
Mamme e papà scrivono, Annalena risponde
Dubbi e racconti di genitori alle prese con i loro figli. Ecco alcune delle numerose lettere che arrivano in redazione. Non perdete le prossime puntate.
La lettera. Ama le tue imperferzioni, mostreranno il loro lato migliore quando i tuoi figli saranno cresciuti.
Martedì 7 giugno 2016
Buongiorno Annalena, seguo con affetto i tuoi percorsi materni. Mi riconosco in molto, qualcosa forse ho dimenticato e mi fa sorridere di tenerezza nel leggere le tue riflessioni.
Sono stata, e forse ancora sono, una madre imperfetta. Lo misi a dormire nella sua cameretta del primo giorno, lo feci uscire il secondo, lo tenni in braccio il più possibile, quando era necessario lo misi nel box. Lavoravo, e arrivavo trafelata alle recite all'asilo e poi a scuola. All'asilo scelsi come destinazione per la gita Collodi, visto che avevano lavorato su Pinocchio per tutto l'anno scolastico. Vinsero le altre. Andammo a Gardaland. Per noi fu la prima volta. E l'ultima. Gli altri bambini portavano a scuola merendine e Ferrero Rocher. Io gli davo i crackers non salati, e lui la chiamava "la mia merenda Garrona (cit. Cuore)". Ad un certo punto assecondai le sue richieste. Poi lo trovai un giorno che si contava le pieghe di grasso sulla pancia. Tornò ai crackers di sua volontà. Detestavo la pizza di fine anno scolastico: i bambini impazziti e urlanti per tutta la sala e le mamme in voile e pochet. Si travestiva in casa, non gli comprai un costume per il carnevale finché non andò alla materna e un anno fui costretta a travestirmi da gnoma per la siflata. Con i Rayban, perché mi vergognavo. Non lo portavo mai a fare sport, le mamme conoscevano la nonna. Ogni tanto mi diceva: ti dispiace se chiamo mamma la nonna? Comunque li provò tutti, alla fine scelse il calcio e la domenica mi caricavo la macchina di bambini come sono soliti fare i padri. Giocavo con lui a pallone, e quando crebbe lo portai allo stadio. Al parco mi isolavo a leggere, per stare insieme alle altre e tentare di partecipare ai discorsi ricamavo. Non lo lasciavo gettare le pietre nella fontana, di me diceva " mia mamma è severa, nella scuola e nella vita". Poi è cresciuto e sono diventata Adolfa.
Ora sono diversa. Il tempo è passato, il più è stato fatto. Conforto più che rimproverare. Goditi questo tempo. Ama le tue imperfezioni. Mostreranno il loro lato migliore quando i tuoi figli saranno cresciuti. Troveranno una strada che non sarà la tua, ma non sarà neppure quella degli altri. E ti sorriderai. Come ora io faccio con te.
Con affetto
Cinzia Robbiano
p.s. per me sei sempre la più brava
Sono stata, e forse ancora sono, una madre imperfetta. Lo misi a dormire nella sua cameretta del primo giorno, lo feci uscire il secondo, lo tenni in braccio il più possibile, quando era necessario lo misi nel box. Lavoravo, e arrivavo trafelata alle recite all'asilo e poi a scuola. All'asilo scelsi come destinazione per la gita Collodi, visto che avevano lavorato su Pinocchio per tutto l'anno scolastico. Vinsero le altre. Andammo a Gardaland. Per noi fu la prima volta. E l'ultima. Gli altri bambini portavano a scuola merendine e Ferrero Rocher. Io gli davo i crackers non salati, e lui la chiamava "la mia merenda Garrona (cit. Cuore)". Ad un certo punto assecondai le sue richieste. Poi lo trovai un giorno che si contava le pieghe di grasso sulla pancia. Tornò ai crackers di sua volontà. Detestavo la pizza di fine anno scolastico: i bambini impazziti e urlanti per tutta la sala e le mamme in voile e pochet. Si travestiva in casa, non gli comprai un costume per il carnevale finché non andò alla materna e un anno fui costretta a travestirmi da gnoma per la siflata. Con i Rayban, perché mi vergognavo. Non lo portavo mai a fare sport, le mamme conoscevano la nonna. Ogni tanto mi diceva: ti dispiace se chiamo mamma la nonna? Comunque li provò tutti, alla fine scelse il calcio e la domenica mi caricavo la macchina di bambini come sono soliti fare i padri. Giocavo con lui a pallone, e quando crebbe lo portai allo stadio. Al parco mi isolavo a leggere, per stare insieme alle altre e tentare di partecipare ai discorsi ricamavo. Non lo lasciavo gettare le pietre nella fontana, di me diceva " mia mamma è severa, nella scuola e nella vita". Poi è cresciuto e sono diventata Adolfa.
