Il museo Lavazza a Torino (Foto LaPresse)

l'intervento

Musei, un'impresa aperta

La riapertura dei luoghi della cultura arriva dopo una stagione di innovazione digitale che non deve andare sprecata. Ci scrive il presidente di Museimpresa, Antonio Calabrò

Antonio Calabrò

La cultura deve “rifiutarsi di stare dalla parte del flagello”, ha scritto Camus. Quando la Bellezza tornerà dal vivo, sarà più forte, grazie a tante esperienze innovative di questi mesi. Come quelle dei Musei delle aziende italiane più aperte al futuro

“Il teatro è il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa… e ascolta una parola da accettare o da respingere”. La definizione di Paolo Grassi, fondatore del Piccolo Teatro di Milano, con la collaborazione di Giorgio Strehler e il sostegno della colta borghesia imprenditoriale, tornano d’attualità nel dibattito pubblico, in tempi di pandemia incalzante e di luoghi della cultura chiusi, ancora per chissà quanto tempo. E ricordano che teatri e musei, luoghi della musica e dell’arte hanno una straordinaria valenza culturale, ma anche e soprattutto una fondamentale rilevanza civile. Sono, appunto, spazi vivi della comunità, della polis, della democrazia. In cui proprio l’arte, la cultura creativa e quella politecnica, il senso della bellezza e la responsabilità della parola sono indispensabili per “rifiutarsi di stare dalla parte del flagello”, della malattia, delle fratture dolorose della crisi, proprio come ci ha ricordato Albert Camus in “La peste”.  E facendo buona memoria anche della lezione di Leonardo Sciascia, a cent’anni dalla sua nascita: “Credo nel mistero delle parole e che le parole possano diventare vita, destino, così come diventano bellezza”. Cultura come civiltà raccolta, ricostruita, raccontata, rappresentata, appunto. Come memoria necessaria per il futuro.

 

Se questi sono i riferimenti di valore, la discussione può andare oltre la schematica coppia dialettica “apertura/chiusura” per teatri e musei e lasciare invece spazio a una più fertile analisi su come difendere, nel tempo possibile (benvenuti, dunque, i vaccini anti-Covid 19, e benvenuta una sanità sui territori come prevenzione, educazione e cura, molto più efficace di quella vissuta finora), la forza e la bellezza della cultura dal vivo rafforzandola e rilanciandola con le esperienze e le prospettive della cultura digitale, sperimentata con accelerata intensità proprio in quest’anno di pandemia e obbligatoria distanza.

 

In questo tempo sospeso e fragile, di paure e di chiusure forzate in casa siamo stati “stregati dallo streaming”, come ha notato con acutezza Andrea Minuz su Il Foglio, documentando come “la cultura è tutta sul nostro schermo e resterà lì anche quando riapriranno cinema e teatri”. Con ogni probabilità, faremo i conti con un’originale convivenza: la dimensione digitale e l’esperienza dal vivo d’un concerto, d’una mostra d’arte o di storia, d’un dibattito letterario. Di sicuro, la rappresentazione digitale è entrata nelle nostre vite, con una accelerazione dei tempi e una radicale modifica dei modi che prima della pandemia non immaginavamo affatto. La rapida diffusione del 5G (al centro degli investimenti del Recovery Plan dell’Europa) amplierà ancora il processo.

 

La sfida che abbiamo di fronte, come donne e uomini di cultura e d’impresa, ma anche come cittadini/spettatori/amanti dell’arte non è solo di imparare a convivere con l’innovazione, ma soprattutto di essere parte attiva nella costruzione di nuovi meccanismi di partecipazione e fruizione dei processi culturali, di stare dentro, con spirito sia critico che costruttivo, alla individuazione di originali forme di cultura popolare: nuovi linguaggi, nuove modalità di costruzione dei processi culturali, nuovi rapporti tra memoria e tecnologie d’avanguardia.

 

Nei mesi della crisi anche i musei e gli archivi storici aderenti a Museimpresa (l’associazione fondata giusto vent’anni fa da Confindustria e Assolombarda, con quasi cento iscritti, tra imprese grandi, medie e piccole) hanno mantenuto stretti rapporti con i loro frequentatori e costruito nuove relazioni con pubblici mai prima coinvolti usando il più possibile gli strumenti digitali: visite virtuali, dialoghi interattivi, didattica a distanza con le scuole, mostre particolari su singoli aspetti della vita delle imprese. Per le imprese italiane più aperte al mercato, d’altronde, l’innovazione digitale è pane quotidiano. Nella produzione e nei servizi. E, naturalmente, anche nel racconto del passato e dell’attualità della vita d’impresa, dando spazio e forma hi-tech ai documenti, ai filmati, alle fotografie e agli oggetti dei musei e degli archivi. La cultura d’impresa come cardine della conoscenza della nostra storia economica. Ma anche e soprattutto come leva di competitività: il design, la qualità, il “saper fare, e fare bene” sono caratteristiche distintive dell’industria italiana che, proprio nel cambio di paradigma dell’economia sostenibile, continuano ad avere una straordinaria importanza.

 

Sono indispensabili, in questo quadro, sia la collaborazione tra strutture pubbliche e imprese private, sia la sinergia tra gli investimenti dell’Europa e di stato e regioni e quelli dei privati (come mecenati ma soprattutto come veri e propri attori culturali, se è vero che fare impresa vuol dire fare cultura). Anche una nuova dimensione dell’Art Bonus, privilegiando chi investe nei processi di trasformazione digitale dei prodotti culturali, degli archivi e dei musei, potrebbe essere quanto mai utile.

 

Antonio Calabrò, presidente Museimpresa e vicepresidente Assolombarda

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