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Il Foglio del weekend

Viaggio nella Desenzano di Jacobs

Michele Masneri

Ritratto della città sul Garda che dopo il trionfo olimpico del suo centometrista è diventata la capitale dell’Italia che vince. Analisi del “Fattore D”. Qui il lago ha il fascino del mare. Una Riccione d’acqua dolce

Non c’è solo Marcell Jacobs, l’eroe dei due mondi, con la sua storia di successi olimpici bestiali e integrazioni texane-gardesane; ci sono anche due ministri, e tutta una scena musicale e un mood, vabbè. Insomma, è l’estate di Desenzano del Garda, ventottomila abitanti, il paesone lombardo della sponda bresciana che se ne sta lì e finalmente ottiene il posto che gli spetta.

Fattore D; e certo conta Jacobs, pluricampione anche di integrazione, e una storia che pare uscita dalla recente serie Sky di Luca Guadagnino, We are who we are, adolescenti un po’ stralunati figli di marines spiaggiati nel Lombardo-Veneto. E così lui, mamma local, papà americano di El Paso, Texas, di stanza a Vicenza. E se ora abita prevalentemente al Fleming, quartiere molto americano di Roma Nord, c’è tutta una continuità tra il Texas, il Fleming, e Desenzano, del resto c’è chi la chiama Desenzangeles: grandi spazi, grandi macchine, grandi estati. Non El Paso: ma piuttosto aiuole innaffiate come a Santa Barbara. Targhe straniere. Occhi azzurri e lentiggini. Scottature. Alla spiaggia di San Sivino, tra palazzine tutte-vetri e parlate olandesi, tedesche e inglesi, in un giorno d’agosto, tra i bagnanti, ecco uno striscione blu: “Grazie Marcell”.

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Si vede l’isola Borghese di fronte, pare d'essere in un altro Guadagnino, Chiamami col tuo nome, quando nello stesso lago si rinviene  l’antica statua. Però qui niente struggimenti vintage né stralunatezze nè amori impossibili. Il campione si sposerà, nel settembre dell’anno prossimo,  la sua bella tatuatissima, a Desenzano, mica al Fleming. Mica a Roma. Sua  mamma  Viviana, quando il padre-milite è stato chiamato in Corea, ha preso su le sue cose e  ha messo su un hotel nella frazione di Manerba, si chiama Florence, lo gestisce col nuovo compagno Nicola, anzi chef Nicola “che cura Gusto, Odori, Colori e Nutrizione tramite l’uso di materie prime delle 4 stagioni e seguendo i vostri gusti, le vostre esigenze e le eventuali intolleranze con menù personalizzati”, recita il sito. L’hotel è quasi tutto esaurito, e uno certo si chiede ma chi mai ci verrà, a Desenzangeles, e invece è tutto pieno in zona. Sarà che l’estero mette sempre più paura, sarà che tutti riscoprono i posti sotto casa, ma a Desenzano i locali son ricolmi di turisti e i ristoranti mietono green pass tra le aiuole ben tosate.

“D’estate, Desenzano è sempre stato un posto in cui improvvisamente per due mesi si parlava inglese, diventava internazionale”, dice al Foglio Fausto Lama, del duo Coma_Cose, trionfatore di classifiche e tour. Lui è cresciuto a Salò, qui vicino, eppure mood del tutto diverso, meno vitale, più lago-lago, mentre qui è un lago-mare. “Ci sono sempre state biciclette, tante, e poi il mito delle tedesche, si cercavano queste tedesche, i miei amici le inseguivano tra i camping, mentre io dovevo stare in cantiere ad aiutare mio padre geometra. Che poi si diceva ‘le tedesche’, anche se poi erano soprattutto danesi e olandesi”. Comunque straniere in questa riviera romagnola che non lo è.

 

“E’ una Riccione d’acqua dolce”, dice il cantautore, e a Desenzano in effetti si respira una Dolce Vita moderata, da riviera romagnola senza eccessi, una Rimini ma senza sfarzi déco. Non ci sono le insegne al neon; per certe cose assomiglia più a Forte dei Marmi, con macchine lussuose, palazzine magari non di gran guizzo architettonico, ma culto della manutenzione (non si risparmia sul giardiniere). E poi Desenzano centro, lo struscio, i grand hotel di un tempo, il Mayer, le champagnerie. Pasticcerie e profumerie sotto i portici. Cigni famelici. E un posto che d’inverno non sfiorisce.  