Ora sono diversa. Il tempo è passato, il più è stato fatto. Conforto più che rimproverare. Goditi questo tempo. Ama le tue imperfezioni. Mostreranno il loro lato migliore quando i tuoi figli saranno cresciuti. Troveranno una strada che non sarà la tua, ma non sarà neppure quella degli altri. E ti sorriderai. Come ora io faccio con te.
Con affetto
Cinzia Robbiano
p.s. per me sei sempre la più brava
La lettera. Mamma, mi disegni come ha fatto Massimo ad uscire dalla tua pancia?
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena, A gennaio è nato il mio terzo figlio, Massimo. Qualche giorno dopo essere tornata a casa, Michele, affettuoso fratello maggiore di quasi 5 anni, mi chiede: "mamma, mi disegni come ha fatto Massimo ad uscire dalla tua pancia?". Io credo di essere sbiancata e di aver cominciato a prender tempo dicendogli che gli avrei fatto vedere delle belle figure su un libro. Allora lui mi ha risposto:" va bene, faccio io". E così e nato questo disegno in cui si vede Massimo che dalla pancia (l'ovale in alto a destra) attraversa un lungo tunnel fino ad usçire per entrare nella culla (in basso al centro). Poi è arrivata la sorellina Giuditta (3 anni) che è una vera fan della famiglia (nei suoi giochi - che siano bambole o soldatini odraghi- ci sono sempre mamme, papà e tanti "figlioli", come dice lei) che puntualizza:"ma non hai disegnato noi!!!". E allora Michele ha aggiunto tutta la famiglia, nonni compresi, tutti attorno al lettino di Massimo... meno male che non so disegnare bene!
mamma (non perfetta) Anna
Ps: grazie Annalena x i tuoi articoli!
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mamma (non perfetta) Anna
Ps: grazie Annalena x i tuoi articoli!
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La lettera. Un trucco per entrare nell'olimpo della madre perfetta
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
il suo meraviglioso articolo riguardante le madri perfette ha guadagnato la porta del frigorifero della mia cucina. Posto d’onore, tra le foto del primo giorno di scuola, gli orari delle udienze della scuola media, il calendario scolastico, i granuli omeopatici prescritti al cane dal veterinario e un disegno di mia figlia di 10 anni che mi raffigura in versione “mamma samurai” armata di sciabola e con lo sguardo indemoniato che mi viene quando devo ripetere per la trentottesima volta 365/365 di lavarsi i denti dopo i pasti e di iniziare i compiti…
Le volevo suggerire un modo per aspirare alla perfezione, la preparazione del pane fatto in casa (è consentito l’uso dell’impastatrice) utilizzando il lievito madre: con questo entrerà definitivamente nell’olimpo della madre perfetta!
I miei saluti
Elena Darosi
il suo meraviglioso articolo riguardante le madri perfette ha guadagnato la porta del frigorifero della mia cucina. Posto d’onore, tra le foto del primo giorno di scuola, gli orari delle udienze della scuola media, il calendario scolastico, i granuli omeopatici prescritti al cane dal veterinario e un disegno di mia figlia di 10 anni che mi raffigura in versione “mamma samurai” armata di sciabola e con lo sguardo indemoniato che mi viene quando devo ripetere per la trentottesima volta 365/365 di lavarsi i denti dopo i pasti e di iniziare i compiti…
Le volevo suggerire un modo per aspirare alla perfezione, la preparazione del pane fatto in casa (è consentito l’uso dell’impastatrice) utilizzando il lievito madre: con questo entrerà definitivamente nell’olimpo della madre perfetta!
