Il successo di Hilary Mantel

Lo specchio e la luce: è tornato di moda il romanzo storico

Anna Folli

I libri di Hilary Mantel hanno suscitato un nuovo interesse per il Rinascimento inglese, scatenando una sorta di Tudormania. Cromwell e Enrico VII rivivono attraverso una scrittura che sa raccontare il dramma e la poesia, essere ironica e tragica

La fronte bassa in parte nascosta dal cappello di velluto, il doppio mento, gli occhi piccoli e freddi, le labbra sottili un po’ all’ingiù: nel celebre ritratto dipinto da Hans Holbein non c’è nulla nel viso di Cromwell che possa ispirare simpatia. E d’altra parte Thomas Cromwell, Custode del sigillo privato, primo conte di Essex e temutissimo consigliere di Enrico VIII, è stata una delle figure politiche più discusse e meno amate della storia inglese. Famoso per l’impareggiabile acume e per la capacità di tenere saldamente nelle sue mani ogni affare del regno, è diventato nel tempo il simbolo dell’arroganza del potere.

 

Ma con i suoi libri Hilary Mantel ha compiuto una specie di miracolo, riuscendo a spazzare via ogni pregiudizio sul personaggio e suscitando un tale interesse per il periodo storico in cui è vissuto, da scatenare una sorta di Tudormania. La sua trilogia, di cui è appena uscito il volume conclusivo, “Lo specchio e la luce”, si è guadagnata due Booker Prize, caso unico nella storia femminile del premio. Non solo: dai primi due volumi sono state tratte una fortunatissima serie televisiva della Bbc e un’opera teatrale che ha spopolato a Broadway e nel West End.

 

Sulla carta, niente faceva presagire questo incredibile successo. Quando Lady Mantel (è stata tra l’altro insignita Comandante dell’Ordine dell’Impero britannico per i suoi “servizi alla Letteratura”) ha iniziato a scrivere “Wolf Hall”, i romanzi storici erano considerati letteratura di serie B. Ma Hilary non si è fatta scoraggiare e per quindici anni si è immersa nella storia del Cinquecento inglese studiando migliaia di documenti per conoscere abitudini, passioni e manie dei suoi personaggi. L’illusione è perfetta: siamo alla corte dei Tudor, dove l’aroma di lavanda e cera d’api profuma la stanza del re, assaporiamo i boccioli di sambuco cosparsi di zucchero, spiamo le espressioni di Enrico che cambiano “come una luna in fase crescente, fino a splendere di luce propria”.

 

La cura nei dettagli è una delle caratteristiche vincenti dei romanzi della Mantel che, proprio attraverso di essi, riesce a restituire il sapore di un’epoca. Ma questo non basterebbe a spiegare un caso letterario da 750 mila copie vendute in tutto il mondo. Se non suonasse irriverente, si potrebbe dire che è grazie ai suoi fantasmi che la Mantel ha avvinto i suoi lettori: per anni ha vissuto accanto a Enrico e Anna Bolena, a Cromwell e al cardinale Wolsey. Li ha fatti rivivere attraverso una scrittura che sa raccontare il dramma e la poesia, che sa essere ironica e tragica.

 

Non è un caso se la sua autobiografia si intitola “I fantasmi di una vita”: “Sant’Agostino – spiega – sosteneva che i morti sono invisibili ma non assenti”. E non potrebbero essere infatti più vive le decine di nobili, prelati, ambasciatori e dame di corte che popolano le oltre duemila pagine della trilogia. Svelandone amori, ambizioni, vendette e tradimenti, Hilary Mantel ha disegnato uno straordinario affresco del Rinascimento inglese e ha raccontato la grande storia mantenendo una tensione narrativa degna di un thriller.

 

“Lo specchio e la luce” inizia nel maggio del 1536, esattamente dove la Mantel ci ha lasciati con il romanzo precedente. Anna Bolena è appena stata decapitata: ci pare di vederla sul patibolo mentre il suo corpo cade e le mani nuotano in una pozza di sangue. Fino all’ultimo istante ha sperato nella grazia. Non può credere che Enrico, capace di mettersi contro l’intera cristianità per sposarla, ora la lasci nelle mani del boia. Ma il re sta già per impalmare la sua terza moglie, Jane Seymour, una figurina pallida e insignificante, che gli rimarrà accanto giusto il tempo di regalargli l’agognato figlio maschio e poi morire per le conseguenze del parto.

 

Il ruolo di Cromwell nell’esecuzione della Bolena è stato determinante. Ancora una volta ha ubbidito ai desideri del re: è stato lo specchio della sua luce. Ma Enrico non è più il principe colto e affascinante di un tempo, è un uomo malato e volubile, incattivito dalla paura di morire. E Cromwell, l’uomo dalle ambizioni illimitate e dalla smisurata capacità di tessere trame e alleanze, è troppo intelligente per coltivare illusioni: sa perfettamente che Enrico può riportarlo in un attimo nel fango in cui è nato.

 

Un re, sostiene la Mantel, “è fatto di schegge e frammenti del passato, di profezie e dei sogni di un’intera stirpe. In lui si scontrano le maree della storia, le cui correnti possono travolgerlo”. Enrico annega in quelle correnti, ma vuole che a precederlo nell’aldilà sia l’uomo con cui da anni condivide ogni progetto e ogni macchinazione.

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