Anzi. Consolidata tradizione discotecara. E musicale. Locali. Star attuali come Joan Thiele, altro caso di integrazione: trentenne, nata qui, da madre napoletana e papà svizzero di origine colombiana, passa l'infanzia tra la Colombia, il Canada, i Caraibi, l'Inghilterra e il Lago di Garda.  Collaborazioni con Myss Keta.  E’ del 91, non ha fatto a tempo ad andare in discoteche leggendarie come il Mazoom che un certo giorno cambiava nome e diventava Le Plaisir. Il Fura. Il mitico Sesto Senso, fondato cinquant’anni fa, nel 1971, una specie di proto-billionaire, discotecona costosissima che vedeva sempre in prima fila Fabio Testi, e il pilota René Arnoux, per dire. Umberto Smaila.  Il “Sesto” impersonava gli animal spirits lombardi-veronesi che producevano nella settimana tra fabbrichette e uffici e poi volevano divertirsi nel weekend. Esperti nella disciplina ancora non olimpica della sciabolata alla magnum di champagne.

Duecento metri prima del “Sesto”, un geniale imprenditore aveva messo su un noleggio di auto di lusso, si pagava mi pare cinquecento mila lire, prendevi la Lamborghini o la Ferrari e facevi l’ultimo miglio per fare un’entrata col “car” giusto. Adesso il Sesto non c’è più, bruciato in un incendio nel 2008, ma c’è il Sestino, di cui è socio Jerry Calà. “Qui si è sempre venuti anche da Milano. A Desenzano girai anche Ragazzi della notte, dice al Foglio, “un film che voleva raccontare le discoteche in un momento, gli anni Novanta, in cui tutti le criticavano come causa di ogni male”.

Calà a Desenzano oltre che una leggenda è anche un residente. “Sono tornato anche a vaccinarmi”, dice l’attore, che abita nella frazione di Padenghe, accento sulla seconda sillaba, Pa-dèn-ghe, location non eufonica, e però una specie di Malibu bresciana; ci sono annunci di attici a un milione e settecentomila euro, a Padenghe. E chi mai ci verrà, a Padenghe, a spendere un milione e settecentomila euro? Ci sono russi, e poi imprenditori. C’è la fila. La Tassoni, cedrata di innocenti spot sempre uguali, quella di “quante cose al mondo puoi fare”, è di qui, ed è diventata alcolica. Ora fanno anche gin, e liquori. Sandro Veronesi, non lo scrittore, ma il patron di Calzedonia e Intimissimi, “abita a duecento metri da casa mia”, dice Calà. C’è anche del resto tutto un sottotesto e un indotto calzettistico, a Desenzano: qui vissero e operarono i più bei nomi del calzino lungo e corto. Dai pedalini aspirazionali Gallo, alla  Malerba, a Golden Lady. Prodotte al confine col mantovano, ma a Desenzano i patron si facevano la villa (mentre nella vicina Brescia costruiscono tutti i macchinari per le filature che esportano pure in Cina).

 

E del resto uno dei personaggi più celebri di Calà era proprio il pubblicitario di Yuppies, il film dei Vanzina del 1986 sui giovani di successo, che si sforza di trovare uno slogan giusto a certi collant. Il suo capo e direttore era il Dogui, Guido Nicheli, una delle maschere più celebri di quell’epoca, “che è morto proprio qui, a Desenzano, nel 2007. Un colpo, dopo una serata. Veniva sempre”. La sua tomba, quella leggendaria con la scritta “see you later”, non è però qui, mi dice Calà. E del resto “Desenzano-Milano in un giro di Rolex” non è mai stato detto, però Desenzano, per chi ci sta “Dese”, o Desensà, nei cartelli del bilinguismo leghista demente, ha soprattutto la praticità dell’uscita autostradale e della stazione, dodici frecce rosse al giorno, collegamento diretto con Milano e con Venezia e con Roma, “e questo spiega il perché sia stata sempre così centrale”, spiega sempre Fausto dei Coma_Cose, “rispetto a posti come Salò che sono rimasti più isolati”.