I miei saluti
Elena Darosi
La lettera. Vorrei fare la mamma a tempo pieno
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
Quando mi chiedono cosa faccio nella vita rispondo la mamma, ma è una mezza verità, vorrei fare la mamma a tempo pieno, invece lavoro a tempo pieno, purtroppo ho un socio al 70% che non mi permette di respirare , mentre lui passa la maggior parte del tempo giocare a scacchi. Lo stato non perdona è il peggiore socio che esista. E nonostante il dovere il tempo che vorrei passare con i miei figli non me lo lascio rovinare. Poco ma spero pieno. Intenso. Per questo ho approfittato di questi giorni per andare fuori città con loro al mare. Albergo con piscina, la passione per il nuoto del mio quartogenito non va sottovalutata. Lui è uno sportivo. Io manco dal lavoro un giorno, loro da scuola un giorno, il dovere prima di tutto, eppure ogni tanto bisogna rilassarsi insieme, progettare, discutere e ridere. Il dovere poi è più facile, meno faticoso. Perché i figli ti ricaricano, aiutano a guardare avanti, non sono loro che danno un senso alla vita, la vita è significata dal progetto di Dio e dal sostegno di Gesù Cristo, ma lo completano. Non sono favole. È faticoso stare con i figli, mica sono marionette, forse un po' ricotta nelle fuscelle, diceva mia nonna. La fuscella in dialetto è il cestino dove si mette la ricotta. Loro pestano i piedi, piangono, giocano, saltano, e sono tremendamente testardi. Conoscono i tuoi punti deboli. Vuoi ottenere qualcosa che ritieni un bene supremo per loro? Autorità, eh si, la temuta parola autorità è indispensabile. Non genera schiavitu o cieca sottomissione, ma esercitata con amore aiuta la formazione della spina dorsale. Quanto è faticosa l'obbedienza, eppure quanto salva dagli errori irreparabili. Figuriamoci che per disobbedire abbiamo 24 ore, ma ogni tanto fare questa esperienza rende forti. Mia figlia di 22 anni ce lo ha detto. Quattro giorni per ricordare che ci siamo anche quando non ci siamo. A me ha fatto bene, chissà a loro, ai posteri l'ardua sentenza... Entrando in sala pranzo la prima volta io e i due maschietti qualcuno ci ha notati. Un bambino di quattro anni, figlio unico di padre, madre e nonna. "Mamma ma dove è il loro papà?” Io, coraggiosamente: “ora scende, noi siamo scesi prima, perché due maschietti in 25mq se cominciano a discutere diventano rumorosi e il papà diventa poco paziente" "Mamma anche io voglio un fratellino, il cane no, il cane non gioca a pallone" ( la sua mamma quando ha contato 5 figli poco poco e sveniva!) Chi l'ha detto che i figli non diano sagge lezioni di vita? Fate i figli, dimenticatevi di voi perché loro sono voi all'ennesima potenza più altro...e io non mi anniento.
Maria Elena Mataloni
Quando mi chiedono cosa faccio nella vita rispondo la mamma, ma è una mezza verità, vorrei fare la mamma a tempo pieno, invece lavoro a tempo pieno, purtroppo ho un socio al 70% che non mi permette di respirare , mentre lui passa la maggior parte del tempo giocare a scacchi. Lo stato non perdona è il peggiore socio che esista. E nonostante il dovere il tempo che vorrei passare con i miei figli non me lo lascio rovinare. Poco ma spero pieno. Intenso. Per questo ho approfittato di questi giorni per andare fuori città con loro al mare. Albergo con piscina, la passione per il nuoto del mio quartogenito non va sottovalutata. Lui è uno sportivo. Io manco dal lavoro un giorno, loro da scuola un giorno, il dovere prima di tutto, eppure ogni tanto bisogna rilassarsi insieme, progettare, discutere e ridere. Il dovere poi è più facile, meno faticoso. Perché i figli ti ricaricano, aiutano a guardare avanti, non sono loro che danno un senso alla vita, la vita è significata dal progetto di Dio e dal sostegno di Gesù Cristo, ma lo completano. Non sono favole. È faticoso stare con i figli, mica sono marionette, forse un po' ricotta nelle fuscelle, diceva mia nonna. La fuscella in dialetto è il cestino dove si mette la ricotta. Loro pestano i piedi, piangono, giocano, saltano, e sono tremendamente testardi. Conoscono i tuoi punti deboli. Vuoi ottenere qualcosa che ritieni un bene supremo per loro? Autorità, eh si, la temuta parola autorità è indispensabile. Non genera schiavitu o cieca sottomissione, ma esercitata con amore aiuta la formazione della spina dorsale. Quanto è faticosa l'obbedienza, eppure quanto salva dagli errori irreparabili. Figuriamoci che per disobbedire abbiamo 24 ore, ma ogni tanto fare questa esperienza rende forti. Mia figlia di 22 anni ce lo ha detto. Quattro giorni per ricordare che ci siamo anche quando non ci siamo. A me ha fatto bene, chissà a loro, ai posteri l'ardua sentenza... Entrando in sala pranzo la prima volta io e i due maschietti qualcuno ci ha notati. Un bambino di quattro anni, figlio unico di padre, madre e nonna. "Mamma ma dove è il loro papà?” Io, coraggiosamente: “ora scende, noi siamo scesi prima, perché due maschietti in 25mq se cominciano a discutere diventano rumorosi e il papà diventa poco paziente" "Mamma anche io voglio un fratellino, il cane no, il cane non gioca a pallone" ( la sua mamma quando ha contato 5 figli poco poco e sveniva!) Chi l'ha detto che i figli non diano sagge lezioni di vita? Fate i figli, dimenticatevi di voi perché loro sono voi all'ennesima potenza più altro...e io non mi anniento.
