Michel Foucault. Foto tratta da eutopiainstitute.org

il foglio del weekend

Michel Foucault, il guru dei campus americani sotto accusa

Giulio Meotti

Intervista a Robert Redeker: “Era un grande seduttore ed è stato lui ad appiccare il fuoco alla civiltà occidentale”

C’era Herbert Marcuse, che a Berkeley annunciava che viviamo in un regime di falsa tolleranza. “Marcuse è il progenitore del progressismo woke”, scrive Damon Linker su The Week di marzo. Della stessa opinione Joseph Epstein sul Wall Street Journal: “Il sogno di Marcuse si è avverato”. Il filosofo francofortese è anche sul primo settimanale tedesco Die Zeit di qualche giorno fa in uno speciale sulla censura in America. Il “mercato delle idee”, sentenziò Marcuse, è in mano a coloro che hanno interesse a perpetuare una politica repressiva, da qui il diritto naturale alla resistenza per le minoranze oppresse. Siamo in piena cancel culture, l’idea che la libertà di parola sia semplicemente una forma di discriminazione. Non solo. In chiusura al suo best seller del 1967 “L’uomo a una dimensione”, Marcuse immagina il “Grande Rifiuto” provenire da “coloro che formano la base della piramide sociale – gli outsider e i poveri, i disoccupati, le razze perseguitate, i detenuti delle carceri e degli istituti psichiatrici”. Oggi si chiama “intersezionalità”.

 

Poi c’era Paul de Man con la “scuola di Yale”, che Harold Bloom aveva ribattezzato la “Scuola del risentimento” per il suo tentativo di decostruire la storia della letteratura in chiave sessuale e razziale, fondata da quell’intellettuale belga di de Man, uno dei padri della “decostruzione” assieme a Jacques Derrida, “Sterling Professor of the Humanities”, il più alto grado accademico di Yale, che ha plasmato generazioni di accademici e studiosi della letteratura sull’idea che il linguaggio è indeterminato, incapace di dire quello che intende davvero, l’autore rivela le sue intenzioni che eludono la coscienza, l’interpretazione è invalidata dai presupposti del critico, dalla sua “cecità”, così che linguaggio e letteratura non possono servire la verità. E quando si parla di “teoria critica della razza” come non pensare allo psichiatra francese Frantz Fanon.

 

Ma soprattutto, nella diaspora europea che appiccò l’incendio ideologico che oggi divampa nei campus americani, c’era Michel Foucault. La passione e l’interesse per questo nome sono ancora pari all’odio che genera ancora. “Come Michel Foucault è diventato il santo del postcolonialismo e della politica dell’identità”, scrive la Faz di questa settimana. “Odio Foucault, perché ha avuto un’influenza disastrosa sugli ingenui accademici americani” ha scritto l’accademica femminista Camille Paglia. “Studenti americani, dimenticate Foucault! Il post-strutturalismo è un cadavere. Lasciatelo  nella fossa dei rifiuti parigini a cui appartiene!”. 

 

Il 9 marzo, il saggista liberale francese Guy Sorman è invitato su France 5 a parlare del suo “Dizionario delle stronzate” (Grasset). E Sorman parla di Michel Foucault: “Quello che Foucault stava facendo con i bambini in Tunisia e che ho visto mi porta a non rifiutare il lavoro di Foucault ma a guardarlo in modo diverso”. Il giornalista Karim Rissouli prende la parola: “Foucault che secondo lei era un pedofilo …”. “Sì, beh, fornisco dettagli, queste sono cose perfettamente ignobili, con i bambini piccoli, la questione del consenso non si pone”. La polemica decade in Francia, se non fosse stato per il Sunday Times, che intervista Sorman: “Confesso di averlo visto comprare bambini piccoli in Tunisia. Ha preso appuntamento con loro al cimitero di Sidi Bou Saïd, al chiaro di luna”. Sorman racconta di aver visitato Foucault con un gruppo di amici durante le vacanze di Pasqua nel villaggio di Sidi Bou Said dove Foucault visse nel 1969. “I bambini gli correvano dietro, dicendo ‘E io? Prendimi, prendimi’. Avevano otto, nove, dieci anni, lui lanciava loro soldi e diceva: ‘Ci vediamo alle dieci al solito posto’”. Dopo essersi rammaricato di non aver denunciato il filosofo alla polizia, Sorman spiega che la faccenda era pubblica: “C’erano giornalisti presenti durante questo viaggio, c’erano molti testimoni, ma nessuno si è fatto avanti. Foucault era il re filosofo. Era come il nostro dio in Francia”. Poi inizia l’inchiesta e il racconto di Sorman si complica.