Certo, adesso che si sta finalizzando la Tav lombardoveneta, c’è il rischio che “Dese” venga isolata. La fermata dell’alta velocità verrà spostata, giù verso Sirmione, tra i vigneti del Lugana, come risarcimento per le vigne araldiche ribaltate per far posto alla rotaia dell'avvenire  (ma senza tanti lamenti, non c’è la Spoon River dell’ulivo pugliese qui). I giornali locali però strepitano, si teme appunto l’isolamento, “ah se ci fosse un governo del Garda”, scrive il “Corriere”-Brescia, ma in realtà il governo del Garda c’è eccome. Ben due ministri, di qui, mai successo: quella delle autonomie regionali Maria Stella Gelmini, e poi Vittorio Colao, titolare di Innovazione tecnologica e transizione digitale. La prima oltre che ministra è una specie di Kamala Harris del lago, berlusconiana della prima ora, presidente del club Forza Italia di Desenzano dal 1994, oggi capogruppo alla Camera. E’ stata appena riconfermata, soprattutto, presidente della “Comunità del Garda”  summit permanente dei comuni locali. “Tornare a Desenzano per me è come tornare a casa”, ha detto inaugurando nei giorni scorsi “Lago di Garda in love”, fondamentale rassegna estiva in pieno svolgimento.

E poi c’è Colao, che ha sempre trascorso le sue estati a Desenzano, surfando sul lago ma con jucio come nelle sue abitudini misuratissime. A Desenzano ancor oggi c’è la villa Pellizzari San Girolamo, della famiglia della blasonata mamma, la dama bresciana che con grande scandalo sposò negli anni Cinquanta un carabiniere calabrese (e un carabiniere è un po’ un marine, e all’epoca, c’è da pensare, essere militare calabrese non era diverso dall’essere aviere di colore, da queste parti). Donna intelligentissima e “avanti”, la descrivono, la “Poppy”, insieme al marito che abbandonò l’uniforme per fare carriera all’Eni, e far studiare i figli (Vittorio e il fratello Paolo, architetto con lo studio Gregotti in Francia).

 

“Le donne hanno sempre avuto un ruolo nel turismo, qui, soprattutto per quel che riguarda il boom dei campeggi che partì negli anni Cinquanta”, spiega al “Foglio” Camilla Baresani, scrittrice, il cui ultimo romanzo, Gelosia (Nave di Teseo) è ambientato proprio tra i camping di Desenzano. Il camping qui è infatti topos urbanistico e dell’anima.  “Tradizionalmente, le terre prossime al lago erano quelle che valevano meno, perché le colture di ulivi o limoni non attecchivano; gli appezzamenti più pregiati erano invece quelli in alto, dove si costruivano le ville. Dunque alle donne andavano sempre in eredità i terreni vicini all’acqua. Non avendo oltretutto soldi per costruire alberghi, queste crearono i campeggi”.

Il campeggio è ancor oggi l’insediamento tipico della zona – ci sono quelli sul lago e quelli nell’interno, più tristi, più patetici, nascosti da file di cipressi. Il camping “ha permesso anche di preservare l’ambiente, non hanno fatto particolari colate di cemento sulle coste, come altrove in Italia”. E anche il camping adesso si adatta e cambia, è tutto un fiorire di  glamping, il campeggio ganzo, perché la tenda vera e propria non la vuole più nessuno, il campeggiatore si è imborghesito, ci sono enormi camper accessoriatissimi come yacht.  Il campeggio del resto vive un boom, la Lombardia è la più richiesta d’Italia, e il Garda il più richiesto della Lombardia. Già l’anno scorso le prenotazioni erano aumentate del 30 per cento per questo tipo di turismo che garantisce distanziamento e contatto con la natura, e quest’anno ancora di più  (600 per cento, dicono).