Maria Elena Mataloni
La lettera. Riccardo, una bottiglia di vodka e una notte drammatica
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
ho una storia da condividere con altri genitori. Ad essa aggiungerei il titolo “L’amore in bottiglia”.
Cordiali saluti.
Antonio Cianfarini
Riccardo è un anno avanti a scuola e a settembre ha iniziato il secondo liceo. È un ragazzo bello, molto sveglio, bravo nello studio e nello sport. Ma già prima di dicembre i genitori hanno notato qualche cambiamento nel suo carattere. La loro preoccupazione principale è che il figlio resti lontano dal fumo delle sigarette e soprattutto delle canne. Riccardo esce con i suoi amici qualche sera a settimana e le mattine successive, mentre lui è in bagno, i suoi genitori come due segugi impazienti s’intrufolano nella sua cameretta alla ricerca di introvabili odori sui vestiti e nei cassetti. E scappano via appena il rumore dello sciacquone li avverte del ritorno: è una di quelle strane alleanze che nascono quando gli adulti perdono sicurezza in loro stessi. Nonostante gli sforzi, le incomprensioni con il figlio sono diventate inevitabili. Se i genitori gli fanno domande sia dirette sia nascoste in un sistema di scatole cinesi ottengono sempre silenzi imbarazzanti. Ma, si sa, l’adolescenza è fatta apposta per tenere impegnati i genitori nella costruzione di abili stratagemmi al fine di oltrepassare le barriere innalzate dal figlio musone: una fatica perfettamente inutile. Comunque, a dicembre con la scuola chiusa Riccardo ha un po’ di libertà in più, grazie anche alla macchinetta che usa al posto del motorino e che fa sentire più tranquilli i suoi genitori soprattutto la notte; e poi c’è WhatsApp sul cellulare a compensare con discrezione la carenza da infomobilità. Così, grazie a questi benefit amorevoli, Riccardo ha il permesso di stare fuori fino all’una, che possono diventare le due o le tre nel caso di una festa in discoteca. Ma è un equilibrio di superficie che non dura molto. In una di queste notti, dove il freddo è addolcito dalle festività del Natale, il flusso delle informazioni si interrompe all’una e trenta e alle due Riccardo non torna a casa come promesso. Il sistema protettivo che blinda la sicurezza del figlio e la tranquillità dei genitori va in blocco. I due si rivestono con precipitazione e si mettono in macchina. Dopo circa mezz'ora di ricerche con varie telefonate fatte a tutti quelli che potrebbero avere informazioni utili, vengono a sapere che è stato visto andar via da solo in macchinetta. Poi squilla il telefono della madre. La voce dall’altra parte è disturbata dal suono delle sirene, ma le parole figlio, incidente e ospedale superano ogni ostacolo e scendono nell’orecchio della donna. L’ospedale non è lontano, ma il padre di Riccardo è abituato a fare una strada secondaria che conoscono in pochi. Dopo una curva vedono una macchinetta frantumata contro un muro e due macchine della polizia. L’unico pezzo integro è lo sportello posteriore appoggiato ad un lampione. Sopra c’è scritto Riccardo con i colori della Roma. La scena è sicuramente drammatica, ma a volte le immagini della vita ci arrivano con una sequenza sbagliata. Infatti, in ospedale il medico che li accompagna non si dimostra molto preoccupato e parla di lavanda gastrica, di analisi del sangue e delle urine. I nervi dei genitori di Riccardo sono tesi al massimo, preparati a ricevere quasi senza speranza ben altre parole, ci mettono un po’ ad assorbire il non piccolo sfasamento cognitivo e a credere che il figlio è salvo, che ha solo qualche contusione per l’incidente e che è sotto terapia per risolvere il coma etilico. Passerà la notte in ospedale, ma la mattina presto sarà dimesso. I due genitori, recuperata qualche riserva di energia, si guardano intorno e vedono altri papà e mamme nella loro stessa situazione. Un’infermiera si accorge del loro smarrimento e si avvicina con la volontà di confortarli. Ha una sacca di glucosio per la flebo tra le mani e spiega ai due che tutte le notti lì arrivano ragazzine e ragazzini ubriachi, e che quasi sempre il giorno dopo escono con una brutta esperienza da raccontare ma più grandi. Mentre quelli feriti sono i genitori. Nessuno di loro riesce ad accettare che tutto l’amore versato per il figlio sia finito diluito in una bottiglia di vodka.