 

Jeune Afrique in Tunisia il 1 aprile ha messo in dubbio le accuse. Dopo aver intervistato i residenti di Sidi Bou Said che avevano conosciuto il filosofo, l’articolo concludeva: “Michel Foucault non era un pedofilo, ma era sedotto dai giovani efebi”. Non avrebbero avuto otto, nove o dieci, ma sedici e diciassette. Il settimanale tedesco Die Zeit riparla con Sorman, che ha ammesso di non aver visto gli stupri denunciati. La scena nel cimitero gli era stata raccontata “dall’entourage di Jean Daniel”, il fondatore ed editorialista di Nouvel Observateur, che non può confermare perché è morto due anni fa. Chantal Charpentier, allora compagna di Sorman, al giornalista tedesco dice di aver fatto visita a Foucault a Sidi Bou Said durante la Pasqua del 1969 in compagnia di un altro filosofo francese, Gilles Châtelet, anch’egli deceduto. Racconta la stessa scena descritta da Sorman, ma senza  descrizioni sessuali: bambini “di otto o nove anni” gli correvano dietro gridando “Michel!” e “Foucault si voltava e lanciava monete ai piedi dei bambini. Foucault trattava i bambini in modo umiliante”.

 

Il biografo più preciso di Foucault fino ad oggi, l’inglese David Macey, in “The Lives of Michel Foucault” descrive come “Foucault fu sorpreso la mattina presto nella sua casa con bambini piccoli a Pasqua del 1968 e da allora ogni genere di voci su di lui circolano nel villaggio”. La vicenda non è dunque affatto chiara. Macey scrive così di Sidi Bou Said: “Il villaggio era caratterizzato da un cosmopolitismo che è stato paragonato a quello dell’Alessandria di Lawrence Durrell e ospitava una società bohémien di diplomatici, spie fasulle e veri vagabondi, artisti e avventurieri tra i minareti in stile turco e i caffè arabi. Aveva una stuzzicante decadenza”.

 

“Finora il silenzio è stato assordante, anche qui in America” dichiara questa settimana al quotidiano cileno La Tercera James Miller, un altro biografo del filosofo francese e autore di “The Passion of Michel Foucault”. “Foucault sfida direttamente  una civiltà che sceglie di tracciare il confine tra ragione e follia, tra normale e anormale, tra bene e male. Questa sfida è al centro del suo lavoro; è ciò che rende Foucault un pensatore veramente radicale”. Che questo silenzio, come spiega Sorman, non derivi dal fatto che “Foucault denuncia gli abusi di potere da parte dei bianchi in tutti i campi, ma non ha applicato il suo sistema analitico al proprio caso”? 

 

