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“Quanti imbroglioni antirazzisti”. Il pioniere della sinistra afroamericana

Giulio Meotti

Adolph Reed, storico militante per i diritti civili, oggi sembra impegnato a reclutare nemici a sinistra. Almeno a leggere un lungo ritratto che gli dedica il New Yorker

Politologo (è emerito all’Università della Pennsylvania), storico militante per i diritti civili quando il razzismo era una cosa seria e si finiva impiccati agli alberi, Adolph Reed oggi sembra impegnato a reclutare nemici a sinistra. Almeno a leggere un lungo ritratto che gli dedica il New Yorker.

Definisce Barack Obama un “vacuo opportunista”, molti militanti e studiosi antirazzisti come “poco più che imbroglioni” e deride l’idea che un Oscar in più ad attori di colore sia “una vittoria per il movimento per i diritti civili e non solo per l’attrice e il suo agente”. Il divorzio si è consumato quando Reed scrisse un articolo, poco dopo l’assassinio di George Floyd, in cui sosteneva che “il fervore antirazzista sta offuscando il giudizio politico dei progressisti. Fu respinto dal New York Times”. 

Alla fine Reed l’ha pubblicato in due testate più piccole. Poi, invitato a tenere un discorso su Zoom alle sezioni di New York e Filadelfia dei Socialisti democratici d’America, l’ala radicale e woke dei Dem, Reed è stato boicottato. “Lui è il più grande teorico democratico della sua generazione”, ha detto Cornel West, professore di Filosofia a Harvard. “Ha preso posizioni molto impopolari sulla politica dell’identità, ma ha una storia di mezzo secolo”.

 

Parlando al New Yorker, Reed manda in cortocircuito la vulgata sulla razza. “Si tratta di un pericolo quando fai i conti con il passato e questo diventa troppo simile all’allegoria, così che le sue sfumature e contingenze possono scomparire. Allora la storia può diventare o una narrazione di un inevitabile sviluppo progressivo fino al presente o, peggio, un’affermazione tendenziosa che nulla è mai cambiato”. Come se il razzismo operasse alla stregua  d’una forza immutabile e nessun progresso sia stato davvero possibile. “E quindi puoi dire che l’omicidio di George Floyd è lo stesso del tempo degli schiavi”. 

 

I liberal, ha osservato Reed, ripetono un ritornello comune: “So che la razza è una costruzione sociale, ma… Beh, non c’è nessun ‘ma’. O è un unicorno o non è un fottuto unicorno. Un’ossessione per le disparità razziali ha colonizzato il pensiero liberal. A essere onesto, sono particolarmente irritante quando i bianchi mi fanno una lezione sul fatto che non capisco la profondità del razzismo in America. Significa che glielo hanno detto i loro amici neri”. 

Si tratta di un’operazione di maquillage per interessi economici e politici. “Una popolazione razziale fittizia e indifferenziata è diventata un’importante fonte di capitale politico per promuovere programmi identitari distorti a beneficio degli strati superiori, uno sviluppo chiave che a sua volta suggerisce che il Grande Risveglio rappresenti una forma di dissonanza cognitiva all’interno di quella classe”, spiega ancora Reed. “Vale a dire, quanto più  le premesse della politica  razziale sono in contrasto con le realtà quotidiane della vita dei neri americani, tanto più insistentemente il woke deve raddoppiare la fantasia di un’oppressione razziale monolitica e immutata”. 
E qui torna utile un famoso detto di Upton Sinclair: “E’ difficile convincere un uomo a capire qualcosa, quando il suo stipendio dipende dal fatto che non lo capisca”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.