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Motivi, non solo personali, per ricordare Tabucchi per quel che era

Giuliano Ferrara

A cinque anni dalla morte un ricordo dello scrittore nobélisable e resistente, talvolta anche al buonsenso

Le persone combattive o colleriche non meritano celebrazioni pacificanti e banali. Parlate male di me anche dopo che sarò morto, ve ne prego. Quanto ad Antonio Tabucchi, a cinque anni dalla morte, ho letto cose giustamente edificanti, piene di cura e amore, stupite di costante ammirazione, che mi hanno perfino fatto venire voglia di leggere i suoi libri (da me trascurati, ma piacevano a mia madre). Pare che il celebre romanzo “Sostiene Pereira” sia una storia di formazione a parti invertite, in cui è un giovane a dare senso alla vita di un vecchio. E questo mi incuriosisce.

 

Con Tabucchi ebbi anche un cosiddetto fatto personale, anzi più di uno. Pubblicista berlusconiano, entrai nel suo mirino. Mi accusò di tutto sull’Unità di Colombo e Padellaro, tra l’altro di essere implicato nel golpe cileno contro Allende e di avere qualcosa a che fare con varie stragi italiane. Io consideravo con degnazione simili inverisimiglianze, ma reagii. Un pomeriggio mi chiama un amico del Monde e mi avverte: c’è un pezzo di Tabucchi che ti accusa di avere lanciato una fatwa contro di lui e dice di te qualunque cosa, uscirà domani sul Monde nella solita edizione pomeridiana dell’una del pomeriggio. Mi faccio mandare il pezzo via fax, trasecolo e traduco (con fair play, nel corso di un lungo processo che ne è seguito, Tabucchi riconobbe che la traduzione era perfetta). La mattina dopo nel Foglio pubblico il pezzo di Tabucchi con una mia replica. Non era vero niente, e il particolare inaccurato che ricordo parlava di me come di uno che si era “laureato a Mosca ai tempi di Breznev”. Non mi sono mai laureato. Ho vissuto a Mosca dai sei ai nove anni, prestino per una eventuale laurea nonché per un semplice diploma. Ed erano i tempi di Nikita Kruscev, Leonid Breznev era di là da venire. E’ solo un esempio, ma potrei farne altri. Venne giù il mondo, anzi il Monde. Come si permette un giornale italiano di pubblicare a tradimento, prima che esca sull’edizione royale del grande giornale parigino, un pezzo tradotto di Antonio Tabucchi, con replica? Lo scrittore e il giornale mi fecero causa per violazione dei diritti d’autore, quanto alle cose diffamanti e false scritte nel pezzo dovetti aspettare mesi per avere un minimo e seminascosto diritto di replica. Alla fine il Monde si ritirò dalla causa evidentemente bislacca, ma Tabucchi insistette. In tribunale a Parigi fui oggetto di interrogatorio da parte dei giudici e mi divertii molto, e loro con me, quando l’avvocato dello scrittore disse, in stile franco-français e con un accento di irritazione e alterigia, che Tabucchi era un nobélisable, uno passibile di premio Nobel, e attaccarlo o difendersi dai suoi attacchi era sacrilego. Io spiegai che era una contesa in italiano, su un giornale italiano e su temi arcitaliani, per diritto di replica con pubblicazione documentale del pezzo oggetto della replica, e che ne andava della mia reputazione, alla quale peraltro tenevo meno, essendo già pessima, che a un brillante sberleffo verso l’autore del pezzo e il giornale che incautamente lo aveva ospitato in prima pagina. I giudici risero, ma mi condannarono, perché in Francia la legge protettiva del diritto d’autore è severa, rigorosa, e per via del web la faccenda aveva valicato i confini di lingua e territorio italiano, ragion per cui si consideravano competenti in giudizio. Il colmo del surreale si raggiunse quando spiegai che da quindici anni pubblicavo un’edizione del lunedì del quotidiano il Foglio, tutta fatta di pezzi ripubblicati da altri giornali di cui i ripubblicati e i loro editori erano più che soddisfatti (tanto per illustrare certe differenze nel formalismo o informalismo giuridico e culturale tra Italia e Francia, a mia difesa). Fui prima condannato e alla fine assolto.

 

Piccola soddisfazione e breve, perché poi Tabucchi morì e fui privato della compagnia stralunata di un illustre diffamatore da indignazione. Che fu incarnazione di uno spirito collerico e senza scrupoli oggi in parte estinto nello spirito pubblico del paese. In parte.

 

Ecco perché è giusto ricordare, con rispetto non ipocrita per la comunità letteraria e amicale che lo stima e lo piange, per i suoi congiunti, un aspetto caratteriale e molto singolare della milizia pubblica di questo importante scrittore italiano noto nel mondo, mite e resistente, talvolta anche al semplice buonsenso, che la Fondazione Feltrinelli e il suo giornale ultimo, il Fatto quotidiano (in tutti i sensi) oggi celebrano.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.