Focolaio sismico (1971), particolare

Il volto della terra nei disegni di Pericoli

Giuseppe Fantasia

“Forme del paesaggio 1970-2018”, in mostra ad Ascoli Piceno 165 opere del celebre pittore e disegnatore marchigiano

Anche per chi ha familiarità col suo universo visivo disseminato di figure, paesaggi, oggetti, e disegni dentro disegni, lo sguardo di Tullio Pericoli (Colli del Tronto, 1936) non è mai facile da ricostruire. Questo, almeno, fino al momento in cui non si coglie un dato essenziale e singolarissimo, e cioè che a guidare quello sguardo non è soltanto l'occhio, ma un organo più irrequieto e nervoso che si lascia dirigere solo fino a un certo punto per poi assecondare - prima di tutto - i propri imprevedibili talenti: la (sua) mano. Lo spiegava lui stesso in “Pensieri della mano”, uno dei tanti libri che il grande disegnatore, illustratore e scenografo italiano ha pubblicato con la Adelphi, la casa editrice che meglio si presta a rappresentare le sue opere d’arte dai colori che riprendono e ricordano quelle celebri copertine.

 


 

Tullio Pericoli 


 

In tutti questi anni Pericoli, adottato oramai da Milano, ci ha abituato a ritratti di personaggi poco o molto noti, comunque sempre suoi amici, e soprattutto a paesaggi che sono dei veri e propri stati d’animo che completano il suo lavoro. Essi sono un flusso che ci circonda in qualunque luogo ci troviamo che lui ha dipinto e continua a dipingere con la stessa precisione di cinquant’anni fa, necessaria per afferrarne ogni dettaglio. Li ha ritratti per tutta la vita, secondo una maniera più astratta agli inizi e una invece molto più fisica negli ultimi tempi. A volte li ha raccolti in un libro (Paesaggi, Adelphi 2013), altre volte solo raccontati o disegnati su tele in olio o acrilico, esposte e ammirate in piccoli musei come in grandi (tra i tanti, il Moma di New York), sempre però col fine di mostrare in maniera evidente cosa abbia cercato o cosa abbia trovato negli stessi. Da sfondo di un quadro, almeno all’inizio della sua carriera, essi sono diventati i protagonisti di molte tele e potrete rendervene conto di persona guardando dal vivo le 165 esposte per più di un anno (fino al 3 maggio del 2020) al Palazzo dei Capitani, praticamente nel cuore di Ascoli Piceno, nelle “sue” Marche.

 

 

  

La mostra - dal titolo “Forme del Paesaggio: 1970-2018” e curata da Claudio Cerritelli – parte dalla frattura fisica e sentimentale rappresentata dagli ultimi eventi sismici per condurci poi in un (in)comprensibile percorso a ritroso nel tempo vissuto dall’artista che, così facendo, attraverso l’evoluzione della sua arte, dal presente risale alle attuali frammentazioni visionarie delle originarie esplorazioni geologiche.

 


 

Combinazioni (2012)


 

Da quelle forme dissestate e da quei movimenti tellurici del segno come del colore si passa all’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche - le opere del periodo 1998-2009 - che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, esplorano i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre. Proseguendo nel percorso, troverete la fase 1976-1983, quella che pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico attraverso vedute luminose e lievi rese attraverso la delicatezza degli acquerelli, chine e matite su carta, spazi aerei che l’artista concepisce come orizzonti immaginari, memorie di alfabeti e tracce di antiche scritture. Determinante è poi quel ritorno alle origini della sua opera artistica compiuto con il ciclo delle geologie (1970-1973), costituito da immagini stratificate e sezioni materiche. I più belli, non solo per noi, sono soprattutto quelli che rappresentano lo scenario dei colli marchigiani, opere dalle atmosfere quasi oniriche ma dove la sua immaginazione, legata indissolubilmente alla realtà, ha dato il suo meglio esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi di quelle terre.

 


 

Triassico (1971)


 

Se le varie forme del paesaggio che ha esplorato nel corso della sua ricerca pittorica sono diversificate, possiamo dire che altrettanto diramato è il percorso di lettura proposto in questa mostra dedicata a svelare i lineamenti interni, le stratificazioni e le mutazioni che l’immagine della natura ha assunto nel corso del tempo agli occhi e alla mente dell’artista, dai primi anni Settanta ad oggi. Le vedute – scrive Salvatore Settis nel catalogo ufficiale pubblicato da Quodlibet – sono ritratte da Pericoli come segmenti rivelatori di un volto, quello di una terra, le Marche, segnata dalla fatica ma anche dall’incuria dell’uomo”. I suoi, precisa, sono paesaggi “altamente soggettivizzati”, dei luoghi senza uomini che però riportano i segni dell’umanità, dei paesaggi desertici fatti di campi coltivati, di percorsi come di sentieri interrotti dove la ricerca di nuove convenzioni rappresentative, di matrice geologica, archeologica o cartografica, si sposa a una marcata intensità emotiva che attraverso il suo gesto “evoca una grammatica del vivere”, il modo d’intendere il paesaggio di chi lo andò lentamente forgiando per secoli.

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