 

I clienti sono ancora soprattutto tedeschi, i “crucchi”, da sempre amanti del Garda, e che però paiono aver risentito di una mutazione genetica. Sono imborghesiti anche loro: tutti bellocci e snelli e palestrati, adesso, sulle spiagge: sembrano più eleganti dei locali (o forse sono gli italiani che ormai stanno in sandali coi calzini, dunque addio superiorità estetica). Continuano a calare dal Brennero, come sempre avevano fatto i loro antenati da Goethe in giù. "Adesso mi trovo veramente in un paese nuovo, in un ambiente del tutto estraneo", scriveva il poeta giunto sul lago il 12 settembre 1786.  Trova “Eine herrliche Naturwirkung” (un “magnifico spettacolo naturale”). Ma poi, dopo di lui, soprattutto birrosi operai di Monaco innamorati da sempre da questo che “è il loro mare. Del resto, le giornate che amano di più sono quelle brumose, quando non si vede l’altra parte del lago, e sembra davvero mare”, dice sempre Baresani. Il panorama, da Padenghe, anche senza villa, del resto è molto romantico, soprattutto in quei giorni, puro Caspar David Friedrich: fulmini e saette, e cime tempestose.

 

Dicono che veleggiare nel lago è più difficile che in mare. Qui si contende del resto la celebre Centomiglia. A volte, anche, incidenti non solo diplomatici.  A giugno una coppia di tedeschi ubriachi su un Riva a noleggio ha travolto e ucciso una coppia di poveri locali, e non è stato bello, c’è sempre la sensazione che a sud del Brennero i germanici perdano inibizioni e Angst e ritrovino voglia di vivere anche molto alcolica. Ma sarà il campeggio, sarà la natura, sarà la comodità geopolitica, ma senso di libertà qui se ne respira da sempre. Terra di locali gay da epoche remote. Sotto la rocca di Manerba, non lontano da casa Jacobs, leggendarie spiagge nudiste. Al Vo', a Desenzano, pure. E poi locali come lo Splash, una Gardaland gay, enorme distesa di saune e bagni turchi e piscine, parco a tema non lontano dalle spiagge cantate da Catullo. In generale, in giro, voglia di godere, grandi enormi gelaterie, ristoranti, la prevalenza del Pirlo (lo spritz lombardo), i piroscafi un po’ da Mississippi. Non ci sarà George Clooney, c'è Jerry Calà al suo posto, ma non c'è nemmeno la cupezza del lago di Como (o Maggiore). 

 

Intellettuali: al sacerdote settecentesco Girolamo Bagatta è intitolato il prestigioso liceo classico e scientifico della città dove per anni ha insegnato Roberto Vecchioni, che qui ha vissuto e qui tiene ancora casa. Come Aldo Busi, altro mito locale, ora ritiratissimo nella adiacente Montichiari, che all’uscita di un suo libro sei anni fa ricordò i suoi tempi sul lago, l’infanzia da Seminario sulla gioventù:  “dalla prima volta alla Spiaggia d'Oro, raccontò a “BresciaOggi”, "in corriera, avevo sette o otto anni» ai lavoretti d’albergo per mantenersi (“andavo a rubare l'uva americana acerba nell'orto. Mio padre veniva a trovarmi solo per prendermi tutta la paga”), in una pensione “c'era la vedova nera, una signora che aveva 52 bottoncini di stoffa che io abbottonavo e sbottonavo due volte al giorno”. E poi, più in là negli anni, “in Cambogia, un posto sul lago fra Desenzano e Lonato, dove si andava a battere senza combinare niente, fra donne molto curiose”. O ancora a Sirmione, come cameriere in un bar dove ora c'è l'Ufficio del turismo, “in cui però non potevo stare perché non avevo ancora 15 anni”. E poi in spiaggia: “Incedevo sulla spiaggia con un costume da bagno aderente, scheccheggiavo come l'ultima delle donne perdute. E poi c’erano i dancing”.

 

E chissà se si terrà in un dancing o su una spiaggia l’avvenimento prossimo venturo che tutti aspettano, le nozze del campione texano-desenzanese, Marcell Jacobs, e chissà se ci sarà pure il papà, il papà assente ma poi riconciliato con boost atletico-mentale sul figlio (un papà terribile da Seminario sulla gioventù?). Un altro con daddy issues, Franz Kafka, nel suo “Aeroplani a Brescia”, narrò del raduno aereo di Montichiari del  1909, quando, solo sei anni dopo l’impresa dei fratelli Wright, qui si tentarono piccoli voli di pochi minuti e scarse altezze,  che però allora parvero  un assoluto prodigio. Come oggi i lanci di Jeff Bezos: nel lontano (ma non troppo) Texas.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).