Antonio Cianfarini
La lettera. Riuscire a trasmettere la passione per la letteratura e l'arte
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
quando ho visto il disegno di mio figlio di 6 anni che aveva fatto per la sua insegnante di italiano mi sono reso conto di essere riuscito a trasmettergli la passione per la lettura e per l'arte, ciò mi ha emozionato e stupito moltissimo. Il rapporto genitori figli è qualcosa di meraviglioso!! Saluti,
Antonello Antonino

quando ho visto il disegno di mio figlio di 6 anni che aveva fatto per la sua insegnante di italiano mi sono reso conto di essere riuscito a trasmettergli la passione per la lettura e per l'arte, ciò mi ha emozionato e stupito moltissimo. Il rapporto genitori figli è qualcosa di meraviglioso!! Saluti,
Antonello Antonino
La lettera. Storia di una figlia ribelle e di un medico intransigente trascritta da un medico
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
complimenti per “il Figlio”. Necessario, come “Il Foglio” d’altronde. Ho avuto la fortuna, ventura, di fare un pezzettino di strada con i genitori di Mario, storia bellissima, seppur molto faticosa (la madre batte il padre, naturalmente). Faccio il medico dei vecchi da più trent’anni; ovviamente la mia vita professionale è fatta di incontri con i figli, prevalentemente con le figlie, protesi, avvocate, voce, interpreti, badanti, ecc. dei genitori. Per una comprensibile pulsione senile circa sei mesi ho iniziato a scrivere storie di alcuni pazienti incontrati, nel tentativo di far sopravvivere episodi destinati a passare senza lasciare traccia, quasi tutte coinvolgono i figli. Gliene mando una.
Grazie ancora.
Renzo Rozzini, Direttore Dipartimento Unità di Cura Sub-Intensiva - Unità di Geriatria per Acuti, Fondazione Poliambulanza – Istituto Ospedaliero, Brescia
La sua adolescenza è stata difficile. Lei ribelle e libera, lui, il padre, intransigente e incapace di tollerarne le esuberanze.
Era la secondogenita, la preferita. In lei forse vedeva i tratti del proprio carattere che in gioventù erano stati piegati dal rigido genitore, e che ora a sua volta combatteva nella figlia. Non riusciva ad accettarne la naturale vivacità. L’avrebbe desiderata come la primogenita, intellettualmente meno brillante, ma rispettosa dello stile famigliare.
Innamorata della musica rock, quando aveva qualche soldo in tasca, andava ai concerti. Il padre che aveva tentato in ogni modo di educarla alla musica colta era convinto che quella musica fosse robaccia, che invitasse al disordine. Un giorno le vide addosso una maglietta con il volto di Jimi Hendrix che, obnubilato dal pregiudizio, scambiò per quello di Che Guevara; gliela sequestrò e non le rivolse la parola per sei mesi. Conseguita la maturità cercò una facoltà che le permettesse di stare lontano da casa. Suo padre ne soffrì. Nella città dove andò incontrò un ragazzo che lei credette essere quello della sua vita. Al padre non piaceva per nulla, lo giudicava un poco di buono, ma lei ne era innamorata e lo volle ugualmente sposare: pochi mesi dopo essere rimasta incinta il marito la lasciò. Orgogliosa e testarda, rifiutò l’offerta di ritornare nella casa di famiglia. Lasciò l’università, trovò un lavoro come impiegata e con pesanti sacrifici, rifiutando qualsiasi aiuto dalla famiglia, fece crescere il figlio. Inanellò altre storie sbagliate.
Ora il padre ha quasi novant’anni. È rimasto vedovo e di lui continua a prendersi cura la figlia “brava”. È questa che gli organizza la casa, che gli fa la spesa, che lo porta ai controlli medici. E’ lei che ha deciso quando cercare e che badante scegliere per lui. Recentemente il padre ha dovuto essere ricoverato in ospedale. Per un paio di giorni le sue condizioni sono state critiche e “la ribelle” è corsa immediatamente al suo capezzale. Ha voluto essere costantemente informata dell’evoluzione della malattia. Avrebbe voluto essere più utile. Il padre si è commosso, l’avrebbe accolta, come una figlio prodigo. Ma lei sa che ormai è tardi, che la sua intromissione servirebbe solo a rompere l’equilibrio necessario per il benessere, fragile, del papà, possibile solo con la presenza pervasiva della sorella “brava”. Non c’è più tempo per creare nuovi legami. Permangono quelli di sangue, ma sebbene fondamentali, ora non sono più sufficienti.
