Economista genio a Princeton, “eretico” bandito dagli islamisti in Pakistan

Giulio Meotti

Il caso Atif Rehman Mian, chiamato dal suo paese a risollevare l'economica, ma cacciato in quanto ahmadi

E’ il paese islamico che si è aggiudicato più premi Nobel. Non molti, due, ma tanti comunque per gli standard della Ummah. A vincerlo sono stati  Abdus Salam,  nel 1979  Nobel per la Fisica, e Malala Yousafzai, la ragazza attivista per l’istruzione Nobel per la Pace nel 2014. E quando la scorsa settimana la Fondazione Guggenheim ha annunciato che fra i vincitori delle sue borse di studio per il 2021 c’era Atif Rehman Mian, il Pakistan avrebbe dovuto gioire. 

Nel 2014, il Fondo monetario internazionale aveva nominato Mian fra i venticinque giovani economisti “che stanno plasmando il modo in cui pensiamo all’economia globale”. Imran Khan è stato eletto primo ministro del Pakistan nell’agosto 2018 e ha invitato Mian a far parte del Consiglio consultivo economico del suo governo. Il professore aveva subito detto di sì. Perché non aiutare il proprio paese?  Ovvio che fosse “estremamente felice di essere al servizio” della gente della sua terra natale, che aveva lasciato a diciotto anni per una borsa di studio al Massachusetts Institute of Technology. Ma, come raccontava ieri al Wall Street Journal, “non ha funzionato, a causa della discriminazione religiosa che ho dovuto affrontare”. 

 

Pochi giorni dopo l’invito di Khan, Mian si è dimesso dal consiglio. Perché è un ahmadi, appartenente a una setta musulmana chiamata Ahmadiyya, fondata come movimento revivalista islamico nell’India britannica alla fine del XIX secolo. Il Pakistan di oggi considera ufficialmente gli ahmadi come “eretici”. Zulfikar Ali Bhutto, un ex primo ministro apparentemente liberale, aveva supervisionato un emendamento alla Costituzione del Pakistan che a partire dal  1974  classifica gli ahmadi come non musulmani, uno status non invidiabile in quello che significa “paese dei puri”. Zia-ul-Haq, il dittatore militare che ha giustiziato Bhutto nel 1979, aveva poi persino reso un reato penale per gli ahmadi anche solo definirsi musulmani. 

Khan pare non sapesse che Mian era un ahmadi quando lo ha nominato nel suo consiglio economico Gli estremisti sunniti non hanno perso tempo a ricordarglielo. Proteste sono partite subito per rimproverare il primo ministro per la sua decisione di favorire un “eretico” con cariche pubbliche. Il loro odio per gli ahmadi è tale  che la parola “musulmano” è stata cancellata dalla lapide di Abdus Salam, lo scienziato pakistano ahmadi che è stato insignito del Nobel per la Fisica nel 1979. 
“Non ho potuto neanche tenere una conferenza di economia tramite Zoom a un’università privata in Pakistan”, dice Mian al Journal, “perché alcuni fanatici religiosi hanno minacciato la violenza. Le giovani menti meritano di meglio”. Le menti di un paese dove ieri due manifestanti e un poliziotto sono stati uccisi in violenti scontri tra islamisti e polizia , poche ore dopo che le autorità avevano arrestato, nella città orientale di Lahore, Saad Rizvi, il capo del Tehreek-e-Labiak, un partito islamista . I manifestanti hanno bloccato le strade in diverse città.
Gli scontri arrivano due giorni dopo che Rizvi aveva chiesto al governo del primo ministro Khan di onorare l’impegno preso a febbraio di espellere l’ambasciatore francese prima del 20 aprile per la pubblicazione in Francia di raffigurazioni di Profeta dell’Islam e il progetto di legge di Emmanuel Macron contro il separatismo islamista. Che è come un gas che satura tutta l’aria. E le menti.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.