Rivalutare la Lira (senza sovranismo)

La mostra “Gli Anni della Lira” al Museo del Risorgimento di Roma riporta in vita il nostro passato, tra monete, banconote e pezzi rari

Maurizio Stefanini

Non c’è più una lira, nel senso che non c’è più la Lira. Eppure, la Lira continua a essere rivalutata: e non solo dalla polemica sovranista. “Gli Anni della Lira in Italia tra Ottocento e Novecento” è la mostra in corso dal 23 marzo al 10 giugno al Museo del Risorgimento che si trova all’interno del Complesso del Vittoriano di Piazza Venezia a Roma. “Dalle prime emissioni del periodo preunitario fino alla definitiva uscita di scenda della nostra moneta nazionale. Monete rare, banconote e pezzi rari si intrecciano con immagini che riportano in vita il nostro passato”.

    

Tra il materiale esposto, non poteva mancare lo Scudo dell’Unità: così vennero chiamate le 5 Lire in argento coniate per la proclamazione di Vittorio Emanuele II come Re d’Italia, il 17 marzo 1861. Al dritto il profilo del Re Galantuomo, con il baffo arricciato. Al rovescio lo stemma crociato e coronato dei Savoia, sulla scritta “Firenze marzo 1861”. Ma ancora più emozionanti sono le 40 lire in oro coniate dal Governo Provvisorio della Lombardia nel 1848 dopo le Cinque Giornate di Milano. Sul dritto, l’Italia turrita un secolo dopo divenuta emblema della Repubblica, che indica lo slogan neoguelfo: “Italia libera Dio lo vuole”. Un’Italia “Aratrice” in topless neoclassico e con spighe di grano stava invece sul rovescio di quelle 100 lire del 1912 che hanno sul dritto il busto di Vittorio Emanuele III in uniforme. Ci ricordano i tempi in cui con 100 lire gli emigranti ci andavano in America, ma anche quel triennio 1903-06 in cui durante il terzo ministero Giolitti la lira fece aggio sull’oro. Tanto cioè la nostra economia e il nostro sistema paese tiravano, che per l’eccesso di domanda la moneta valeva più dell’oro in essa contenuto. Miseria e nobiltà.

   

L’anno prima l’emissione dell’Aratrice, peraltro, l’Italia aveva celebrato i cinquant’anni dalla sua Unità con l’inaugurazione dello stesso Vittoriano. E nel 1912 si era conclusa in Libia la prima delle cinque guerre che avrebbero dato a Vittorio Emanuele III quel nomignolo “Re Soldato” evocato appunto dall’uniforme. Contestato e contestabile per molte cose, Vittorio Emanuele III fu comunque un grande numismatico, che ha lasciato all’Italia un’importantissima collezione. Autore di un “Corpus Nummorum Italicorum” in venti volumi che è tuttora il più importante catalogo esistente sulla monetazione in Italia dal Medio Evo in poi, fu lui a volere che l’Italia realizzasse tutte le sue monete da sola, ed a curare anche la qualità del prodotto. Si veda a esempio anche la lira del 1915, con l’Italia in piedi su una quadriga briosa. Quasi una metafora dell’Italia trascinata nella Grande Guerra dalla buriana interventista.

  

La storia del Re Numismatico e del suo impegno per emissioni di alti valore artistico è ben raccontata nella nuova sede del Museo della Zecca di Roma che in Via Salaria 712 è stata inaugurata il 25 ottobre del 2016, e che il Foglio ha già raccontato. Questa Mostra vi si ricollega chiaramente, con ovviamente un impianto espositivo un po’ minore, dal momento che al Museo del Risorgimento non è possibile riprodurre il percorso di archeologia industriale del Museo della Zecca. In compenso il repertorio è anche più variato, visto che vi confluisce materiale proveniente anche dal Medagliere del Museo Nazionale Romano, dalla Banca d’Italia e dalla collezione privata di Luca Einaudi. È quest’ultima, ad esempio, la fonte delle monete del periodo napoleonico e pre-unitario.  Come ricorda la Curatrice della Mostra  Silvana Balbi de Caro, responsabile scientifica del Museo della Zecca, quella della lira è “un’avventura che ha avuto inizio sulle rive della Senna sul finire del Settecento quando la Francia rivoluzionaria, dopo aver adottato un sistema unico di pesi e misure, ha creato il ‘franco germinale’ dalla cui costola è nata la nostra lira, una moneta che, sebbene spodestata dalle terre italiane negli anni della Restaurazione, sarebbe rinata con maggiore vigore dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861”.

