Ernst Nolte (foto via YouTube)

La morte di Nolte, lo storico scomunicato cui incendiarono pure l'auto

Giulio Meotti
Scomparso a 93 anni in una clinica di Berlino, protagonista della grande disputa degli anni Ottanta, l’“Historikerstreit”, Ernst Nolte era considerato un paria, per il quale si potevano sospendere convegni, bloccare pubblicazioni, o nel caso più blando farlo parlare in pubblico senza stringergli la mano.

Roma. Ogni volta sollevava intorno a sé l’odore sulfureo del pensatore esecrato dalla cultura di sinistra che si è a lungo limitata a chiosare testi sacri, il reazionario scomunicato dalla comunità intellettuale, mentre i suoi libri venivano circondati da censura e silenzio, destino che colpì anche Renzo De Felice quando uscì la sua biografia di Mussolini. Scomparso a 93 anni in una clinica di Berlino, protagonista della grande disputa degli anni Ottanta, l’“Historikerstreit”, Ernst Nolte era considerato un paria, per il quale si potevano sospendere convegni, bloccare pubblicazioni, o nel caso più blando farlo parlare in pubblico senza stringergli la mano. Fu Jürgen Habermas a guidare il fronte della protesta contro Nolte: nessuna tolleranza per chi vuole relativizzare le infamie del nazismo.

 

Accusato di voler storicizzare il nazismo allo scopo di gettarselo una volta per tutte dietro le spalle, Nolte aveva avuto l’ardire, in piena Guerra fredda, di rompere il tabù dell’antifascismo democratico eretto sull’altare della vittoria della Seconda guerra mondiale, la quale, collocando Mosca al fianco delle democrazie, aveva a lungo impedito d’annoverare il comunismo fra i totalitarismi del Ventesimo secolo. Col passare del tempo, la caduta dell’Urss e la dissoluzione del comunismo avrebbero restituito legittimità alle idee di Nolte, senza peraltro risparmiare allo studioso l’ostracismo. Quando in Germania gli hanno assegnato il Premio Adenauer nel 2000, persino il quotidiano conservatore Die Welt parlò di “uno scandalo se questo premio dovesse significare una benedizione delle sue tesi”. Una certa cultura egemone ha cercato di arruolare Nolte fra i “negazionisti”, ma lui non ha mai negato i crimini, né ha mai tentato di leggerli come costruzione propagandistica degli avversari. Diceva invece che era impossibile capire Hitler senza Stalin, i lager senza i gulag, che c’era stata una “guerra civile europea” come scontro fra due totalitarismi, comunista e nazista, che il secondo non era un male assoluto. Nolte nutriva una passione divisiva, che lo avrebbe portato a formulare tesi sinistre e poco condivisibili, come la globalizzazione come “nuovo totalitarismo”, l’accostamento fra Israele e il Terzo Reich durante una lectio al Senato italiano e l’idea che al capitalismo era preferibile persino l’islam. Nolte è stato l’accademico più ostracizzato d’Europa. Una sua intervista televisiva gli costò la fine della collaborazione con le pagine culturali della Frankfurter Allgemeine Zeitung.

 

Qualche anno dopo, Nolte e un gruppo di studenti cattolici che l’avevano invitato a tenere una conferenza furono attaccati e teppisti cercarono di sfigurare Nolte con un lancio di liquido corrosivo sul volto a Friedrichshain, un quartiere della ex Berlino est. Una “punizione” per aver calunniato la “lotta del popolo russo per la libertà” o, più in generale, perché i suoi persecutori lo ritenevano pari pari un “nazista”. Soltanto gli occhiali hanno evitato a Nolte la perdita della vista. Nolte si è visto disdire inviti in tante università europee e nel 1994 la Fondazione “Classici di Weimar” ha dovuto annullare un convegno su “Ebraismo e Nietzsche”, dopo che cinque noti storici si sono rifiutati di partecipare a una discussione alla quale fosse presente anche il professor Nolte. Subì persino un attentato: estremisti di sinistra nel 1988 gli fecero saltare in aria l’auto in una strada di Berlino fuori dall’università.

 

Ma forse peggio dell’aggressione fisica fu la tranquillizzante abitudine a non parlarne. I libri di Nolte potevano uscire senza che nessuna censura poliziesca glielo impedisse. Bastava fargli il vuoto attorno.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.