai che spariscono. La tempesta Vaia. Si tratta di un’emergenza gravissima, io la metterei al primo posto tra le priorità. Ma ormai ho perso qualsiasi speranza. La dittatura del denaro è tale che non si farà nulla, al di là di qualche sfilata con le trombe e i campanelli».

Mi pare di capire che con l’età non si diventa più malleabili, ma più pessimisti.

"Sì. Questo sì".

Il manifesto 2022 è veramente innocente. Non è che con l’età… come dire… certi pensieri svaniscono?

"Ah, no. Glielo assicuro. La pace dei sensi è una bugia clamorosa. Il mio rapporto con l’erotismo oggi è meno fisico e più intellettuale, ma l’intensità è sempre la stessa. L’erotismo, per me, è l’elaborazione culturale del sesso, così come la cucina è l’elaborazione culturale del nutrimento. Questo certo non se ne va solo perché diventa vecchi".

Qual è stata la censura più grave che ha subito?

"In Sudafrica, durante l’apartheid. Ma non si trattava di soggetti erotici. Erano le avventure di Giuseppe Bergman, il personaggio inventato da me. Parlavano della libertà, dell’autodeterminazione umana intesa come la intende l’Ulisse di Dante Alighieri, 'fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza'. Contenevano anche un accenno al razzismo. Al regime non andarono giù. Ne fui molto lusingato".

Lei se la prende quando la censurano?

"Ma no. Vede, per me l’editore è un complice, non una controparte. Se lui ritiene che qualcosa possa nuocere al libro, mi adatto. Per questo non mi sono arrabbiato nemmeno con quelli del Festival del Trento. Oltretutto mi pare che il manifesto del 1997 me lo abbiano pure pagato. Non vorrei sbagliarmi, dovrei controllare. Ma mi pare di sì".

Lei mi sembra molto mite, per essere un uomo che suscita scandali.

"Io cerco di esprimermi attraverso la qualità del mio lavoro. Certi artisti non sanno tenere distinta la propria arte dalla propria vita. Caravaggio, Modigliani, Andrea Pazienza. Di solito muoiono giovani. Si esauriscono presto, come una candela che brucia dalle due estremità".

Non le pare, tutto sommato, che le sue opere non scandalizzino più nessuno?

"Sì. È così. Il ‘68 ha portato grandi trasformazioni. C’era tutta una serie di opere che usavano l’erotismo come leva sociale. Noi sessantottini avevamo due nemici: la guerra in Vietnam e la repressione. Da allora la società è cambiata moltissimo. Il rapporto genitori-figli. Il rapporto insegnanti-allievi. E anche il rapporto uomo-donna. L’unica cosa che non è cambiata è la politica".

E internet?

"La quantità abnorme di pornografia a disposizione su internet ha in parte vanificato l’immagine erotica. Ma l’erotismo, come ho già detto, è l’elaborazione culturale del sesso, richiede una complicità del lettore. Il disegno, poi, è una forma culturale altissima: richiede al lettore di immaginare che un certo segno sia un naso, un altro una bocca. La pornografia invece è pura rappresentazione. I porno sono ripetitivi e noiosi. Per non annoiare, sono costretti a mettere in scena performance via via più acrobatiche. Che possono avere senso se praticate. Ma non capisco che senso abbia guardarle".

Ora dall’America sta arrivando – le cito un giornalista che si occupa di cose americane - "un’ondata di repressione sessuale: un Grande Risveglio di fondamentalismo protestante". Lei pensa che questa sessuofobia attecchirà anche in Italia?

"Penso che abbia già attecchito. C’è una regressione sul piano censorio. Un film come Ultimo tango a Parigi oggi non lo farebbe nessuno. Pensi alla televisione: a guardare certi balletti degli anni 80 oggi si rimane strabiliati per quanto erano audaci. Ormai ci sono solo talk show noiosissimi dove tutti si parlano addosso e nessuno capisce niente. Quando li guardo mi chiedo: che fine hanno fatto le ballerine?".

E il politicamente corretto?

"Asfissiante. Ci costringe a dei barocchismi, a delle idiozie clamorose. Perché i sordi devono essere definiti “non udenti?”. Perché non si dice più 'morto', ma 'privo di vita'? E perché tutti dicono 'il patron di una squadra di calcio o di una fabbrica', anziché 'il padrone'? Suona troppo marxista? È come se invece di dire 'un operai'” dicessimo 'un ouvrier'. Forse, chissà, con questo rigurgito di perbenismo, l’erotismo potrà ritrovare il ruolo di eversione sociale che aveva un tempo".

Lei caratterialmente ci pare il più lontano possibile da quel toscanaccio di Michelangelo. Ma è proprio sicuro di non essersi mai vendicato di qualche suo censore?

(Un attimo di silenzio)

"Grazie di avermi paragonato a Michelangelo".

(Altro attimo di silenzio)

"Be’, ammetto che proprio con questo nuovo manifesto per Film Festival di Trento ho provato una certa dose, forse inconscia, di revanscismo. Se guarda il manifesto con l’Ondina di quest’anno, quella 'in tono minore', noterà che le Dolomiti sono scomparse. Non hanno voluto il sedere? Allora ho tolto pure le montagne".

Per la cronaca, Biagio Martinelli, maestro delle cerimonie pontificie, ritrovatosi tra i dannati, il capo corredato da un gran paio di orecchie d’asino, e un serpente che gli mordeva il pene, fece di tutto per farsi togliere da lì. Arrivò a protestare perfino con il Papa. Ma pare che Paolo III, udita la storia, sia esploso in una fragorosa risata.