Povia nel videoclip "Era meglio Berlusconi"

Povia e quei comunisti che rimpiangono il Cav.

Maurizio Stefanini
“Me so rotto li cojoni e dico che… / era meglio Berlusconi/  Compagno cosa dici?/ Era meglio Berlusconi/ Ma così ti fai i nemici!/ Era meglio Berlusconi/ Compagno ma sei fuori?/ Era meglio Berlusconi se lo dici non lavori!”. Non troppo sofisticato, in realtà, il messaggio dell’ultima canzone di Povia.

“Me so rotto li cojoni e dico che… / era meglio Berlusconi/  Compagno cosa dici?/ Era meglio Berlusconi/ Ma così ti fai i nemici!/ Era meglio Berlusconi/ Compagno ma sei fuori?/ Era meglio Berlusconi se lo dici non lavori!”. Non troppo sofisticato, in realtà, il messaggio dell’ultima canzone di Povia. Ma merita comunque di essere segnalato in un mondo come quello della canzone italiana, da decenni allineata a un mainstream di sinistra in senso allargato di cui sono testimonianza le rituali comparsate sui palchi dei concerti del primo maggio, e di cui è stata ennesima conferma anche la sfilata dei nastri arcobaleno all’ultimo Festival di Sanremo.  

 



 

E sì che il Festival di Sanremo era stato creato all’inizio degli anni ’50 dalla Democrazia Cristiana, proprio come strumento di tutela dei valori artistici e morali in cui l’Italia che votava Dc si riconosceva. Come risposta, anche nel mondo del musica leggera il Pci sviluppò quello stesso tipo di strategia gramsciana di occupazione delle casematte della società civile che stava già applicando in altri ambiti, come l’editoria, il cinema, il giornalismo o la magistratura: la costruzione di un modello di “canzone impegnata” che partì negli anni Cinquanta con l’operazione elitaria dei Cantacronache e raggiunse il culmine negli anni Settanta con l’egemonia dei “cantautori impegnati”. Non a caso anche di recente è ritornata alla ribalta una annosa polemica sulle supposte simpatie fasciste di un Lucio Battisti, di cui in realtà l’unico aspetto politico era di avere successo con un tipo di musica che non era sicuramente commerciale, ma che però non rientrava appunto nella manovra gramsciana.  Dopo la morte e trasfigurazione del Pci, quel tipo di mainstream culturale è rimasto orfano del suo punto di riferimento culturale originario, pur rimanendo ben ammanicato con i circuiti di potere ereditati da quell’esperienza. E un segnale di questo disorientamento è appunto nelle suggestioni filo-grilline che di recente in quel mondo sono emerse.

 

Nell’oltre mezzo secolo di storia musicale di cui parliamo, dunque, gli artisti che sono andati controcorrente si contano sulle dita di una mano. Con canzoni come “Arrivano i buoni” o “Sono solo canzonette” Edoardo Bennato arrivò a irridere l’egemonia gramsciana del partito; Francesco Guccini e Fabrizio De André diedero alla vulgata progressista una interpretazione libertaria, spesso del tutto sui generis; Giorgio Gaber passò presto a una dimensione di protesta pura vagamente pre-grillina; Francesco De Gregori ha scritto “Il cuoco di Salò” ispirato alla revisione storiografica di Renzo De Felice e alle ultime elezioni politiche ha fatto sapere di aver votato Mario Monti. Ma comunque sempre in una certa area culturale sono rimasti. Certo, Marcella si è candidata con Alleanza nazionale, Iva Zanicchi è stata eletta con Forza Italia, e Ombretta Colli è diventata pure presidente della Provincia di Milano per il centrodestra. Ma le loro canzoni che si ricordano sono la ecologista “Montagne verdi”, la pacifista “La riva bianca, la riva nera” e quelle femministe che la Colli presentava regolarmente a Canzonissima, arrivandovi regolarmente ultima. E ancora, Angelo Branduardi ha appoggiato l’intervento armato in Iraq, ma una canzone l’aveva dedicata a Che Guevara, anche se poi ha fatto un intero cd su San Francesco. Chi una volta faceva il democristiano era Adriano Celentano: anti-divorzio in “La coppia più bella del mondo”, anti-aborto in “Deus”, anti-lotta di classe in “Chi non lavora non fa l’amore”. Ma adesso anche lui è grillino, alla stregua di Dario Fo, Fiorella Mannoia o Fedez.

 

Probabilmente la maggior parte dei lettori giudicherà Povia un personaggio artisticamente inferiore alla maggior parte di quelli citati. Non c’è dubbio, però, che si tratti di un cantante capace di prendere posizioni forti, e anche di spiazzare. La posizione pro-eutanasia di Eluana Englaro portata a Sanremo nel 2010 con “La verità”, ad esempio, dopo la posizione anti-ideologia gender portata al Sanremo dell’anno prima con “Luca era gay” o con il tour del 2015, iniziato in chiave tricolore, e poi virato in chiave neo-borbonica.  La nazionalista “Siamo Italiani” e la neo-borbonica “Al Sud” sono incluse entrambe nel suo ultimo album appena uscito, “Nuovo contrordine mondiale”, assieme a “Era meglio Berlusconi”. E pure in quest’ultima la stessa Lega Nord, di cui era stato definito simpatizzante, viene irrisa in modo analogo a grillini e Pd.

 

Insomma: una gustosa provocazione, da godere soprattutto come tale. Il problema, però, è capire a chi effettivamente la provocazione sia rivolta. “È evidente che Povia ha tutto il diritto di esprimere le sue opinioni e che il piglio ironico del brano è sicuramente apprezzabile, ma è altrettanto evidente che, sfortunatamente per lui, questa volta non ha intercettato i sentimenti popolari come gli era riuscito con ‘I bambini fanno ooh’ o con la canzone vincitrice al festival di Sanremo”, ha commentato ad esempio “Repubblica”, ricordando che “i sondaggi di aprile danno Forza Italia poco al di sopra del 10 per cento dell'elettorato”. Attenzione però! A rimpiangere Berlusconi nel video non è un “berlusconiano”, bensì un “vecchietto di 80 anni/ un convinto comunista/ con la falce di un martello/ Che Guevara sul cappello/ stalinista, leninista e marxista nel cervello”. E lo stesso video è introdotto da un personaggio che assomiglia a Travaglio e che infatti, come in un famoso video di Travaglio, alla fine si scopre essere in mutande. E non è appunto Travaglio, assieme a Saviano e Floris, uno dei massimi interpreti del recente tormentone anti-renziano: “E se fosse stato Berlusconi a fare quel che sta facendo Renzi?”.