complimenti per “il Figlio”. Necessario, come “Il Foglio” d’altronde. Ho avuto la fortuna, ventura, di fare un pezzettino di strada con i genitori di Mario, storia bellissima, seppur molto faticosa (la madre batte il padre, naturalmente). Faccio il medico dei vecchi da più trent’anni; ovviamente la mia vita professionale è fatta di incontri con i figli, prevalentemente con le figlie, protesi, avvocate, voce, interpreti, badanti, ecc. dei genitori. Per una comprensibile pulsione senile circa sei mesi ho iniziato a scrivere storie di alcuni pazienti incontrati, nel tentativo di far sopravvivere episodi destinati a passare senza lasciare traccia, quasi tutte coinvolgono i figli. Gliene mando una.
Grazie ancora.
Renzo Rozzini, Direttore Dipartimento Unità di Cura Sub-Intensiva - Unità di Geriatria per Acuti, Fondazione Poliambulanza – Istituto Ospedaliero, Brescia
La sua adolescenza è stata difficile. Lei ribelle e libera, lui, il padre, intransigente e incapace di tollerarne le esuberanze.
Era la secondogenita, la preferita. In lei forse vedeva i tratti del proprio carattere che in gioventù erano stati piegati dal rigido genitore, e che ora a sua volta combatteva nella figlia. Non riusciva ad accettarne la naturale vivacità. L’avrebbe desiderata come la primogenita, intellettualmente meno brillante, ma rispettosa dello stile famigliare.
Innamorata della musica rock, quando aveva qualche soldo in tasca, andava ai concerti. Il padre che aveva tentato in ogni modo di educarla alla musica colta era convinto che quella musica fosse robaccia, che invitasse al disordine. Un giorno le vide addosso una maglietta con il volto di Jimi Hendrix che, obnubilato dal pregiudizio, scambiò per quello di Che Guevara; gliela sequestrò e non le rivolse la parola per sei mesi. Conseguita la maturità cercò una facoltà che le permettesse di stare lontano da casa. Suo padre ne soffrì. Nella città dove andò incontrò un ragazzo che lei credette essere quello della sua vita. Al padre non piaceva per nulla, lo giudicava un poco di buono, ma lei ne era innamorata e lo volle ugualmente sposare: pochi mesi dopo essere rimasta incinta il marito la lasciò. Orgogliosa e testarda, rifiutò l’offerta di ritornare nella casa di famiglia. Lasciò l’università, trovò un lavoro come impiegata e con pesanti sacrifici, rifiutando qualsiasi aiuto dalla famiglia, fece crescere il figlio. Inanellò altre storie sbagliate.
Ora il padre ha quasi novant’anni. È rimasto vedovo e di lui continua a prendersi cura la figlia “brava”. È questa che gli organizza la casa, che gli fa la spesa, che lo porta ai controlli medici. E’ lei che ha deciso quando cercare e che badante scegliere per lui. Recentemente il padre ha dovuto essere ricoverato in ospedale. Per un paio di giorni le sue condizioni sono state critiche e “la ribelle” è corsa immediatamente al suo capezzale. Ha voluto essere costantemente informata dell’evoluzione della malattia. Avrebbe voluto essere più utile. Il padre si è commosso, l’avrebbe accolta, come una figlio prodigo. Ma lei sa che ormai è tardi, che la sua intromissione servirebbe solo a rompere l’equilibrio necessario per il benessere, fragile, del papà, possibile solo con la presenza pervasiva della sorella “brava”. Non c’è più tempo per creare nuovi legami. Permangono quelli di sangue, ma sebbene fondamentali, ora non sono più sufficienti.
La lettera. Le regole infrante della madre inflessibile e il pianto dell'asilo
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
Io non sarei stata una madre come tutte le altre. Io non avrei mai e poi mai fatto dormire mio figlio nel mio letto. Sarei stata inflessibile. Ecco la prima regola che mi sono data e che ho allegramente violato e l'ho fatto senza troppo pensarci, senza far caso a certe madri tedesche che hanno il figlio che dorme nella sua cameretta da un mese di età, e senza sentirmi un fallimento di madre. Mio figlio ogni notte compie la sua migrazione dalla sua stanza alla nostra e nessuno ci fa caso.