O forse deriva dall’immenso carisma ideologico che Foucault esercita ancora, soprattutto ora, nei campus americani? “Siamo soggetti alla produzione della verità attraverso il potere”, diceva Foucault, “e non possiamo esercitare il potere se non attraverso la produzione della verità”. Il filosofo si interessava alle istituzioni che sopprimevano –  prigioni, manicomi, scuole, moralità – e cercava di eroderne il  potere. “Quando Michel Foucault morì a Parigi il 25 giugno 1984, aveva raggiunto una popolarità nel mondo anglofono eguagliata da nessun altro teorico contemporaneo”, ha scritto Robert Holub di Berkeley sul German Quarterly. Nonostante la morte di Foucault sia avvenuta 37 anni fa, Google Scholar conta 407.662 citazioni di Foucault dal 2016. L’Università di Harvard offre 24 corsi in cui si parla di Foucault, il maestro di quella che oggi si chiama “intersezionalità”. “Non voleva più spingere i confini ma abolirli, sostenendo la normalizzazione non solo delle sottoculture gay, ma anche del sadomasochismo e della pederastia” scrive Daniel Johnson, l’ex direttore di Standpoint, su The Week di questa settimana. “Il calcolato affronto di Foucault alla moralità borghese simboleggiava il suo rifiuto della civiltà occidentale tout court”.

 

Il potere era l’unica realtà dietro queste facciate, un potere tanto più insidioso per essere stato inconsciamente autoimposto dalle società che avevano interiorizzato il codice morale agostiniano sin dalla fine del mondo antico. Era una proposta semplice e seducente che eliminava la necessità del proletariato come veicolo della rivoluzione. Grazie a Foucault, tutti potevano essere contemporaneamente vittime. Gli studi queer e Lgbtq sono usciti dalla testa pelata di Foucault e sono la nuova pedagogia morale che scardinerà una società a maggioranza “eteronormativa”. Come spiega Francois Cusset nel suo libro “French Theory”, “le opere di Foucault hanno avuto un impatto profondo sul femminismo americano, il passaggio dall’umanesimo  al costruzionismo radicale; situando la sessualità e le sue implicazioni in una storia politica”. La famiglia e l’identità sessuale divennero così i nuclei da smantellare a favore di quella di genere. 

 

Uno dei più importanti teorici del postcolonialismo oggi è Edward Said. Nel suo libro del 1978 che ha fatto scuola, “Orientalismo”, Said prende  Foucault per spiegare che l’orientalismo è “un sistema di conoscenza dell’Oriente" che dichiara che l’Oriente è agli antipodi della razionalità occidentale e che ha fornito una giustificazione al colonialismo. Foucault, al cui “lavoro”, scrive Said, “deve molto”, diventa un pilastro.

 

“E’ una catastrofe, questi intellettuali hanno armato moralmente i nostri nemici e ci hanno moralmente disarmato”, dice al Foglio Robert Redeker, filosofo e saggista francese che ha scritto di Foucault in questi mesi sui giornali dell’Esagono. Sono finiti i tempi del popolo: Foucault porta la sinistra nell’era delle identità e delle minoranze! E senza saperlo, praticando la politica della terra bruciata, Foucault ha preparato l’attuale mondo del politicamente corretto. E l’incendiario francese è diventato il mentore del conformista americano.

 