   

Come ricorda il Coordinatore scientifico dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano Giuseppe Monsagrati in un altro degli interventi di presentazione della Mostra, “la decisione di adottare la lira piemontese come moneta unica del futuro Regno d’Italia fu presa al termine di una riunione segreta che il 28 settembre 1859 ebbe luogo a Loiano, piccola località dell’Appennino bolognese, ed ebbe come protagonisti alcuni tra i maggiori esponenti della classe politica originaria delle regioni dell’Italia centrale allora in fase di unificazione al Regno di Sardegna (tra gli altri, tre prossimi presidenti del Consiglio: Ricasoli, L.C. Farini e Minghetti)”. Dopo le monete pre-unitarie, le monete del Risorgimento e la lira nell’Italia Unita il percorso espositivo arriva ad un momento di particolare interesse nel settore dedicato all’Unione Monetaria Latina. Una sorta di “euro” ante-litteram che durò dal 1865 al 1926, e che ebbe anch’esso l’Italia tra i fondatori, assieme a Francia, Belgio e Svizzera. I membri adottavano un sistema bimetallico con un rapporto fisso di valore tra oro e argento articolato in 10 tagli: 5 di oro e 5 di argento. I nomi erano diversi, ma avendo tutti peso e valore facciale identici poterono circolare liberamente negli stati membri, fino a quando i postumi della Prima Guerra Mondiale non imposero un po’ dappertutto le banconote, lasciando alle monete un ruolo residuale. Anche i pezzi qui esposti vengono dalla collezione Einaudi.

   

Dopo la rinascita artistica della lira con Vittorio Emanuele III, viene lo spazio sulla moneta “propagandistica” nell’era del fascismo, e quello sulle monete e banconote diverse dalla lira che l’Italia realizzò per i territori di oltremare. Talleri per l’Africa Orientale, rupie per la Somalia, lek per l’Albania. Dopo l’iperinflazione delle Am-Lire durante la Seconda Guerra Mondiale, si arriva alle monete della Repubblica Italiana. Ad esempio, le 10 lire del 1946: un ulivo sul rovescio; Pegaso che spicca il volo come simbolo di libertà sul dritto. O le famose 50 lire del 1969, con Vulcano che martella sull’incudine. Ma grazie alla Banca d’Italia ci sono anche le banconote: ad esempio, le 1000 lire del 1947. A sinistra l’Italia ornate di perle, al centro la testa di Medusa, e la firma di Luigi Einaudi.

  

Da ricordare anche la moneta da 500 lire del 1958, con le tre caravelle di Cristoforo Colombo che veleggiano. Sembra il simbolo dell’Italia che inizia il suo miracolo economico, e della stessa lira che l’anno dopo avrà l’Oscar della moneta più stabile assegnato dal Financial Times. Nel frattempo era però iniziato quel progresso di integrazione europea, che avrebbe portato alla nascita dell’euro.  Fu a partire dal primo gennaio 2002 che l’euro entrò ufficialmente nelle tasche degli italiani. Poco più di un anno dopo, il 1° marzo 2003, alla Piazza Cavour di Rieti, città geograficamente al centro d’Italia, veniva inaugurato il Monumento della lira. Realizzato utilizzando 2.200.000 monete da 200 lire ritirate nel frattempo dalla circolazione.