Seconda regola: non ti sentirai mai in colpa se piange quando va all'asilo. Infranta anche quella. Come sopra.
Terza regola: non porterò l'Ipad al ristorante. Abolita ancor prima di essere infranta. E anche stavolta, senza un briciolo di senso di colpa di madre, senza sentirmi spaventosamente inefficiente.
Però. Il pianto dell'asilo. Il fatto è che lui ha continuato a frignare ogni santa mattina per tutto il primo anno di materna, a meno che non ci fossero attività che lo convincevano a entrare, tipo la gita alla fattoria. Insomma tutte le mattine si comportava come se vedesse la sua mamma per l'ultima volta. Sappiamo che quando ero in fondo al corridoio di solito aveva già smesso e quindi ero tranquilla esattamente come quando infrangevo le mie regole. No, sbagliato. Non ero tranquilla affatto. Non lo ero perché mi sono accorta che era l'unico bambino frignante all'entrata. Per un po' me ne son fatta forzatamente un punto di orgoglio (il ragazzo si distingue dalla massa, è particolare, mi raccontavo, chissà se lo dirò quando picchierà la macchina di suo padre per la terza volta), poi ho cominciato a notare gli sguardi delle altre mamme. Ma piange ancora, qualcuno mi ha detto? Eppure sono mesi. Solo una coraggiosissima mamma, in questi mesi di pianti mattutini, ha ammesso che ci era passata, una durata di pianti infinita, fino al secondo anno di materna. Per il resto erano sguardi compassionevoli e che tentavano in qualche modo un'empatia che io non potevo comprendere, perché ero troppo impegnata a vederci qualcosa di storto. Allora ho capito. Quando io infrango le regole e me ne infischio se non sono una madre tigre, va tutto bene, quando invece ci si mette lui a farsi le sue di regole, in barba alle consuetudini normali, allora faccio come tutti gli altri. Insomma, tre anni appena e mi son resa conto che avevo già l'ansia da prestazione, che mi guardavo attorno per vedere se qualcun altro piangeva. Poi, alla fine, è accaduto. Una mattina ho lasciato mio figlio sulla porta dell'aula e lì fuori c'era un suo compagno in lacrime, in preda a una specie di bizza. Ho replicato lo sguardo che mi veniva indirizzato, però devo dirlo, senza malizia. Ma ho tirato un sospiro di sollievo. Come tutti gli altri.
Lisa
Io non sarei stata una madre come tutte le altre. Io non avrei mai e poi mai fatto dormire mio figlio nel mio letto. Sarei stata inflessibile. Ecco la prima regola che mi sono data e che ho allegramente violato e l'ho fatto senza troppo pensarci, senza far caso a certe madri tedesche che hanno il figlio che dorme nella sua cameretta da un mese di età, e senza sentirmi un fallimento di madre. Mio figlio ogni notte compie la sua migrazione dalla sua stanza alla nostra e nessuno ci fa caso.
Seconda regola: non ti sentirai mai in colpa se piange quando va all'asilo. Infranta anche quella. Come sopra.
Terza regola: non porterò l'Ipad al ristorante. Abolita ancor prima di essere infranta. E anche stavolta, senza un briciolo di senso di colpa di madre, senza sentirmi spaventosamente inefficiente.
Però. Il pianto dell'asilo. Il fatto è che lui ha continuato a frignare ogni santa mattina per tutto il primo anno di materna, a meno che non ci fossero attività che lo convincevano a entrare, tipo la gita alla fattoria. Insomma tutte le mattine si comportava come se vedesse la sua mamma per l'ultima volta. Sappiamo che quando ero in fondo al corridoio di solito aveva già smesso e quindi ero tranquilla esattamente come quando infrangevo le mie regole. No, sbagliato. Non ero tranquilla affatto. Non lo ero perché mi sono accorta che era l'unico bambino frignante all'entrata. Per un po' me ne son fatta forzatamente un punto di orgoglio (il ragazzo si distingue dalla massa, è particolare, mi raccontavo, chissà se lo dirò quando picchierà la macchina di suo padre per la terza volta), poi ho cominciato a notare gli sguardi delle altre mamme. Ma piange ancora, qualcuno mi ha detto? Eppure sono mesi. Solo una coraggiosissima mamma, in questi mesi di pianti mattutini, ha ammesso che ci era passata, una durata di pianti infinita, fino al secondo anno di materna. Per il resto erano sguardi compassionevoli e che tentavano in qualche modo un'empatia che io non potevo comprendere, perché ero troppo impegnata a vederci qualcosa di storto. Allora ho capito. Quando io infrango le regole e me ne infischio se non sono una madre tigre, va tutto bene, quando invece ci si mette lui a farsi le sue di regole, in barba alle consuetudini normali, allora faccio come tutti gli altri. Insomma, tre anni appena e mi son resa conto che avevo già l'ansia da prestazione, che mi guardavo attorno per vedere se qualcun altro piangeva. Poi, alla fine, è accaduto. Una mattina ho lasciato mio figlio sulla porta dell'aula e lì fuori c'era un suo compagno in lacrime, in preda a una specie di bizza. Ho replicato lo sguardo che mi veniva indirizzato, però devo dirlo, senza malizia. Ma ho tirato un sospiro di sollievo. Come tutti gli altri.