“Pensiamo a Derrida: la critica a ciò che lui chiama ‘fallogocentrismo’, in altre parole tutta la cultura europea, le sue istituzioni, risultanti da questa cultura” dice Redeker. “E poi Roland Barthes, quando dice che ‘la lingua è fascista’. Nietzsche ha parlato del pensiero che dice no alla vita e lo chiamava nichilismo. Quello di Foucault è un pensiero che lancia un no radicale alla società e alle istituzioni, con l’obiettivo di liberare la barbarie. Parliamo di un nichilismo attivo rivolto contro la forma occidentale di società e civiltà. E’ un pensiero che spalanca le porte alla violenza, purché provenga dal basso, nella speranza che questa violenza sia uno tsunami che travolge ogni cosa sul suo cammino”. Foucault era spinto da un vitalismo da sovversione. “La sovversione è vita!”, dice Redeker. “Era spinto da una morale immoralista. Ha appiccato il grande incendio in occidente, quello che ancora brucia attraverso la tirannia del politicamente corretto. Nel treno festoso e ubriaco del post ‘68, si è fatto portavoce e acceleratore di tutte le demolizioni. Ogni giorno doveva andare oltre nella dissoluzione del vecchio mondo. Dei suoi valori. Delle sue istituzioni. Delle sue strutture. L’ospedale, il manicomio, la prigione, la scuola, l’esercito, la polizia, l’occidente, il bianco borghese euroamericano dovevano essere distrutti. Come più tardi Giorgio Agamben, Foucault pensa alla società solo in termini di guerra civile, poiché le istituzioni sono armi  sollevate dai governanti per schiacciare tutti gli altri. Ma non è marxista, perché il marxismo prevede la fine della lotta di classe, una redenzione collettiva, ma sostituisce alle opposizioni di classe l’opposizione dominante e dominato, che non può avere fine. Tutta l’opera di Foucault è permeata di odio assoluto, odio portato al suo livello assoluto, contro ogni forma di istituzione. Dietro questa distruttività si nasconde un fascino smodato per chi fa il male, esattamente come in Jean Genet e Georges Bataille e il marchese de Sade, trasfigurato sotto la sua penna in una sorta di angelo sterminatore. Riconosciamo lì il lato luciferino di Foucault. Il suo pensiero viveva del desiderio che nulla rimanesse dell’occidente, né le sue istituzioni, né la sua cultura, da qui il suo sostegno agli ayatollah iraniani. La rivolta di Foucault contro la società è una trasposizione in termini secolarizzati, svuotata del  contenuto metafisico, della rivolta contro il mondo, degli gnostici più oscuri e radicali. Il lavoro di Foucault – che manifesta un grande talento – è un’esacerbazione dell’odio unica nella storia della filosofia. Deleuze ha detto che ammirava la risata di Foucault. Quello che Deleuze non dice è che quella risata era quella del diavolo”.

 

Foucault, sostiene Redeker, lascia una terribile eredità. “Tutto il sovvertimento del mondo occidentale per un obiettivo rivoluzionario, preparato dalla correttezza politica, che vediamo all’opera oggi, attraverso il neo-antirazzismo, il neo-femminismo, l’islamismo radicale, si basa in gran parte sulle analisi di  Foucault. E’ lui che ha preparato la dittatura delle minoranze. La rivolta diventa dittatura. Foucault ha indebolito tutte le istituzioni, soprattutto la giustizia e la scuola, inoculando magistrati e  insegnanti con il virus della cattiva coscienza. Molti magistrati e insegnanti, ma anche giornalisti, personaggi del mondo delle arti e dello spettacolo, sono armati dell’ideologia di Foucault, delle sue analisi, dei suoi concetti distruttori delle istituzioni. Il pensiero di Foucault esercita un’influenza immensa e planetaria, proprio come in un’altra epoca quella di Karl Marx. La sua forza deriva dal fatto che questo pensiero seduce e mobilita  ai margini della società, tra i condannati, i veramente dominati, ma anche nel cuore delle istituzioni, nei bei quartieri, tra la borghesia, tra i laureati ‘seduti’, per parlare come Rimbaud, nella sua poesia ‘Les assis’. Fanatica adorazione dei margini, illegalità, delinquenza, alterità, odio   fanatico dell’occidente, dei bianchi, degli europei sopra i cinquant’anni, il pensiero di Foucault è paradossalmente diventato l’ideologia dominante delle società occidentali. Questo pensiero è l’arma con cui i dominati diventeranno politicamente – perché, ideologicamente già lo sono – i dominanti”. 
Cosa ne verrà fuori? Presumibilmente barbarie, una barbarie dal volto disumano, quella della tirannia anarchica”. Tutto ciò che poteva contribuire alla distruzione lo seduceva. “Un baccante alla testa di queste colonne che seminavano delirio e gioiosa distruzione sul loro cammino. Voleva che l’occidente si trasformasse in rovine e cenere. Per soddisfare questa volontà ha acceso tutti i fuochi. Voleva essere l’Apocalisse d’occidente”.

 

E il suo famoso libro pubblicato nel 1966, “Le parole e le cose”, si conclude con quel verdetto terribile sullla “morte dell’uomo”.  Come un volto fatto di  sabbia.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.