Lisa
La lettera. Le giornate in spiaggia e la vita prima della maternità
Martedì 7 giugno 2016
Cara Annalena,
“Esci dall’acqua!”. “Avvicinati a riva!”.”Non toglierti i braccioli!”. Com’è che fino a ieri ero io quella ragazza distesa al sole unta di olio Johnson e oggi sono questa? Questa che urla, con gli occhi stroboscopici perché una figlia è di qua e l’altra – puntualmente – di là.
Lei, l’altra me, la signorina distesa sul lettino, è nella stessa posizione da ore, beata lei. Nel frattempo io sono già entrata e uscita dal mare rincorrendo le mie figlie tre volte. Abbiamo fatto merenda, cambiato il costume, tentato un castello di sabbia, dibattuto e chiarito che mangiare due gelati al giorno non è opportuno e lei ancora lì immobile, sensibile solo al bip dei messaggi del telefonino. Com’era rilassarsi al sole? E chi se lo ricorda. E prepararsi per uscire non prima di mezzanotte, non avere sonno fino all’alba e poi svegliarsi al tramonto? Nella mia vita precedente erano cose normali, d’estate, e di solito ci ripenso sorridendo e senza malinconia. Ma oggi, sarà la stanchezza o saranno i quarant’anni, vorrei schioccare le dita ed essere di nuovo io quella senza orari e senza responsabilità. Solo per un giorno. Con pensieri liberi e disinibiti, che so.. dove vado stasera, che mi metto, mi lascerà i segni dell’abbronzatura questo costume. “Mamma, posso nuotare senza braccioli? Eh mamma? Posso togliermeli i braccioli?”. E va bene. No, non dico per i braccioli. Va bene così, che ogni pezzo della vita ha le sue gioie e non sono interscambiabili, non si possono barattare. Oggi non avrebbe quello stesso sapore, semplicemente perché non sono più quella ragazza distesa al sole. E a pensarci bene, fa veramente troppo caldo per friggere nell’olio Johnson.
Benedetta Caira
“Esci dall’acqua!”. “Avvicinati a riva!”.”Non toglierti i braccioli!”. Com’è che fino a ieri ero io quella ragazza distesa al sole unta di olio Johnson e oggi sono questa? Questa che urla, con gli occhi stroboscopici perché una figlia è di qua e l’altra – puntualmente – di là.
Lei, l’altra me, la signorina distesa sul lettino, è nella stessa posizione da ore, beata lei. Nel frattempo io sono già entrata e uscita dal mare rincorrendo le mie figlie tre volte. Abbiamo fatto merenda, cambiato il costume, tentato un castello di sabbia, dibattuto e chiarito che mangiare due gelati al giorno non è opportuno e lei ancora lì immobile, sensibile solo al bip dei messaggi del telefonino. Com’era rilassarsi al sole? E chi se lo ricorda. E prepararsi per uscire non prima di mezzanotte, non avere sonno fino all’alba e poi svegliarsi al tramonto? Nella mia vita precedente erano cose normali, d’estate, e di solito ci ripenso sorridendo e senza malinconia. Ma oggi, sarà la stanchezza o saranno i quarant’anni, vorrei schioccare le dita ed essere di nuovo io quella senza orari e senza responsabilità. Solo per un giorno. Con pensieri liberi e disinibiti, che so.. dove vado stasera, che mi metto, mi lascerà i segni dell’abbronzatura questo costume. “Mamma, posso nuotare senza braccioli? Eh mamma? Posso togliermeli i braccioli?”. E va bene. No, non dico per i braccioli. Va bene così, che ogni pezzo della vita ha le sue gioie e non sono interscambiabili, non si possono barattare. Oggi non avrebbe quello stesso sapore, semplicemente perché non sono più quella ragazza distesa al sole. E a pensarci bene, fa veramente troppo caldo per friggere nell’olio Johnson.
Benedetta Caira